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  • Martedì 10 gennaio 2023

Che fine hanno fatto le multe del lockdown

Una buona parte non è stata pagata, mentre molti processi per violazioni della quarantena si stanno concludendo con assoluzioni

polizia locale controlla un uomo in spiaggia
La Polizia locale di Rimini durante un controllo in spiaggia nell'aprile del 2020 (Comune di Rimini)
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Dal marzo del 2020, quando furono introdotte le prime restrizioni per contenere la diffusione dei contagi da coronavirus, le forze dell’ordine hanno fatto milioni di controlli a cui sono seguiti centinaia di migliaia di provvedimenti tra multe e denunce per aver violato le regole. Le restrizioni, dall’obbligo di mascherina al divieto di assembramento fino all’obbligo vaccinale, sono cambiate più volte a seconda della situazione epidemiologica: e l’accumularsi di decreti e circolari ha creato notoriamente un notevole caos di casistiche, tempistiche e norme diverse che spesso hanno confuso non soltanto le persone, ma anche chi quelle regole doveva farle rispettare.

Le sanzioni, invece, sono rimaste per lo più le stesse, cioè di tre diversi tipi: denunce penali per la violazione della quarantena, multe per il mancato rispetto delle regole contro la diffusione dei contagi, multe per chi non si è vaccinato nonostante l’obbligo.

Finita la fase più critica della pandemia, molte istituzioni come i tribunali e gli enti locali stanno facendo i conti, letteralmente, con quelle sanzioni. Come spesso accade, è complicato capire nel dettaglio che fine hanno fatto tutti i provvedimenti, quante persone hanno pagato e quante no, quanti ricorsi sono stati presentati e come si sono conclusi. Servirà tempo, forse anni, per avere dati più precisi, ma già ora è possibile farsi un’idea dell’orientamento prevalente della giustizia penale e amministrativa in merito alle multe e alle denunce legate alle restrizioni: in molti casi sono state confermate, in altri rimosse.

Una buona base di partenza per analizzare le sanzioni sono i dati messi a disposizione dal ministero dell’Interno, che nell’aprile del 2020 iniziò a pubblicare un rapporto quotidiano sui controlli. Dal marzo del 2020 al marzo del 2022 sono state fatte 808mila multe per violazione delle regole anti Covid, sono state denunciate 7.746 persone per aver violato la quarantena, mentre sono state quasi 40mila le multe nei confronti di negozianti che non hanno rispettato le disposizioni. La maggior parte delle multe sono state fatte durante la cosiddetta prima ondata, tra marzo e aprile del 2020.

L’andamento delle denunce per violazione della quarantena, meno legate alle regole modificate via via dal governo in seguito al peggioramento o al miglioramento della situazione epidemiologica, è stato abbastanza stabile nel tempo. Il mese in cui sono state denunciate più persone è stato novembre del 2020, all’inizio della seconda ondata quando furono introdotti i colori – bianco, giallo, arancione, e rosso – come indicatore per capire se ci si poteva spostare tra le regioni.

Le persone positive che hanno violato la quarantena sono state denunciate come previsto dall’articolo 260 del testo unico delle leggi sanitarie, il regio decreto 1265 del 1934. La violazione della quarantena è un reato definito contravvenzionale, quindi meno grave di un delitto, che prevede però l’arresto da tre a diciotto mesi e un’ammenda da 500 a 5.000 euro. Negli ultimi mesi sono iniziati alcuni dei processi nei confronti delle persone denunciate: tutti quelli di cui si ha notizia si sono conclusi con assoluzioni.

La scorsa settimana in tribunale a Milano è stato assolto un uomo di 38 anni: era stato denunciato il 15 gennaio 2022 in seguito a un controllo della polizia ferroviaria su un treno diretto a Bari, perché non aveva con sé il certificato di guarigione dal coronavirus. Tre giorni prima, il 12 gennaio, era risultato positivo a un test. Durante il controllo non aveva sintomi. La procura aveva chiesto una condanna di due mesi, ma la giudice Sara Fioretta lo ha assolto perché «il fatto non sussiste», una formula utilizzata per dire che l’imputato non ha commesso il reato. Gli stessi motivi che hanno convinto la giudice ad assolvere il 38enne sono alla base di numerosi decreti di archiviazione e sentenze di assoluzione pronunciate dai tribunali italiani negli ultimi mesi.

In sostanza, le inchieste hanno chiarito che si può parlare di “violazione della quarantena” soltanto nei casi in cui sia stato emanato un provvedimento specifico da parte dell’autorità sanitaria. Questo provvedimento non può essere generico, ma personale: deve essere cioè notificato direttamente alla persona positiva con un’ordinanza del sindaco, autorità che ha competenza della salute pubblica.

Il problema è che il governo non ha mai provveduto a fissare regole per la comunicazione della quarantena: il risultato è che le aziende sanitarie hanno comunicato soltanto saltuariamente i nomi delle persone positive ai sindaci, che di conseguenza non hanno firmato ordinanze specifiche. In assenza di un presupposto necessario del reato, cioè il provvedimento personale di quarantena, la condotta delle persone imputate è considerata priva di rilevanza penale. L’orientamento della giustizia italiana sembra essere consolidato: con questa motivazione sono state assolte persone a Milano, a Varese, a Bolzano e in altre province.

