Che ora è sulla Luna?

Tutte e nessuna, per questo ESA, NASA e altre agenzie spaziali vogliono decidere un orario lunare standard e un modo per misurare il tempo fuori dalla Terra

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In una poesia che parlava di esplorazioni spaziali, Gianni Rodari scrisse che: «Ha da essere un poeta sulla Luna ad allunare: con la testa nella Luna lui da un pezzo ci sa stare…». Da poeta, lo scrittore piemontese era probabilmente molto interessato a questa eventualità, ma prima ancora della poesia il nostro satellite naturale avrebbe bisogno di un buon orologio. A oggi non sappiamo che ora sia sulla Luna o, meglio, non lo abbiamo mai deciso in modo che sia uguale per tutti, e la mancanza di un orario condiviso potrebbe causare molte complicazioni alle numerose missioni lunari in programma per i prossimi anni. Non potrebbero coordinare buona parte delle proprie attività e sarebbe molto difficile gestire un sistema di navigazione satellitare, simile a quello che usiamo qui sulla Terra e che per dirci dove siamo si basa sull’ora esatta.

Per affrontare il problema, alla fine dello scorso anno i rappresentanti delle principali agenzie spaziali si sono riuniti al Centro europeo per la ricerca e la tecnologia spaziale dell’Agenzia spaziale europea (ESA) a Noordwijk, nei Paesi Bassi. L’incontro aveva lo scopo di iniziare a definire un programma intorno all’orario lunare, con una certa urgenza.

Ormai da tempo vari esperti segnalano infatti la necessità di trovare rapidamente regole comuni, visto che molte agenzie spaziali hanno piani piuttosto definiti sulle prossime missioni lunari, a partire da quelle legate al programma spaziale Artemis degli Stati Uniti. In mancanza di un tempo lunare ufficiale, le agenzie e le compagnie spaziali private potrebbero fare per conto proprio, rendendo più difficile un eventuale successivo passaggio a un’ora condivisa.

È già successo in passato, del resto, e continua a succedere ancora oggi. Di solito le agenzie spaziali utilizzano come orario di riferimento quello del luogo sulla Terra in cui hanno il proprio centro di controllo. Le attività delle missioni Apollo, le uniche ad avere portato esseri umani sulla Luna tra il 1969 e il 1972, furono gestite dalla NASA utilizzando spesso come indicazione il fuso orario centrale degli Stati Uniti, perché l’agenzia spaziale aveva il proprio centro di controllo a Houston, in Texas.

Le missioni Apollo avevano comunque come principale riferimento il tempo trascorso dal lancio (mission elapsed time, abbreviato con MET), in modo da evitare fraintendimenti e soprattutto consentire a tutti i partecipanti di avere un orario semplice da comprendere. Se qualcuno avesse chiesto a Neil Armstrong o Buzz Aldrin, le prime due persone a camminare sulla Luna, che ora fosse durante un certo momento della loro missione avrebbero probabilmente risposto: «97 ore e 43 minuti MET».

Neil Armstrong (a sinistra) e Buzz Aldrin fanno pratica in un simulatore prima della missione Apollo 11 (AFP/AFP/Getty Images)

Sulla Terra utilizziamo i fusi orari soprattutto per regolarci con l’alternarsi del dì e della notte, in modo che ci siano ore di luce e buio più o meno coerenti ovunque ci si trovi. Nello Spazio non esiste questa necessità e non ci sono tecnicamente fusi orari, visto che molto dipende da dove ci si trova e come ci si sta spostando in relazione al Sole. Per gli equipaggi delle missioni Apollo era molto più utile sapere quanto tempo fosse passato dall’inizio del loro viaggio, piuttosto che sapere quando fosse dì o notte in Texas.

