Mangiare la carne solo in qualche occasione

È la scelta di compromesso delle persone che la rivista Bon Appétit chiama “onnivori sociali”, per limitare il proprio impatto ambientale evitando alcune seccature

carne
(Keystone/ Hulton Archive/ Getty Images)
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Alle persone vegane capita spesso di ricevere critiche e osservazioni da amici e parenti onnivori a tavola, o comunque di dover giustificare in qualche modo il tema del loro regime alimentare, che esclude i cibi derivati dagli animali, dalle bistecche al formaggio al miele. In un momento in cui la scelta di seguire una dieta vegana è sempre più diffusa per le crescenti consapevolezze sull’impatto ambientale degli allevamenti, ci sono anche persone che preferiscono mantenere questa abitudine quando sono da sole ma continuare a mangiare carne e pesce nelle occasioni sociali, come le cene in compagnia: la rivista di cucina Bon Appétit le ha chiamate “social omnivores”, cioè gli onnivori delle occasioni sociali, proprio perché sono persone vegane o vegetariane che ogni tanto tornano onnivore pur di evitare seccature, ma anche per altri motivi.

Nel suo articolo su Bon Appétit, la giornalista Ali Francis racconta di essere una di queste “onnivore sociali”: da una decina di anni segue una dieta vegetariana – che a differenza di quella vegana ammette per esempio latticini e uova – ma in certi momenti si concede piatti non vegetariani. Assaggia la carne per lavoro, non riesce a rinunciare alla lasagna con il ragù di sua madre e un paio di volte all’anno mangia i tipici ravioli ripieni preparati dalla nonna polacca (pierogi) o il borsch, una zuppa dell’Europa orientale che sempre sua nonna serve assieme al pollo.

Francis racconta poi di varie persone vegetariane o vegane che come lei ogni tanto fanno uno strappo alla regola: o perché non vogliono sacrificare l’aspetto conviviale tipico delle occasioni in cui si mangiano piatti a base di carne, o perché trovano difficile adattarsi a certe situazioni, dai menù di degustazione fissi agli inviti a cena.

La gran parte delle persone che scelgono di seguire una dieta vegana o vegetariana lo fa di solito sia per la consapevolezza delle sofferenze inflitte agli animali negli allevamenti intensivi, sia perché ridurre il consumo di carne è considerato uno dei comportamenti individuali più utili per limitare le emissioni di gas serra che causano il riscaldamento globale. C’è poi chi lo fa per ridurre il rischio di sviluppare malattie cardiache e certi tipi di tumore che possono essere legati al consumo abituale di alimenti come la carne processata. Secondo Susan Jebb ed Elisa Becker, rispettivamente professoressa di Alimentazione e salute della popolazione e ricercatrice dell’università di Oxford, una delle ragioni che possono far cambiare idea però è proprio il problema di dover gestire questo tipo di dieta con il resto della famiglia o se si mangia di frequente con altre persone.

In questo senso, gli “onnivori sociali” si possono descrivere come persone che riconoscono la necessità di ridurre il consumo di carne, ma cercano una via di mezzo. Non comprano né cucinano cibi derivati da animali a casa o quando sono da soli, ma sono disposti a mangiare un kebab in compagnia o un piatto tipico a base di carne nelle occasioni speciali, per esempio i pasti in famiglia durante le festività. Come hanno riassunto in maniera piuttosto efficace Jebb e Becker in un articolo su The Conversation, è difficile stabilire quanto sia realmente diffuso questo fenomeno: l’idea comunque è quella di «evitare di mangiare carne quando lo si può fare, ed evitare il conflitto sociale quando si mangia fuori».

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A giudicare dai commenti di chi adotta questo comportamento, ci sono alcune ragioni ricorrenti per cui queste persone mangiano carne anche se di norma seguono una dieta vegana. Una è quella di mostrare apprezzamento e gratitudine per qualcuno che ha preparato un piatto appositamente per una certa occasione, come è accaduto a Evan Levy, un medico vegetariano di New York che racconta di aver mangiato un piatto tipico a base di carne di manzo preparato dalla madre «perché sembrava offensivo non farlo». Un’altra è quella di evitare di creare problemi a chi cucina per loro e potrebbe trovarsi in difficoltà nel preparare ricette vegane, spiega sempre Bon Appétit.

Ci sono poi motivi di convenienza, come quello di non avere molta scelta in certe occasioni e quello di non doversi trovare a giustificare le proprie scelte, togliendosi così dall’imbarazzo di sentirsi dire da familiari e amici che mangiare carne è «naturale, normale, necessario e buono» (secondo alcuni studi, i principali motivi usati dagli onnivori per rafforzare le proprie convinzioni). Nonostante di norma siano vegane o vegetariane, alcune persone inoltre preferiscono assaggiare piatti che fanno parte della cultura e della storia di un particolare luogo, per esempio durante le vacanze in luoghi lontani.