I casi più gravi riguardano le denunce per epidemia colposa, con pena da uno a cinque anni, nei confronti di persone positive accusate di aver diffuso il contagio. Come è accaduto per le inchieste avviate in seguito alle morti accertate nelle Rsa, le residenze sanitarie per anziani, anche in questo caso i magistrati sembrano propendere per l’archiviazione. È molto difficile, infatti, dimostrare il nesso causale tra le azioni degli accusati e i contagi perché durante una pandemia è quasi impossibile tracciare esattamente il contagio, cioè capire il percorso fatto dall’infezione. In mancanza del nesso causale, cioè della certezza che una persona si sia ammalata a causa dell’azione di una persona positiva, anche il reato viene meno.

– Leggi anche: Che fine hanno fatto le inchieste sulla pandemia

La maggior parte delle multe per il mancato rispetto delle regole introdotte per evitare la diffusione dei contagi, invece, è stata confermata. Le multe – da un minimo di 400 euro, ridotti a 280 euro se pagati entro cinque giorni, fino a un massimo di 3.000 euro – sono state fatte a persone che non indossavano la mascherina, che non rispettavano il coprifuoco, gruppi che non rispettavano il divieto di assembramento e il distanziamento fisico di un metro, il divieto di organizzare feste in luoghi chiusi con più di 40 persone, il divieto di spostarsi tra regioni o tra comuni a seconda delle misure restrittive in vigore, il divieto di consumare cibi e bevande nei locali a partire dalle 18.

Nei primi mesi dell’emergenza coronavirus alcuni giudici di pace ravvisarono una presunta illegittimità dei decreti del governo, e ci sono stati molti casi di notifiche sbagliate a causa dell’errata interpretazione delle regole da parte delle forze dell’ordine, ma diverse sentenze hanno confermato che in generale le restrizioni erano valide e le multe possono essere riscosse.

carabiniere controllo restrizioni coronavirus

Un carabiniere durante un controllo per il rispetto delle limitazioni relative agli spostamenti (Emanuele Cremaschi/Getty Images)

Negli ultimi mesi alcuni giornali locali hanno pubblicato un primo bilancio delle riscossioni: in Friuli Venezia Giulia ha pagato un multato su tre, stessa percentuale a Reggio Emilia, a Prato uno su due, mentre nel 2020 a Pesaro era stato pagato soltanto l’8 per cento delle multe. Sono dati relativi a singole regioni o a città piuttosto piccole, e quindi non indicativi di una tendenza nazionale, ma comunque significativi e in linea con i mancati pagamenti relativi a sanzioni per violazioni del codice della strada. Essendo sanzioni amministrative, anche le multe legate al Covid vengono gestite come un sorpasso vietato o un eccesso di velocità. Si possono pagare entro cinque giorni con uno sconto del 30 per cento oppure si può fare ricorso al giudice di pace entro 30 giorni dalla notifica.

Se non si paga, la prefettura iscrive a ruolo le multe: significa che produce un documento con cui certifica di avere un credito nei confronti della persona multata. L’iscrizione a ruolo viene presa in carico dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER), azienda controllata dallo Stato, che in teoria può chiedere il pignoramento dei beni del trasgressore tra cui il blocco di un quinto dello stipendio. Le multe si prescrivono in cinque anni, ma basta l’invio di un sollecito per far allungare il tempo concesso all’ADER per riscuotere quanto dovuto.

L’ultimo caso riguarda le multe date alle persone con più di 50 anni che non hanno rispettato l’obbligo vaccinale. Lo scorso anno, all’inizio di gennaio, il governo guidato da Mario Draghi aveva approvato un decreto che introdusse l’obbligo vaccinale per le persone con più di 50 anni: chi non si fosse vaccinato entro l’1 febbraio avrebbe dovuto pagare una multa da 100 euro. La stessa sanzione era stata prevista per medici e insegnanti. Una volta ricevuto l’avviso di pagamento, la persona multata ha avuto 10 giorni di tempo per comunicare esenzioni o eventuali errori del ministero. In caso di conferma, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha dovuto comunicare l’addebito alla persona multata entro 180 giorni, a cui poteva seguire un ricorso al giudice di pace.

Secondo le stime diffuse da molti giornali, in totale sono state inviate 1,8 milioni di multe, al netto di errori e ricorsi già conclusi: lo Stato dovrebbe ricevere 180 milioni di euro. All’inizio di dicembre la commissione Giustizia al Senato, però, ha approvato un emendamento al decreto-legge sui “raduni pericolosi” che prevede la sospensione fino al 30 giugno 2023 delle multe di 100 euro per le persone non vaccinate. L’emendamento, presentato dai senatori della Lega Erika Stefani, Manfredi Potenti e Massimiliano Romeo, prevede anche la “sospensione delle attività” legate alle sanzioni: di fatto chi ha ricevuto la multa può non pagarla almeno fino al 30 giugno di quest’anno.

La sospensione delle multe è un modo per non prendere una posizione più netta, come sarebbe per esempio quella di abolirle del tutto, dopo che la Corte costituzionale aveva giudicato legittimo l’obbligo vaccinale imposto dal governo Draghi. Tuttavia il governo ha soltanto rinviato di sei mesi la questione, perché entro la fine di giugno dovrà decidere cosa fare. Le ipotesi sono tre: non fare nulla, e quindi tornare a chiedere il pagamento dopo il 30 giugno, rinviare la scadenza del periodo di sospensione oppure cancellarle del tutto.