Stabilire orari condivisi può comunque essere utile in particolari circostanze, per esempio per le missioni di lunga durata sulla Stazione Spaziale Internazionale, dove astronauti e astronaute trascorrono molti mesi in orbita. A circa 400 chilometri di distanza dalla Terra, un ciclo dì-notte dura poco più di 90 minuti, di conseguenza può rivelarsi straniante per l’equipaggio. Per questo motivo, e per coordinare le attività delle varie agenzie spaziali che partecipano al progetto in molte parti del mondo, si è deciso di utilizzare il tempo coordinato universale (UTC), cioè il fuso orario utilizzato come riferimento globale: è quello che viene impiegato come punto di partenza per calcolare tutti gli altri fusi orari del mondo, per intenderci.

La Stazione Spaziale Internazionale (Roscosmos Space Agency Press Service via AP)

Lo UTC è uno degli standard più importanti che ci siano ed è una costante nelle nostre vite, anche se non siamo astronauti. Serve per assicurarsi che i computer collegati alle reti informatiche utilizzino lo stesso orario e possano quindi essere sincronizzati, è fondamentale per svolgere numerosi esperimenti scientifici ed è ciò che fa funzionare i sistemi di navigazione satellitare.

A decidere che ora è per tutti ci pensa l’Unione internazionale delle telecomunicazioni (ITU), una delle agenzie specializzate delle Nazioni Unite. L’ora esatta viene calcolata sulla base delle informazioni fornite da una rete di orologi atomici, dispositivi estremamente precisi per calcolare il tempo con un margine di errore molto basso (li avevamo spiegati estesamente qui). È una misurazione del tempo che supera in precisione quella del tempo universale astronomico, che è invece basato sui movimenti della Terra, meno precisi. Ciò comporta che ci sia periodicamente un disallineamento che viene compensato con l’aggiunta o la sottrazione di un secondo “intercalare”, una pratica destinata a diventare molto meno frequente nel prossimo secolo.

L’orario misurato con precisione sulla Terra viene di solito trasmesso periodicamente ai satelliti e alle sonde che inviamo nello Spazio, in modo da sincronizzarli con il fuso orario di riferimento. È un’attività che richiede antenne terrestri potenti e un costante lavoro di aggiornamento, per assicurarsi che per tutti i dispositivi sia la stessa ora. Alcuni satelliti, come quelli per la navigazione satellitare, hanno a bordo un orologio atomico, ma quelli finora sviluppati per funzionare sulla Terra sono meno stabili e quindi meno affidabili nello Spazio.

Semplificando molto, se invii un orologio atomico in orbita, dopo un po’ di tempo inizierà a segnare un’ora diversa rispetto a un identico orologio atomico qui sulla Terra. La causa principale è legata alla Teoria generale della relatività, secondo cui due orologi scorrono diversamente se si trovano in campi gravitazionali diversi.

Sulla Luna la forza di gravità è inferiore alla nostra, di conseguenza per un osservatore sul nostro pianeta un orologio lunare va più veloce rispetto al suo. Un orologio sulla Luna guadagnerebbe circa 56 microsecondi (un microsecondo equivale a un milionesimo di secondo) ogni 24 ore rispetto a un orologio sulla Terra. L’andamento stesso dell’orologio varierebbe a seconda del punto in cui verrebbe collocato sulla superficie lunare, a causa dei movimenti del nostro satellite intorno alla Terra e al Sole. Per definire un tempo lunare standard sarebbe quindi necessario installare almeno tre orologi atomici in punti diversi della Luna, calcolando poi un tempo medio tenendo conto delle oscillazioni dovute agli effetti gravitazionali.

Il Modulo Lunare di Apollo 11, con sullo sfondo il suolo lunare e la Terra (NASA)

Avere qualcosa che misuri il tempo in maniera affidabile e in autonomia sulla Luna ridurrebbe sensibilmente la necessità di sincronizzare di continuo l’orario dalla Terra. Le sonde in orbita intorno al satellite, la base orbitale per gli astronauti “Gateway” che il programma Artemis prevede di costruire nei prossimi anni, un’eventuale base sul suolo lunare e i robot automatici (rover) che esploreranno la Luna potranno tutti fare riferimento a un orario calcolato direttamente nelle vicinanze, riducendo il carico di trasmissione di dati con la Terra. Per questo, dicono gli esperti, è importante procedere alla definizione di un sistema condiviso su cui poi costruire tutto il resto.

