Il “Dry January” serve a qualcosa?

L’iniziativa che promuove l’astinenza dall’alcol a gennaio ha effetti positivi sul breve e medio periodo, ma meno chiari riguardo all’influenza sulle abitudini a lungo termine

Dry January
Il personaggio dei “Simpson” Barney Gumble
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Il Dry January è un’iniziativa di origine inglese, che esiste da dieci anni e propone alle persone che vi aderiscono di astenersi dal bere bevande alcoliche di qualsiasi tipo per tutto il mese di gennaio, dopo gli eccessi a cui spesso ci si presta nel periodo delle festività. È diventata via via sempre più popolare, soprattutto nei paesi anglosassoni, e nel 2022 oltre 130 mila persone si sono iscritte alla campagna gestita dall’associazione di beneficenza che cura l’iniziativa, Alcohol Change UK. Anche in Italia, specialmente tra i giovani, è da qualche tempo entrata nei discorsi e nei propositi di inizio anno di molti.

Oltre alla notorietà, nel tempo, è cresciuto il numero di riflessioni e studi sul valore del Dry January e sugli effetti a breve e medio termine sulle abitudini delle persone. A parte gli effetti noti sulla salute, esistono prove dell’influenza positiva che rimanere sobri per un certo periodo di tempo può esercitare sugli stili di vita. Non è chiaro tuttavia quanto questo tipo di sospensione dell’assunzione di alcol possa riflettersi in benefici duraturi e a lungo termine nel caso di persone il cui consumo abituale sia eccessivo, problematico o patologico.

È un argomento che riguarda in particolare i paesi con elevati tassi di alcolismo: meno quelli in cui quei tassi sono più bassi, come l’Italia e altri del Sud Europa, anche in conseguenza di una diversa evoluzione delle funzioni e dei valori socioculturali del bere.

Le origini del Dry January risalgono a un’iniziativa di un’attivista inglese, Emily Robinson, che nel 2011 decise di non bere alcuna bevanda alcolica per tutto il mese di gennaio per prepararsi a correre una mezza maratona. Robinson si iscrisse poi all’associazione Alcohol Change UK, che nel 2013 trasformò quell’iniziativa in una campagna ufficiale: la prima edizione coinvolse circa 4 mila persone. Due anni dopo, l’iniziativa fu promossa anche dalla Public Health England, un’agenzia del dipartimento della Salute britannico, che contribuì a estenderne molto la popolarità in tutto il paese.

A dicembre scorso, secondo una stima di Alcohol Change UK, circa 9 milioni di persone nel Regno Unito avevano in programma di aderire al Dry January. E le percentuali di partecipazione sono cresciute molto anche negli Stati Uniti, sostenute dalle ricerche e dai sondaggi sui benefici dell’iniziativa.

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Una ricerca della University of Sussex guidata dallo psicologo Richard de Visser e condotta su oltre 800 partecipanti al Dry January del 2018 mostrò che tra quelle persone non bere nel mese di gennaio aveva favorito una generale riduzione nel consumo di alcol riscontrabile ancora ad agosto. Erano mediamente diminuite sia la frequenza delle sbornie (da 3,4 a 2,1 al mese), sia i giorni della settimana in cui le persone bevevano (da 4,3 a 3,3), sia le unità di alcol assunto in quei giorni (da 8,6 a 7,1).

Le persone riferirono inoltre notevoli benefici immediati tra cui un risparmio economico rilevante, una migliore qualità del sonno e una perdita di peso. E gli stessi benefici e cambiamenti dello stile di vita furono riferiti, seppure in misura minore, dalle persone che avevano aderito al Dry January ma non erano riuscite a rispettarlo perfettamente: dato interpretato dai ricercatori come una prova dell’influenza comunque positiva dell’iniziativa. Successivi sondaggi condotti dallo stesso gruppo di ricerca su campioni più estesi confermarono in parte gli stessi risultati.

Benefici sulla salute simili a quelli descritti nella ricerca della University of Sussex e in parte già noti sono documentati in uno studio pubblicato nel 2018 sul British Medical Journal e condotto da ricercatori e ricercatrici di diverse università e istituti del Regno Unito e degli Stati Uniti. Lo studio, che coinvolse un gruppo di persone abituate a bere con moderazione, mostrò che rimanere sobri per un mese ha effetti positivi non soltanto sul sonno e sul peso ma anche sulla funzionalità epatica e in termini di riduzione dei rischi cardiovascolari e del rischio di sviluppare il diabete.