Di fatto, poi, molte persone sono “onnivore sociali” per necessità economiche: non potendosi permettere abitualmente carne che non sia quella a basso costo proveniente da allevamenti intensivi, scelgono di cucinare i propri pasti a base prevalentemente vegetale, concedendosi derivati animali in limitate occasioni.

Le persone che seguono un regime alimentare prevalentemente a base vegetale ma mangiano carne occasionalmente sono definite “flexitariane”: gli onnivori sociali sono pertanto dei flexitariani che stabiliscono esattamente quando mangiare carne, ovvero nelle occasioni sociali. Adottare queste regole può essere efficace per aiutarsi a rispettare l’obiettivo di mangiare meno carne perché riduce la necessità di scegliere quando e come farlo, spiegano Jebb e Becker, che si occupano anche di studiare i comportamenti di chi cerca di ridurre il proprio consumo di carne.

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Secondo le ultime indagini a campione svolte in Italia da Eurispes, l’1,3 per cento delle persone intervistate dice di essere vegano e il 5,4 vegetariano. Sono dati simili a quelli della popolazione del Regno Unito, dove il 2-3 per cento dice di seguire una dieta vegana, il 5-7 per cento una dieta vegetariana e il 13 per cento una dieta flexitariana. Le indagini di Eurispes dicono che i vegetariani in Italia oggi sono un po’ meno rispetto a quanti fossero nel 2014 (il 5,9 per cento), ma i vegani sono più che raddoppiati (erano lo 0,6). In generale, comunque, nell’ultimo decennio si è vista un’attenzione sempre maggiore all’alimentazione vegana sia in Italia che in altri paesi occidentali, con l’entrata nel mercato di un’ampia serie di prodotti a base vegetale, dai cosiddetti “hamburger impossibili” al formaggio vegetale.

Victor Kumar, professore di filosofia e direttore del Mind and Morality Lab dell’università di Boston, un laboratorio interdisciplinare che studia il comportamento delle persone e questioni etiche varie, ha osservato che le discussioni sull’alimentazione a base vegetale oggi sono molto più frequenti di qualche anno fa. Kumar ha notato che di norma per gli esseri umani è difficile rinunciare a cose che possono portare piacere, come mangiare la carne, ma limitarne il consumo a certe occasioni come fanno gli onnivori sociali può aiutare a mantenere il suo valore rituale, culturale e tradizionale.

Per quanto diverse persone che seguono questo regime alimentare non amino essere definite come tali, per Kumar la definizione di “onnivori sociali” può essere positiva, perché per quanto riduttive o imbarazzanti le etichette possono aiutare a creare un senso di comunità attorno a un movimento. L’idea insomma è che una trasgressione occasionale non dovrebbe mettere in dubbio l’identità di una persona.

In un articolo pubblicato a inizio anno sul Globe and Mail, la dietista Leslie Beck ha scritto di aspettarsi che in futuro ci saranno sempre più reducetariani, o riduzionisti, cioè persone che si impegnano a ridurre i loro consumi di carne e pesce e a prediligere cibi prodotti in maniera più sostenibile, soprattutto per la salvaguardia dell’ambiente e la tutela della salute. Uno studio svolto nel 2012 ha evidenziato che dimezzare la quantità di carne e latticini mangiati ridurrebbe le emissioni inquinanti del 19 per cento ed eviterebbe quasi 37mila morti all’anno solo nel Regno Unito.

Nel 2009 lo scrittore americano Jonathan Safran Foer, autore del romanzo Molto forte, incredibilmente vicino, pubblicò il saggio Se niente importa, in cui metteva insieme tutte le ragioni per cui una persona può scegliere di diventare vegetariana, a partire dall’impatto sul clima e dalla sofferenza degli animali negli allevamenti intensivi, e in cui in sostanza raccontava la sua decisione di diventare vegetariano. Il libro ebbe molto successo e spinse tante persone a fare la stessa scelta. Dieci anni dopo Foer è tornato sullo stesso tema con Possiamo salvare il mondo, prima di cena (Guanda, 2019) in cui dice apertamente:

Sarebbe molto più facile per me non citare il fatto che in alcuni periodi difficili negli ultimi due o tre anni – mentre affrontavo passaggi dolorosi della mia vita privata, mentre viaggiavo per il paese per promuovere un romanzo pur essendo la persona meno indicata per l’autopromozione – ho mangiato carne un certo numero di volte. In genere hamburger. Spesso in aeroporto. Vale a dire, carne proveniente esattamente dal genere di allevamenti contro cui mi sono scagliato con più veemenza. E la ragione per cui l’ho fatto rende la mia ipocrisia ancora più patetica: mi dava conforto.

Nonostante questo le successive 180 pagine del libro hanno lo scopo di convincere altre persone a ridurre il proprio consumo di carne, proponendo un possibile compromesso: mangiare vegetariano a colazione e a pranzo, ammettendo la possibilità di consumare alimenti di origine animale per cena.