• Mondo
  • Lunedì 31 ottobre 2022

Le teorie complottiste sull’aggressione a Paul Pelosi

Riguardano l'attacco subìto dal marito della speaker della Camera statunitense: sono state promosse dai Repubblicani e da Elon Musk

(AP Photo/Eric Risberg)
(AP Photo/Eric Risberg)
Caricamento player

Nei giorni successivi all’aggressione a Paul Pelosi, marito della speaker della Camera statunitense Nancy Pelosi, diversi leader politici statunitensi e internazionali hanno fatto dichiarazioni molto nette contro l’aggressione e di vicinanza a Nancy Pelosi, una delle leader più riconoscibili e rispettate dei Democratici americani. Fra di loro però ci sono stati ben pochi Repubblicani.

Paul Pelosi è stato aggredito da un uomo che venerdì mattina era riuscito a entrare nella casa della famiglia Pelosi a San Francisco, in California. Dopo l’aggressione Pelosi era stato ricoverato in ospedale per alcune ferite: ha subito un’operazione per una frattura al cranio e ora non è in pericolo di vita.

Una grossa fetta del Partito Repubblicano ha preferito promuovere teorie complottiste sull’aggressore e insinuare che l’attacco possa essere stato organizzato dai Democratici per attrarre simpatie politiche e consensi alle elezioni di metà mandato, in programma martedì 8 novembre. Fra le persone che hanno diffuso teorie di questo genere ci sono diversi ex collaboratori dell’ex presidente Donald Trump, ma anche l’imprenditore Elon Musk, da poco proprietario di Twitter, che di recente si è molto avvicinato ad ambienti di destra. Diversi senatori e deputati Repubblicani hanno condannato l’attacco ma con toni piuttosto ambigui.

Dall’elezione di Donald Trump il Partito Repubblicano e il suo elettorato si sono spostati molto a destra condividendo tesi illiberali e teorie complottiste. Un sondaggio realizzato da NBC News a fine settembre ha stimato che il 61 per cento degli elettori Repubblicani ritiene che Joe Biden abbia vinto le elezioni presidenziali del 2020 grazie a dei brogli, una tesi ripetutamente smentita dai fatti ma ancora oggi promossa da Trump.

La stessa Nancy Pelosi è oggetto da anni di una sistematica e aggressiva campagna di demonizzazione da parte di giornali, tv e attivisti di destra, in quanto leader fra i più visibili del Partito Democratico. Molti dei sostenitori di Trump che il 6 gennaio 2021 assaltarono il Congresso statunitense per protesta contro l’elezione di Biden cantavano cori contro Pelosi, che fu immediatamente scortata in un posto sicuro perché ritenuta in pericolo di vita.

Le posizioni radicali di molti dirigenti ed elettori del partito sono fra i principali elementi di tensione politica nella campagna elettorale delle elezioni di metà mandato, in cui si rinnoveranno tutti i seggi della Camera e un terzo di quelli del Senato. Poche ore dopo l’aggressione, in un bollettino ufficiale di allerta, il governo statunitense ha annunciato una «crescente minaccia» di estremismo politico violento nei confronti di candidati e funzionari pubblici impiegati nel processo elettorale.

L’aggressore di Paul Pelosi si chiama David DePape, ha 42 anni ed è un convinto attivista di estrema destra. Cura un blog che pubblica numerosi contenuti antisemiti e complottisti fra cui le tesi di QAnon, uno dei più importanti movimenti complottisti dell’estrema destra americana. DePape inoltre si dichiara sostenitore di Donald Trump e ostile al comunismo e ai vaccini. Intorno alle 2 di notte di venerdì era entrato nella casa dei Pelosi gridando il nome «Nancy». Poi ha cercato di prendere in ostaggio Paul Pelosi, colpendolo ripetutamente con un martello; intorno alle 2.30 DePape è stato fermato e arrestato dalla polizia. Poche ore dopo è stato incriminato per tentato omicidio, assalto con arma letale, violazione di domicilio aggravata e altri capi d’accusa minori.

Dalle ore successive all’aggressione in vari ambienti della destra hanno iniziato a diffondersi alcune teorie alternative sull’attacco a Pelosi. Roger Stone, consulente politico Repubblicano fra i più noti collaboratori di Trump, nel suo canale Telegram ha parlato di un «presunto attacco» nei confronti di Pelosi: «una vicenda che puzza». Dinesh D’Souza, popolarissimo commentatore di destra, twitta da giorni notizie non verificate sull’aggressione e parla apertamente di una false flag, cioè di un’operazione organizzata dagli stessi Pelosi per mettere in cattiva luce i Repubblicani.

Una pattuglia della polizia blocca la strada dove si trova la casa dei Pelosi a San Francisco (AP Photo/Eric Risberg)

Molte delle accuse avanzate dai Repubblicani provengono da un articolo del Santa Monica Observer, uno screditato giornale locale californiano che sabato aveva pubblicato un articolo intitolato «L’amara verità: Paul Pelosi era di nuovo ubriaco, e nelle prime ore di venerdì ha litigato con un uomo pagato per fare sesso».