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Le prove scientifiche dei benefici associati all’interruzione provvisoria dell’assunzione di alcol tendono a diminuire o a essere meno omogenee quando si cerca di capire quale lasso di tempo senza bere alcol possa essere considerato un tempo sufficiente a produrre effetti positivi. O quando si cerca di valutare se, a parità di unità assunte, bere ogni tanto sia più o meno dannoso che bere più spesso. «Di quest’idea che una disintossicazione di un mese ti prepari al resto dell’anno, tipo pulizie di primavera, credo non esista alcuna prova scientifica», ha detto a Wired l’epatologo inglese Gautam Mehta, coautore dello studio pubblicato sul British Medical Journal.

Alcune ricerche sostengono che una breve sospensione potrebbe non essere sufficiente a mitigare gli effetti del consumo di alcol. Due medici inglesi gemelli, Chris e Xand van Tulleken, condussero su sé stessi nel 2015 un esperimento supervisionato da specialisti dell’ospedale Royal Free a Londra. Dopo essere rimasti completamente sobri per un mese, cominciarono a bere la stessa quantità di alcol ogni settimana per un mese, ma in tempi diversi: Chris 3 unità di alcol (circa 250 ml di vino, un bicchiere) ogni sera, Xand 21 unità tutte insieme una volta a settimana.

I risultati dell’esperimento, peraltro oggetto di una puntata del programma televisivo BBC Horizon, mostrarono che alla fine del mese il consumo di alcol aveva provocato un aumento dell’infiammazione del fegato in entrambi i gemelli. E che l’interruzione di sei giorni tra una bevuta e l’altra non era sufficiente a riportare i livelli di infiammazione a valori normali.

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Smettere di bere per un certo periodo prolungato potrebbe inoltre comportare un rischio di “effetto rebound”, e cioè la possibilità che l’interruzione sia seguita successivamente da un consumo superiore rispetto al consueto. Secondo un’analisi condotta nel 2015 dal gruppo di ricerca della University of Sussex su un gruppo di partecipanti al Dry January, l’11 per cento delle persone che avevano aderito all’iniziativa ma senza portarla a termine aveva successivamente consumato più alcol del solito. Tra quelle stesse persone, a distanza di sei mesi, era inoltre significativamente più alta la frequenza delle sbornie rispetto a quella riferita dalle persone che avevano completato il Dry January.

Per quanto limitati, i dati sulla sospensione provvisoria del consumo di alcol suggeriscono che iniziative come il Dry January siano efficaci soprattutto tra le persone che bevono abitualmente con moderazione. E potrebbero invece non esserlo, o essere pericolose, con quelle che hanno un problema con l’alcol e potrebbero manifestare sintomi associati all’astinenza, come avverte anche l’associazione che promuove il Dry January.

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Come ha scritto sul sito The Conversation Ian Hamilton, esperto di dipendenze del Dipartimento di scienze della salute alla University of York, per alcune persone le probabilità che un cambiamento nelle abitudini di consumo di alcol sia stabile aumentano se quel cambiamento viene inteso non come «un processo binario, “bere” o “non bere”» ma più come un processo graduale. Questo approccio predispone inoltre a considerare eventuali insuccessi nel mantenere fede ai propri propositi in un senso non catastrofico e non colpevolizzante: sentimenti che tendenzialmente generano un’auto-approvazione deleteria a proseguire nell’abuso.

Secondo Hamilton, sugli effetti del Dry January servirebbero più ricerche a lungo termine, quelle estese oltre il periodo di sei mesi generalmente preso in considerazione nei sondaggi attuali. Tenendo conto della popolarità dell’iniziativa, il Dry January potrebbe peraltro essere una fonte di dati scientifici molto preziosa. Studiarli aiuterebbe a comprendere meglio i benefici per le persone e la durata di quei benefici per ciascun gruppo di partecipanti, magari distinti per abitudini di consumo di alcol, frequenza dell’attività fisica e abitudini alimentari.

Hamilton considera tutto sommato il Dry January un’iniziativa potenzialmente molto utile, purché non sia intesa dalle persone come un modo per sentirsi autorizzate a bere nel resto dell’anno.

Condividendo le stesse cautele, altre riflessioni descrivono il Dry January come un modo per provare ad affermare o ripristinare un qualche tipo di controllo sociale sul consumo di alcol, a fronte di una disponibilità materiale oggi sostanzialmente illimitata. Lo considerano, in altre parole, un modo per applicare una moderazione che storicamente è sempre passata attraverso rituali e norme culturali: norme peraltro ancora presenti in diversi contesti e che limitano molto, per esempio, il consumo di alcol da soli e non in gruppo.