Il caso dell’insegnante italiano arrestato in Nepal

Era in vacanza e sarebbe dovuto tornare in Italia il 6 marzo, ma è stato trattenuto con l'accusa di aver rubato reperti archeologici

(Dal profilo Facebook di Tiziano Ronchi)
(Dal profilo Facebook di Tiziano Ronchi)
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Lo scorso 5 marzo un insegnante italiano di 27 anni, Tiziano Ronchi, è stato arrestato in Nepal con l’accusa di aver cercato di rubare reperti archeologici da un sito di Bhaktapur, nell’est del paese, a pochi chilometri dalla capitale Katmandu. Ronchi è originario di Sarezzo, in provincia di Brescia, è un artista e insegna arti figurative all’Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia. Era in Nepal dalla fine di gennaio per un viaggio turistico in cui aveva programmato, da solo, un lungo trekking e la visita di diversi siti archeologici: sarebbe dovuto rientrare in Italia il 6 marzo, ma dopo l’arresto è stato trattenuto dalle autorità nepalesi.

Sul suo arresto non sono arrivate informazioni da fonti istituzionali, ma la famiglia ha fatto sapere che il ministero degli Esteri italiano sta seguendo la questione e che ha avviato una mediazione per facilitare il suo rilascio. È plausibile che nel corso di queste operazioni le autorità italiane non si esporranno proprio per non compromettere le trattative, almeno finché la situazione non sarà più chiara.

Quello che si sa è stato raccontato dalla madre di Ronchi in alcune interviste, sulla base delle telefonate che ha avuto col figlio prima e dopo l’arresto e sulla base di quello che le è stato detto dai funzionari del ministero degli Esteri. In ogni caso è nettamente in contrasto con la versione dei fatti fornita dai media e dalle autorità nepalesi.

Secondo i media nepalesi Ronchi è stato arrestato per aver tentato di rubare una statua nel tempio di Taleju, a Bhaktapur. Una persona lo avrebbe visto e avrebbe segnalato il tentativo di furto ai soldati dell’esercito responsabili della sicurezza del tempio, che sarebbero riusciti a prenderlo nonostante un tentativo di fuga. La città di Bhaktapur è oggi un sito archeologico inserito tra i patrimoni dell’UNESCO e per entrarci bisogna acquistare un biglietto: le autorità nepalesi sostengono che Ronchi non ce l’avesse.

Secondo la madre di Ronchi le cose sarebbero andate molto diversamente. In un’intervista al Giornale di Brescia ha spiegato che il figlio aveva semplicemente «raccolto da terra alcuni reperti di legno che si trovavano in mezzo a detriti e lattine», e che li aveva immediatamente rimessi dov’erano dopo che due militari lo avevano ripreso. Era poi stato perquisito per controllare se avesse trafugato qualche reperto di valore, ma addosso non gli era stato trovato nulla al di fuori di un coltellino che aveva utilizzato per un’escursione nei giorni precedenti.

Ronchi avrebbe fatto questo racconto alla madre in una videochiamata all’ora di pranzo del 5 marzo, poi dopo poco avrebbe richiamato per avvertire che lo stavano arrestando e che gli avrebbero sequestrato il cellulare, chiedendo di essere aiutato da qualcuno perché nel commissariato dove lo avevano portato nessuno parlava inglese.

La madre allora si è rivolta all’ambasciata italiana in India, che ha mandato sul posto il console italiano a Calcutta, Gianluca Rubagotti (competente anche per l’area nepalese della capitale del Nepal, Katmandu, dove si trova Ronchi). Poco dopo l’arresto Ronchi sarebbe stato trasferito in ospedale, ma non è chiaro se il motivo del trasferimento sia legato alle sue condizioni di salute: la madre è rimasta molto generica, dicendo al Giornale di Brescia che il trasferimento è stato fatto «per proteggerlo» e facendo capire che è stato possibile grazie all’intervento delle autorità italiane.

In ogni caso il console Rubagotti vede regolarmente Ronchi, ha garantito sulle sue condizioni di salute e la sua presenza ha anche permesso a Ronchi di fare altre telefonate con la famiglia. Sembra che prima di essere trasferito in ospedale avesse trascorso alcuni giorni in una cella in condizioni molto degradanti.

La madre di Ronchi ha detto che il ministero degli Esteri considera la vicenda «un grande fraintendimento» e che al momento sta aspettando di capire dalle autorità nepalesi quali siano ufficialmente i capi d’imputazione a suo carico, per decidere come muoversi. A questo proposito la madre dice che le accuse verso il figlio sono cambiate più volte e in modo sospetto: alcuni media avevano per esempio riferito della presenza di un video che potesse dimostrare il furto, ma il ministero degli Esteri ha detto alla famiglia di Ronchi che di questi video non c’è traccia. Diversi giornali comunque scrivono che le informazioni che arrivano informalmente dal ministero tendono all’ottimismo. Secondo il Corriere della Sera sarà sufficiente il pagamento di una multa per riportare Ronchi in Italia, mentre il ministero degli Esteri intanto continua a non commentare il caso per vie ufficiali.

In Nepal sono in vigore leggi molto stringenti sul furto di reperti archeologici e manufatti antichi, dopo che nei decenni passati sono stati ritrovati vari esemplari di arte sacra in collezioni private e musei all’estero, con conseguenti grandi sforzi del paese per individuarli e riportarli in patria. Gran parte dei furti probabilmente avvenne negli anni Sessanta e Settanta, quando soprattutto in Occidente si diffuse un certo interesse per le religioni e le culture orientali. Nel 2013 entrò in vigore una nuova versione della legge sulla “conservazione dei monumenti”, più volte aggiornata, che vieta di spostare qualsiasi oggetto con più di 100 anni dal posto in cui si trova e prevede pene molto severe per chi danneggia reperti archeologici.