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  • Mercoledì 8 febbraio 2023

Gli agricoltori stavolta vogliono arrivare preparati alla siccità

Anche quest'estate l'acqua per irrigare i campi potrebbe essere poca, e si inizia a custodire quella che c'è

il fiume po a torino
Il fiume Po a Torino (LaPresse)
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Dallo scorso autunno in molte regioni italiane, soprattutto al Nord, amministratori e agricoltori sono al lavoro per gestire l’acqua in modo più accorto rispetto allo scorso anno, quando la prolungata siccità causò molti danni: una parte consistente del raccolto andò persa e il basso livello dei fiumi impose limitazioni alla produzione di energia idroelettrica. Al di là dei problemi economici, le conseguenze dell’annata siccitosa erano state evidenti anche per l’ecosistema alpino con montagne aride, livello dei laghi bassissimo e fiumi in secca.

Dai primi dati rilevati tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 sembra che si stiano riproponendo le condizioni dello scorso anno, considerato eccezionale: è ancora presto per dire se la prossima estate sarà siccitosa come quella del 2022, perché molto dipende da quanto pioverà in primavera, ma in attesa di capirlo si sta usando l’esperienza accumulata per trovare rimedi almeno parziali.

Tutte le analisi fatte nel mese di gennaio dicono che la quantità di pioggia caduta e di neve accumulata sulle montagne nelle ultime settimane non è sufficiente ad assicurare una consistente riserva di acqua, necessaria per ingrossare i fiumi e ricaricare le falde acquifere nei mesi primaverili. Le premesse sono molto simili, se non peggiori, all’andamento meteorologico di un anno fa, con un autunno molto siccitoso soprattutto nelle regioni del Nord Ovest.

Secondo il rapporto più recente dell’ANBI, l’associazione nazionale bonifiche e irrigazioni, nelle prime settimane del 2023 la regione più arida è stata il Piemonte. A Torino il livello del fiume Po è stato inferiore del 46 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, che già era stato secco, mentre a Piacenza la portata del fiume ha raggiunto un nuovo minimo storico: 307 metri cubi di acqua al secondo contro i precedenti 333.

ARPA Lombardia, l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, ha segnalato un calo di molti indicatori rispetto alla media del periodo: al 29 gennaio le riserve di acqua in Lombardia erano di 1,7 milioni di metri cubi, il 44,5 per cento in meno rispetto alla media tra il 2006 e il 2020, il livello dei laghi era inferiore del 51,6 per cento, mentre sulle montagne il manto nevoso era solo il 46,2 per cento della media. Nei primi giorni di febbraio non c’è stato un miglioramento.

Anche in Veneto la situazione è simile. A gennaio la portata del fiume Adige è stata del 22 per cento inferiore rispetto alla media tra il 2004 e il 2019. Anche altri fiumi, su tutti la Livenza, hanno raggiunto livelli tra i più bassi degli ultimi anni. Soltanto nel 1987 il lago di Garda aveva raggiunto un livello più basso dell’attuale nei mesi invernali. Nelle regioni del centro e del sud, invece, la situazione non è preoccupante grazie alla pioggia caduta nei mesi invernali.

Queste due infografiche, diffuse dal gruppo di idrologia del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), mostrano la quantità di pioggia caduta nell’ultimo periodo rispetto alla media tra il 2017 e il 2021. I colori dal giallo al rosso scuro segnalano un deficit di pioggia, mentre dal bianco al blu una situazione migliore. Nell’immagine di sinistra si può notare il confronto tra i dati di gennaio e la media degli anni precedenti nello stesso mese. Nell’immagine di destra, invece, viene preso in esame il periodo tra settembre 2022 e gennaio 2023 e confrontato con la media storica dello stesso periodo.

La siccità è un problema soprattutto per l’agricoltura, settore che utilizza circa il 70 per cento di tutta l’acqua proveniente da fiumi, laghi e falde sotterranee sfruttata per le attività umane. Lo scorso anno la mancanza di acqua portata nei campi dai canali di irrigazione costrinse moltissimi agricoltori a scegliere quali coltivazioni irrigare e quali no, con conseguenze per raccolti, investimenti programmati e guadagni. Alcuni hanno commissionato lo scavo di nuovi pozzi, un’operazione molto costosa. Altri hanno cambiato le tecniche di irrigazione per sprecare meno acqua possibile, per esempio adottando la tecnologia dell’agricoltura di precisione.

Già dall’autunno le associazioni degli agricoltori hanno chiesto ai consorzi di bonifica e alle regioni di gestire meglio l’acqua: in sostanza, la richiesta è di non rilasciare l’acqua in questo periodo per alimentare le centrali idroelettriche, ma di custodirla negli invasi, come i laghi, in vista di periodi critici per l’agricoltura. È stata una delle soluzioni messe in campo lo scorso anno in diverse regioni in primavera, quando ci si rese conto che la siccità sarebbe stata straordinaria: molta dell’acqua, tuttavia, era già stata rilasciata.

