Storie dal club del cucito

Astrid Reischwitz usa tessuti ricamati, foto e oggetti per tessere la sua storia, influenzata dalle donne del piccolo borgo agricolo in cui è cresciuta

Nei ricordi d’infanzia della fotografa Astrid Reischwitz, cresciuta in un piccolo borgo della Germania settentrionale e poi trasferitasi negli Stati Uniti, ci sono le donne che si incontravano per cucire, lavorare a maglia e ricamare, e i racconti che venivano tramandati in quelle occasioni.

Da tempo le tradizioni del posto, le vecchie foto di famiglia e gli oggetti quotidiani delle faccende domestiche – tovaglie a punto croce, arazzi (il più antico risalente al 1799), utensili da cucina, piatti da torta in porcellana ma anche fiori di campo appena colti – sono al centro del suo lavoro. Prima nella serie Stories from the kitchen table, in cui ha creato una rivisitazione personale delle storie che ha ascoltato per anni al tavolo della cucina mettendo insieme vecchie fotografie, tessuti tramandati da generazioni, oggetti e foto di oggi per ricordare la sua infanzia. E poi con Spin Club Tapestry – possiamo tradurre approssimativamente “spin club” (in tedesco Spinneklumps) come una sorta di “club del cucito”, in cui appunto le donne si incontravano a quello scopo e per socializzare –, che integra quel primo lavoro.

In Spin Club Tapestry Reischwitz di nuovo fotografa i tessuti ricamati, accosta quelle immagini ad alcune più contemporanee o vecchie fotografie di famiglia, e in più cuce sulla carta stessa seguendo i motivi dei tessuti originali o creandone di nuovi. Punto dopo punto, in particolare se si guarda il retro della fotografia ricamata, si ha l’impressione della frammentarietà dei ricordi, della loro incompletezza e dello spazio che lasciano per aggiungere storie nuove. Di recente i due lavori hanno formato le due parti di cui si compone Spin Club Stories, un libro pubblicato dalla casa editrice Kehrer Verlag.

Reischwitz ricorda quando si nascondeva sotto un tavolino e ascoltava la nonne e altre donne parlare in dialetto e come quei momenti siano stati importanti per la rivisitazione visiva e il racconto della sua storia famigliare, soprattutto in quanto emigrata lontana dal suo luogo d’origine: «Mentre cucivano, queste donne condividevano storie personali, offrendo supporto morale e consigli che sono diventati un collante sociale che ha unito molte di loro per tutta la durata della loro vita. In un minuscolo villaggio così legato alla tradizione, era un modo per mantenere vive le usanze, fino a quando alla fine hanno cominciato a condividere aneddoti davanti a un caffè e a una torta invece che ricamando».

Nella prefazione del libro Karen Hass, curatrice al Museum of Fine Arts di Boston e autrice di alcuni libri sulla fotografia, sottolinea come le parole testo e tessile abbiano la stessa radice etimologica, dal latino texere (tessere), e tutt’oggi si utilizzino frasi come “tessere un filo”, “tessere una storia” o “ricamare la verità” quando raccontiamo una storia. Nel suo caso il lavoro serve per ricostruire uno spazio di “memoria, identità e casa”.

Nella prima parte del libro le foto sono anche accompagnate da una parte testuale che dà informazioni su ciò che mostrano, sulle tradizioni del luogo e la storia dei suoi abitanti. È il  caso dell’unica immagine che possiede dei suoi nonni paterni, nel giorno del loro matrimonio, che furono imprigionati e morirono in un campo di concentramento durante la Seconda guerra mondiale. Completa la ricostruzione storica anche un testo di Anika Kreft, responsabile del dipartimento di Storia contemporanea del Museo di storia a Braunschweig (Germania), sulla vita e industrializzazione della regione intorno a Bortfeld, dove è nata Reischwitz.