Come sulla Terra c’è l’UTI che se ne occupa, dovrà essere definito un ente responsabile per la gestione del tempo lunare. Le varie organizzazioni coinvolte dovranno poi decidere se mantenere il tempo lunare indipendente o se legarlo all’UTC. In questo caso, gli orologi sulla Luna dovranno essere risincronizzati periodicamente con quelli della Terra. Tra una sincronizzazione e l’altra, gli orologi lunari guadagneranno quei pochi milionesimi di secondo che verrebbero poi annullati riportando l’orario in linea con quello terrestre.

Non tutti sono però convinti che la sincronizzazione con UTC sia la scelta migliore, perché in caso di problemi di comunicazione alcuni orologi potrebbero non essere aggiornati creando differenze nel calcolo del tempo. Un’ipotetica rete per la trasmissione di dati dal suolo all’orbita lunare, per esempio, potrebbe smettere di funzionare. Lasciare che siano gli orologi atomici a misurare un tempo alternativo lunare eviterebbe questi rischi, ma renderebbe necessario lo sviluppo di sistemi per mettere in relazione l’orario lunare con quello UTC. In prospettiva, questa soluzione è comunque considerata più praticabile, specialmente in vista di missioni verso corpi celesti molto più distanti della Luna, come Marte, dove sarebbe complicato mantenere una sincronizzazione su larga scala con il tempo terrestre.

Se prevalesse questa impostazione, i giorni lunari potrebbero essere definiti in modo molto diverso da quelli terrestri. Un solo giorno lunare dura 29,5 giorni terrestri, con circa 14,25 giorni di luce e altrettanti di buio. Dovrà quindi essere deciso che cosa si intende per “giorno” sulla Luna, considerata la grande differenza rispetto alla Terra. Al di là della definizione, importante per la scansione del tempo, è probabile che per gli equipaggi che vivranno intorno e sulla Luna si manterrà un ciclo di 24 ore, considerate le necessità fisiologiche del nostro organismo a cominciare dalla regolazione dei cicli sonno/veglia.

La definizione del tempo lunare è considerata essenziale per lo sviluppo di “LunaNet”, il sistema per gestire le telecomunicazioni e i sistemi di navigazione sulla Luna. Javier Ventura-Traveset, responsabile dell’ESA per i sistemi di navigazione lunari, ha detto che: «LunaNet è la struttura di standard, interfacce e protocolli condivisi che consentirà alle future missioni lunari di lavorare insieme, ed è concettualmente simile a ciò che abbiamo fatto sulla Terra con l’uso congiunto del GPS e di Galileo», cioè due dei principali sistemi di navigazione satellitare che ci permettono di sapere sempre dove siamo, che si utilizzi uno smartphone o un navigatore su una portacontainer in mezzo all’oceano.

Se un astronauta si trovasse in questo momento sulla Luna faticherebbe a conoscere con precisione la propria posizione, perché intorno al corpo celeste non c’è una rete di satelliti grazie alla quale ricostruire facilmente le coordinate con un navigatore. Alla fine di novembre, l’ESA ha approvato il progetto Moonlight, che prevede di mettere in orbita lunare alcuni satelliti per la navigazione; la NASA dal canto suo ha un progetto simile che si chiama Lunar Communications Relay and Navigation Systems. I primi satelliti saranno portati intorno alla Luna verso il 2030, sulla base delle altre esigenze legate alla presenza di robot e astronauti da quelle parti.