L’articolo, poi cancellato, sosteneva che Pelosi e DePape si fossero incontrati in un locale della comunità LGBT+ e che si fossero spostati a casa di Pelosi per avere un rapporto sessuale, ma che poi avessero litigato per una ragione non chiarissima. L’articolo sosteneva che Pelosi avesse accolto volontariamente DePape in casa propria, riportando diversi pareri scettici sul fatto che DePape fosse riuscito da solo a superare le misure di sicurezza che di solito si applicano alla residenza di un politico di alto livello.

Nessuna delle tesi citate dal Santa Monica Observer è stata riportata dalla polizia, dalla procura di San Francisco o dai giornali più affidabili. Non esiste alcuna prova che Pelosi fosse ubriaco e che avesse conosciuto DePape in un locale gay, portandolo a casa con l’intenzione di fare sesso con lui. Il capo della polizia di San Francisco, William Scott, ha ribadito più volte che l’aggressione di DePape è stata accuratamente pianificata e non è avvenuta «per caso».

Quanto alle presunte misure di sicurezza intorno alla casa dei Pelosi, il New York Times ha fatto notare che Pelosi è costantemente sorvegliata da guardie di sicurezza, ma che questa protezione non si estende ai suoi familiari. La sera dell’attacco Nancy Pelosi si trovava a Washington, a migliaia di chilometri di distanza da San Francisco.

Nonostante le informazioni fornite dal Santa Monica Observer fossero facilmente verificabili, nel weekend l’articolo era circolato moltissimo fra gli account vicini alla destra. Domenica mattina lo aveva ripubblicato anche Elon Musk, rispondendo a un tweet di Hillary Clinton, ex candidata dei Democratici alle elezioni presidenziali del 2016. «C’è una piccola possibilità che questa storia non sia esattamente come appare», aveva commentato Musk linkando l’articolo.

(il tweet di Musk sull’aggressione a Paul Pelosi)

Secondo Axios la condivisione dell’articolo da parte di Musk, che su Twitter ha 112 milioni di follower, ha verosimilmente sovraccaricato il sito del Santa Monica Observer, che domenica mattina non era più raggiungibile. Musk ha poi cancellato il tweet, senza dare alcuna spiegazione. Nella notte fra domenica e lunedì ha preso in giro un articolo del New York Times dal titolo «Elon Musk ha condiviso un link da un sito noto per diffondere notizie false».

Prima di finalizzare l’acquisto di Twitter, Musk aveva detto più volte di volere rilassare le regole di moderazione del social network, a suo dire eccessivamente severe. Diversi esperti di disinformazione temono che il nuovo approccio di Musk consentirà una rinnovata proliferazione di notizie false su Twitter, promossa soprattutto da account vicini alla destra.

Molti parlamentari Repubblicani non hanno condiviso le teorie complottiste sull’aggressione di Pelosi, ma si sono rifiutati di condannarle esplicitamente, o hanno lasciato intuire che potrebbero contenere un fondo di verità. O che in ogni caso i Pelosi se la siano cercata, dato che da anni osteggiano i Repubblicani.

Tom Emmer, deputato e responsabile della campagna elettorale del Partito Repubblicano per le elezioni di metà mandato, ha detto che «non c’è posto per la violenza nella nostra società», ma ha aggiunto che «sull’incidente di San Francisco, per quanto tragico, dobbiamo ottenere più informazioni». Diversi commentatori di Fox News, una tv molto vicina all’ala destra del partito, hanno addossato la responsabilità dell’aggressione al clima di grande polarizzazione politica negli Stati Uniti, sostenendo implicitamente che anche le posizioni di Pelosi abbiano contribuito a peggiorare la situazione.

Altri Repubblicani si sono rifiutati di individuare un legame fra la retorica estremista di alcuni eletti, dirigenti e commentatori di destra e l’aggressione a Paul Pelosi.

Il governatore del New Hampshire Chris Sununu, Repubblicano, ha legato l’aggressione al fatto che «le persone sono arrabbiate per via dell’inflazione», cioè l’aumento generale dei prezzi che i Repubblicani imputano alle politiche economiche di Biden. In un’intervista televisiva Ronna McDaniel, presidente del partito, ha definito l’aggressore «un folle» che non sarebbe corretto associare ai Repubblicani.

Dall’elezione di Donald Trump l’ala radicale del partito ha ottenuto sempre più potere, riuscendo a spostare verso destra anche l’elettorato storico dei Repubblicani. Gli eletti o i candidati più moderati non possono permettersi di mettersela contro, in vista delle elezioni di metà mandato che in moltissimi stati saranno verosimilmente vinte o perse per poche decine di migliaia di voti.