I corridoi umanitari non sono una soluzione per evitare i naufragi

Diversamente da quanto sostiene il governo, i numeri e il contesto dicono che cambierebbero poco

L'arrivo di 152 rifugiati afghani a Roma, 24 novembre 2022 (ANSA/TELENEWS)
L'arrivo di 152 rifugiati afghani a Roma, 24 novembre 2022 (ANSA/TELENEWS)
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Dopo il naufragio del peschereccio con a bordo circa 150 migranti a Cutro, in provincia di Crotone, diversi membri del governo italiano e della maggioranza che lo appoggia hanno proposto alcune soluzioni per evitare che in futuro succedano di nuovo incidenti del genere. Una delle più citate è quella dei cosiddetti corridoi umanitari: cioè programmi speciali di trasferimento in Italia e altri paesi europei di richiedenti asilo e rifugiati in particolari condizioni di vulnerabilità, organizzati da ong e associazioni del terzo settore in collaborazione con lo Stato italiano.

In una recente intervista al Corriere della Sera il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha sottolineato che per «evitare simili naufragi» il governo guidato da Giorgia Meloni ha «intensificato» i corridoi umanitari, consentendo a 617 persone di arrivare in Italia dal giorno dell’insediamento del governo, quindi negli ultimi quattro mesi. Anche Meloni stessa in una lettera inviata ai leader dell’Unione Europea dopo il naufragio a Cutro ha auspicato la creazione di «corridoi umanitari legali e sicuri per i profughi che gli stati europei decidono di accogliere».

In realtà le stesse persone che se ne occupano sostengono che i corridoi umanitari non possano essere considerati una soluzione strutturale per scoraggiare gli arrivi irregolari di migranti, via mare o via terra. «È chiaro che i corridoi umanitari non sono la risposta a tutto il fenomeno migratorio, che invece richiede più risposte complessive», ha detto per esempio a Redattore Sociale Daniela Pompei, responsabile per i servizi ai migranti della Comunità di Sant’Egidio, che gestisce i principali corridoi umanitari in Italia.

I corridoi umanitari nacquero alla fine del 2015, al picco del flusso migratorio verso l’Europa dal Medio Oriente per via della guerra civile siriana, con un protocollo di intesa fra il governo italiano, allora guidato da Matteo Renzi, e una serie di associazioni religiose del terzo settore: soprattutto la Comunità di Sant’Egidio (cattolica, a vocazione progressista) e la chiesa valdese. Negli anni successivi si sono aggregati al progetto anche altri enti, come la Chiesa cattolica italiana attraverso la Caritas e il circuito dei centri culturali ARCI.

Il sito della Comunità di Sant’Egidio specifica che le persone che vengono trasferite in Italia attraverso i corridoi umanitari sono «vittime di persecuzioni, torture e violenze, famiglie con bambini, anziani, malati, persone con disabilità». Persone, insomma, in condizione di estrema vulnerabilità: ancora più a rischio di chi, per le difficoltà e le sofferenze vissute nel proprio paese d’origine, decide di intraprendere un pericolosissimo viaggio via mare o via terra per cercare di entrare nell’Unione Europea.

Le persone vengono individuate dall’agenzia ONU per i rifugiati nei principali paesi di transito, soprattutto Libano, Etiopia e Grecia, e trasferiti con voli messi a disposizione dal governo italiano, dopo controlli di sicurezza compiuti dal ministero dell’Interno. Una volta arrivate in Italia, per ciascuna di queste persone viene organizzato un programma di accoglienza e inserimento nella società, anche attraverso l’appoggio di famiglie o associazioni più piccole.

Dal febbraio 2016 al maggio 2022, periodo a cui si riferiscono gli ultimi dati disponibili, attraverso i corridoi umanitari sono state trasferite in Italia 3.955 persone. Attraverso canali simili gestiti sempre dalla Comunità di Sant’Egidio 546 persone sono state trasferite in Francia, 150 in Belgio e 16 nel piccolo principato di Andorra. 12 persone sono invece state trasferite in Germania e Svizzera. In totale i corridoi umanitari hanno quindi riguardato 4.679 persone. Fra i richiedenti asilo e i rifugiati accolti dalla Caritas, circa un migliaio, i principali paesi di provenienza sono Eritrea, Somalia, Siria e Iraq. Fra loro, uno su dieci è un disabile o un malato grave, uno su tre ha subito torture.

Il primo elemento che fa pensare che i corridoi umanitari non possano diventare una soluzione strutturale riguarda i numeri. Oggi che sono gestiti da alcune delle più grandi e importanti associazioni del terzo settore – la Chiesa cattolica, quella valdese, i circoli ARCI – hanno portato in Europa una media di 60 persone al mese, due al giorno. Numeri irrisori rispetto alla dimensione dei flussi migratori irregolari verso l’Europa.

Nel 2021 hanno chiesto asilo nei paesi dell’Unione Europea circa 535mila persone, quasi tutte, presumibilmente, entrate irregolarmente in territorio europeo via mare o via terra. Sono numeri che non possono essere gestiti dai corridoi umanitari, anche in una versione potenziata. Raddoppiare o triplicare gli ingressi servirebbe a poco, viste le dimensioni del problema. E qualche centinaio di posti in più non sarebbe un’alternativa così attraente da scoraggiare gli ingressi irregolari via mare o via terra.

Il potenziamento dei corridoi umanitari comporterebbe inoltre un altro rischio: affidare stabilmente ad associazioni private un compito di cui dovrebbe farsi carico lo stato: cioè la gestione e l’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo più vulnerabili. «I corridoi umanitari sono un’iniziativa lodevole, vanno supportati, e coloro che li pongono in essere lo fanno nella maniera più corretta e precisa: ma dovrebbero essere qualcosa di aggiuntivo al sistema generale dell’asilo», ha detto qualche tempo fa ad Altreconomia Lorenzo Trucco, presidente dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI).

Il fatto che funzionino in una sorta di zona grigia, con l’appoggio dello Stato ma senza una vera e propria cornice amministrativa, rischia anche di lasciare ampio spazio all’arbitrarietà. «Se si viene esclusi dal numero di persone che rientrano nei corridoi umanitari», spiega Trucco, «siamo comunque di fronte a una valutazione discrezionale, sicuramente ponderata, ma non ci sono strumenti particolari per poter ricorrere». In altre parole: una persona che viene scartata durante la fase di selezione fatta dall’agenzia ONU per i rifugiati non ha strumenti per ricorrere in appello a questa decisione.

Esiste poi una critica più sottile: i corridoi umanitari potrebbero far passare il messaggio implicito che solo le persone estremamente vulnerabili e in condizioni limite hanno diritto a entrare in Europa, quando invece le norme europee e italiane prevedono diverse forme di protezione anche per casi gravi, ma meno estremi.

Gli esperti di immigrazione concordano sul fatto che l’unico modo per scoraggiare rischiosi viaggi via mare o via terra per entrare irregolarmente nell’Unione Europea sarebbe l’apertura di maggiori canali legali per chi arriva da paesi fuori dall’Unione. In Italia sono praticamente inesistenti anche per via di una legge fra le più stringenti in Europa sull’accoglienza di migranti e richiedenti asilo, la cosiddetta “Bossi-Fini”, in vigore dal 2002.