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Lo scorso giugno in provincia di Torino, per esempio, l’azienda energetica Iren rilasciò dalla diga di Ceresole una quantità di acqua sufficiente a superare il momento critico delle coltivazioni. «Ora apprendiamo che anche quest’anno Iren avrebbe intenzione di venire in soccorso alle coltivazioni nel caso non bastasse l’acqua normalmente captata dai consorzi irrigui», ha detto Bruno Mecca Cici, presidente di Coldiretti Torino. «Pensiamo che questo atteggiamento di attenzione per il mondo agricolo sia un esempio da seguire in tutto il territorio torinese visto che tutti i segnali ambientali ci dicono che la prossima estate potrebbe essere nuovamente calda e secca». Programmare il deflusso con un certo anticipo consente agli agricoltori di arrivare alla stagione estiva con più tranquillità.

Anche in Lombardia la strategia è la stessa. Massimo Sertori, assessore regionale agli enti locali, alla montagna e alle risorse energetiche, ha chiesto a tutti i soggetti coinvolti nella gestione dell’acqua, specialmente alle aziende energetiche, di trattenerla il più possibile. I gestori degli invasi che alimentano le centrali idroelettriche non potranno rilasciare l’acqua, ma dovranno accumularla in vista dei prossimi mesi. «In questo momento, i soli interessi economici dei produttori elettrici devono stare in secondo piano», ha detto Sertori.

Una delle aree più in difficoltà lo scorso anno fu la Lomellina, un territorio nella zona occidentale della provincia di Pavia, dove nella maggior parte dei campi viene coltivato il riso. Oltre a limitare la crescita del riso, la mancanza di acqua ha causato la crescita di erbe infestanti che hanno compromesso il raccolto: alcuni risicoltori sono stati costretti a rinunciare a più del 50 per cento della produzione.

il Po a Sermide

Il Po a Sermide, in provincia di Mantova, lo scorso agosto (AP/Luigi Navarra)

Per evitare di ripetere l’annata disastrosa, nel mese di gennaio molti agricoltori hanno lavorato come non avevano mai fatto in passato: hanno sommerso i terreni anche in inverno in modo che l’acqua, filtrando nel suolo, ricaricasse la falda. In questo modo ce ne sarà di più a disposizione in primavera. È un sistema molto impegnativo in uno dei pochi periodi dell’anno in cui gli agricoltori possono riposare. «I dati sono la fotocopia dello scorso anno», dice Alberto Lasagna, direttore di Confagricoltura Pavia. «Stavolta però il livello della falda è migliore proprio per via dell’azione volontaria di diversi agricoltori che hanno sommerso le risaie in inverno. Purtroppo è complicato trovare soluzioni più efficaci in meno di un anno».

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Una delle soluzioni a cui fa riferimento Lasagna è la realizzazione di nuovi invasi per custodire l’acqua. Se ne discute da anni, senza che siano stati decisi investimenti significativi. La Coldiretti, associazione di categoria degli agricoltori italiani, ha studiato e proposto un progetto in collaborazione con l’ANBI per la costruzione di una rete di piccoli invasi diffusi sul territorio, con un basso impatto sul paesaggio e sull’ambiente perché recuperano strutture già esistenti.

Al momento, nonostante i fondi messi a disposizione dal PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza, ne sono stati realizzati pochissimi. Massimo Gargano, direttore generale dell’ANBI, ha detto che sono stati approvati 223 progetti esecutivi: l’obiettivo iniziale, e a questo punto irrealizzabile, era di costruirne 10mila entro il 2030 con un investimento di 3,2 miliardi di euro. «Alcuni sono anche stati già realizzati e inaugurati, ma stiamo parlando di poco più del 2 per cento del nostro piano», ha spiegato Gargano al Sole 24 Ore in riferimento ai 223 progetti avviati.

Anche in Veneto, una delle regioni in cui la situazione sembra essere più critica, il piano di realizzazione degli invasi stenta a partire nonostante le allerte diffuse lo scorso anno. La scorsa settimana, durante un’audizione dei consorzi di bonifica nella commissione consiliare che si occupa del tema, il direttore generale di ANBI Veneto, Andrea Crestani, ha detto che se in primavera non pioverà si dovranno valutare limitazioni alla distribuzione di acqua potabile: «Ovviamente speriamo che piova abbondantemente questa primavera, ma le falde sono al limite, gli invasi per l’agricoltura non basteranno. Mi rendo conto che questa sarà una decisione difficile, ma dobbiamo capire che arriviamo alla prossima stagione calda con i serbatoi vuoti».

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