In mancanza di un sistema di navigazione satellitare, finora le missioni lunari hanno ricostruito la posizione calcolando il tempo che impiegano i segnali radio a raggiungere alcune grandi antenne sulla Terra, in determinati orari. È una soluzione abbastanza affidabile, ma che non sarebbe praticabile nel momento in cui ci fossero decine di missioni in contemporanea, con i loro robot e altri dispositivi in attesa di sapere dove stanno allunando o che percorso dovranno seguire sul suolo lunare.

Prima di avere un sistema di navigazione vero e proprio, NASA ed ESA sperimenteranno una soluzione alternativa temporanea per ricostruire la posizione sulla Luna. Utilizzeranno i deboli segnali provenienti dai satelliti del GPS, di Galileo e di sistemi simili per calcolare le coordinate lunari: anche se quei satelliti sono orientati verso la Terra, i loro segnali sono dispersi anche verso l’esterno e possono essere captati per avere riferimenti dai quali ricostruire la propria posizione sulla Luna.

La fase successiva comprenderà l’invio di satelliti per la navigazione e l’ESA dovrebbe essere la prima a farlo. Moonlight prevede l’invito di quattro satelliti che saranno messi in orbita in modo da coprire (“illuminare”) il Polo sud lunare, dove ci sono riserve di acqua ghiacciata che potrà essere impiegata dagli astronauti. Un robot o un astronauta potrà quindi sapere dove si trova sulla Luna senza dipendere direttamente dalle informazioni provenienti dalla Terra, semplificando le comunicazioni. I rover potranno inoltre spostarsi autonomamente sulla superficie lunare con maggiore facilità e autonomia, risparmiando anche in questo caso nella trasmissione di dati.

Più la rete di comunicazione lunare sarà autonoma e in grado di reggersi da sola, dicono gli esperti, più sarà sostenibile man mano che aumenteranno le attività intorno e sulla Luna. Trasmettere dati è dispendioso e le infrastrutture di comunicazione con il nostro pianeta potrebbero saturarsi velocemente, rendendo difficile il coordinamento delle attività lunari, senza contare la sicurezza per gli equipaggi.

Elaborazione grafica per mostrare le potenzialità di Moonlight, sullo sfondo i sistemi per la navigazione satellitare intorno alla Terra, come riferimento (ESA)

Il progetto è certamente ambizioso e richiederà la collaborazione e la disponibilità di numerosi governi, dai quali dipendono solitamente le agenzie spaziali nazionali. Nonostante la guerra in Ucraina, gli Stati Uniti continuano a collaborare con la Russia per la gestione della Stazione Spaziale Internazionale e di altre iniziative, ma i rapporti sono comunque diventati più difficili. Altri paesi, solitamente non coinvolti nelle collaborazioni spaziali, dovranno esserlo specie nel caso in cui abbiano ambizioni verso la Luna, come nel caso della Cina.

Il progetto per istituire un orario lunare condiviso potrebbe ancora incontrare molti ostacoli, soprattutto di natura pratica. La NASA sta portando avanti con una certa convinzione il programma Artemis, ma a causa dei ritardi accumulati ha effettuato un primo lancio sperimentale del proprio sistema per tornare sulla Luna solo alla fine dello scorso anno. La prossima missione, Artemis 2, non partirà prima della primavera del prossimo anno e si dovrà poi attendere Artemis 3 per un allunaggio vero e proprio. Nel frattempo dovrà iniziare la costruzione del Gateway e si dovranno sperimentare i sistemi di trasporto degli astronauti dall’orbita lunare alla Luna e viceversa.

Già a partire da quest’anno sono comunque in programma numerose missioni spaziali, la maggior parte affidata ai privati, per inviare sonde e rover di vario tipo, che un giorno accoglieranno i nuovi esploratori. Ma prima che astronauti di missioni diverse possano darsi appuntamento nelle vicinanze di un cratere alle due del pomeriggio lunari passerà ancora molto tempo.