Chi ha ragione fra Draghi e Meloni sul PNRR

Finora l'Italia ha rispettato tutti gli obiettivi fissati dalla Commissione Europea, ma ci sono effettivamente ritardi e lentezze

(Mauro Scrobogna /LaPresse)
(Mauro Scrobogna /LaPresse)
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Negli ultimi giorni il presidente del Consiglio uscente Mario Draghi e la probabile leader del prossimo governo, Giorgia Meloni, hanno avuto una piccola polemica a distanza sull’avanzamento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, cioè il programma del governo per spendere i fondi europei del cosiddetto Recovery Fund.

Mercoledì 5 ottobre in una riunione interna al suo partito, Fratelli d’Italia, Meloni aveva detto che «i ritardi del PNRR sono evidenti e difficili da recuperare». La dichiarazione era poi filtrata su tutti i giornali. Nel pomeriggio in un discorso alla cabina di regia sul PNRR Draghi aveva risposto indirettamente a Meloni, spiegando che «non ci sono ritardi nell’attuazione del PNRR: se ce ne fossero, la Commissione non verserebbe i soldi». Draghi si riferisce al fatto che i fondi del Recovery Fund vengono erogati ogni sei mesi dalla Commissione Europea sulla base degli obiettivi raggiunti.

Effettivamente, ad oggi, il governo italiano ha ottenuto senza intoppi i fondi che aveva preventivato di ottenere: 24,9 miliardi di euro di prefinanziamento e 21 miliardi per la prima rata, riferita agli obiettivi degli ultimi sei mesi del 2021. Di recente la Commissione ha annunciato che erogherà a breve la seconda rata, valida per gli obiettivi dei primi sei mesi del 2022.

Ma in effetti l’erogazione dei fondi da parte della Commissione citata da Draghi racconta soltanto una parte della storia. Come del resto segnala anche la recentissima Relazione sullo stato di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PDF) pubblicata mercoledì proprio dal governo. Meloni, insomma, non ha tutti i torti quando dice che l’Italia è in ritardo su alcuni aspetti dell’attuazione del PNRR.

L’erogazione dei fondi è legata a obiettivi intermedi (chiamati milestone) e finali (target). L’Italia ha raggiunto tutti e 51 gli obiettivi previsti per il 2021 e i 45 relativi ai primi sei mesi del 2022, ed è a buon punto per raggiungere i 55 previsti per il 2022. Secondo Draghi entro la fine di ottobre ne avrà realizzati 29.

Molti di questi obiettivi però sono dei milestone, cioè obiettivi intermedi, ben più facili da raggiungere rispetto ai target. Per raggiungere alcuni milestone è sufficiente infatti che alcune procedure legislative o di finanziamento siano state semplicemente avviate, a prescindere da quanto siano davvero in linea con i programmi e le aspettative del governo. Se si guarda alla cosiddetta attuazione finanziaria, cioè alla effettiva realizzazione delle spese previste, in questi mesi il governo italiano ha molto ridotto le sue aspettative sul 2022 per via di lentezze e fatiche nella spesa concreta dei fondi.

Il Sole 24 Ore fa notare che il governo Draghi col tempo ha ridotto le previsioni di spesa relative al PNRR fra 2020 e 2022: «in partenza erano fissate a 41 miliardi, poi erano state ridotte a 33,7 miliardi dal Documento economia e finanza (Def) dello scorso aprile e ora ancora ridotte con la Nota di aggiornamento al Def (Nadef) a 20,5 miliardi (5,5 per il 2020- 2021 e 15 per l’anno 2022)». In sintesi: nel primo anno e mezzo di attuazione del PNRR il governo è riuscito a spendere la metà dei fondi che aveva preventivato.

Nell’ultima Nadef, pubblicata a fine settembre, il governo aveva già spiegato che «il ritardato avvio di alcuni progetti riflette, oltre ai tempi di adattamento alle innovative procedure del PNRR, gli effetti dell’impennata dei costi delle opere pubbliche», legati all’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia.

Ma ci sono altri elementi che si possono legittimamente considerare preoccupanti: per esempio il fatto che finora le spese effettuate nell’ambito del PNRR hanno riguardato soprattutto progetti già esistenti e avviati che sono stati inseriti nel PNRR per assicurarne il completamento. Nella Relazione appena pubblicata dal governo si legge che ad oggi le spese «riguardano prevalentemente gli investimenti relativi alla realizzazione di opere e infrastrutture (come gli interventi connessi al potenziamento dei collegamenti ferroviari), gli investimenti legati all’ecobonus e al sisma-bonus e quelli finalizzati a sostenere la trasformazione tecnologica delle imprese».

Soltanto dal 2023 «si prevede invece un sostanziale incremento delle spese legate a nuovi interventi». Sembra difficile però che il prossimo governo, ma in realtà qualsiasi governo, sia più rapido a spendere soldi per progetti nuovi e da avviare da zero – quindi con tutte le fasi di progettazione, apertura di bandi, cantieri, eccetera – che per progetti già avviati. L’Italia ha tradizionalmente enormi difficoltà a spendere i fondi europei che riceve, soprattutto per via di lacune nelle amministrazioni a livello locale. Nella Nadef il governo Draghi stima che fra 2023 e 2024 il prossimo governo dovrà spendere 87,4 miliardi dal PNRR, più del quadruplo di quelli spesi finora.

(grafico contenuto nella Relazione sullo stato di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza)

Il Corriere della Sera scrive inoltre che finora il governo Draghi ha rispettato tutti gli obiettivi che riguardavano l’approvazione di riforme legate all’erogazione dei fondi del PNRR, ma quasi sicuramente il nuovo governo non ce la farà. La riforma fiscale è saltata negli ultimi giorni della legislatura per volontà della coalizione di destra, «mentre molti dei disegni di legge delega, come quello sulla Concorrenza, mancano dei decreti attuativi. La scadenza è il 31 dicembre: impossibile per il nuovo Parlamento fare in tempo».