Come hanno reagito i mercati finanziari alle elezioni in Italia

Come nel 2018 non ci sono state particolari preoccupazioni, perché al di là di chi governa la priorità viene data alla stabilità

(AP/Richard Drew)
(AP/Richard Drew)
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Nei giorni successivi alle elezioni politiche italiane e alla netta vittoria della coalizione di destra e di Giorgia Meloni non ci sono stati movimenti eccessivamente bruschi nei principali indicatori dei mercati finanziari. Potrebbe sembrare una sorpresa, visto che negli anni è stata alimentata la percezione che gli investitori internazionali si spaventino per ogni grosso avvenimento nella politica italiana, ma questo non è avvenuto sia perché il risultato delle elezioni era ampiamente previsto, sia perché ha determinato una probabile stabilità di governo per il futuro a breve termine.

I cosiddetti “mercati”, cioè l’insieme degli operatori che investono in titoli, che siano azioni di società o titoli di stato, non fanno differenza tra i colori dei partiti: si interessano principalmente alla stabilità politica e alla fiducia nella crescita economica futura. La ricaduta finanziaria di queste elezioni è stata poi messa in secondo piano dalla crisi finanziaria che sta vivendo il Regno Unito, che ha scosso allo stesso modo quasi tutti i mercati europei.

Nelle settimane precedenti il voto la stampa internazionale si era mostrata piuttosto preoccupata dell’esito di queste elezioni. Il Financial Times aveva pubblicato un’inchiesta che sosteneva che i grandi fondi di investimento stessero preparandosi a speculare sull’instabilità politica dopo le elezioni. Un commento sul Guardian uscito qualche giorno prima del voto sosteneva che «le conseguenze economiche e sociali di un’amministrazione Meloni sarebbero probabilmente terribili».

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L’Economist ha dedicato una copertina piuttosto cupa a Meloni, chiedendosi quanto dovrebbe preoccuparsi l’Europa di un suo governo. In realtà, nell’editoriale si spiega come i margini di azione di un suo futuro governo saranno molto limitati dallo scenario internazionale e che a livello economico è probabile che seguirà una linea prudente, quantomeno all’inizio.

Quali sono gli indicatori da tenere d’occhio
Sono principalmente tre: i tassi di interesse sul debito pubblico, lo spread e l’andamento generale della borsa italiana.

Partiamo con quest’ultimo. L’indice di riferimento è il FTSE Mib (si legge futsi mib), che raggruppa l’andamento dei principali titoli azionari quotati nella borsa italiana. I titoli perdono o guadagnano valore a seconda di varie cose, come il successo dell’azienda, l’andamento generale del settore, notizie che possono impattare sull’operato dell’impresa, ma anche le caratteristiche politiche ed economiche del paese in cui queste società si trovano. L’incertezza politica non crea un ambiente favorevole agli affari, e questo condiziona molto spesso l’andamento dei titoli quotati.

Poi ci sono i tassi di interesse sul debito pubblico, che indicano quanto gli investitori chiedono indietro per prestare denaro all’Italia. Si definiscono al momento delle aste dei titoli di stato, il cosiddetto mercato primario, quando vengono emessi nuovi titoli a fronte del versamento del prestito da parte dell’investitore. Funzionano in modo diverso a seconda della scadenza dei titoli, ma in generale in queste aste gli investitori stabiliscono un prezzo, che sarà tanto più basso rispetto a quello nominale quanto più giudicheranno a rischio la stabilità finanziaria del paese che li emette. Il prezzo dei titoli è poi inversamente proporzionale al tasso di interesse che garantiscono.

Quindi più il tasso di interesse sui titoli di stato è alto, più un paese è considerato a rischio. Gli investitori chiedono il cosiddetto “premio per il rischio”, una somma aggiuntiva per sobbarcarsi l’onere di detenere in portafoglio un titolo rischioso. Questa dimensione entra anche nel secondo indicatore da tenere d’occhio, lo spread. Misura la differenza che c’è tra i rendimenti di due titoli, indicando quindi la differente percezione di rischio tra i due.

Solitamente il paragone viene fatto con i titoli di stato tedeschi, i cosiddetti Bund, perché sono quelli ritenuti meno rischiosi in assoluto dato che la Germania è considerato il paese economicamente più solido e affidabile d’Europa. È di fatto un indice piuttosto realista di quale sia la rischiosità relativa che viene percepita dagli investitori.

– Leggi anche: Ripassiamo: cos’era quindi lo spread?

Nella settimana dopo le elezioni ci si poteva aspettare qualche agitazione sui mercati finanziari italiani. Invece, lunedì 26 il FTSE Mib ha registrato una crescita dello 0,7 per cento e ha raggiunto il migliore risultato europeo di giornata. Quel giorno, oltretutto, l’attenzione è stata rivolta principalmente al tracollo della sterlina e del mercato obbligazionario inglese. Tanto che sulle agenzie di stampa, più che del differenziale tra BTP italiani e Bund tedeschi, si è parlato del fatto che lo spread tra i rendimenti inglesi e quelli tedeschi sia arrivato ai massimi da 30 anni.

La concomitanza di questi due eventi, elezioni italiane e crollo della finanza britannica, è molto utile per capire come ragionano i mercati: agli investitori interessa poco il colore di un governo o chi lo guida, ma interessa piuttosto quello che il governo fa. Chi dà l’impressione di volersi indebitare troppo, di non tenere sotto controllo i conti e di non voler rispettare le regole base di finanza pubblica fa preoccupare gli investitori.

Nel complesso, però, la settimana non è stata positiva per il mercato finanziario italiano. Rispetto a venerdì scorso, la borsa ha perso infatti il 2 per cento del suo valore. Ma sono stati giorni difficili per tutte le piazze finanziarie: la borsa tedesca ha perso l’1,4 per cento, quella di Madrid il 2,9, quella francese lo 0,4 per cento e quella di Londra l’1,8. Gli investitori sono molto preoccupati della tenuta dell’economia mondiale, dell’inflazione che non accenna a rallentare, delle politiche monetarie delle banche centrali che potrebbero diventare sempre più aggressive. Nel calo del FTSE Mib, quindi, ci sono pochi timori specifici sull’Italia.

E questo si nota anche dall’andamento dello spread. È vero che è sensibilmente più alto rispetto a un anno fa e rispetto anche ai livelli degli altri paesi, ma bisogna mettere tutto in prospettiva.

Se si mettono a confronto gli spread dei principali paesi europei, si nota che sono tutti in aumento e che seguono proprio la stessa traiettoria, sebbene siano tutti su livelli diversi. Significa che non c’è uno specifico rischio legato all’Italia e che tutti questi paesi sono percepiti come più rischiosi di prima, allo stesso modo. L’unico momento in cui la traiettoria dello spread italiano si è discostata dagli altri è stato alla caduta del governo Draghi e nelle settimane successive, in cui c’è stata molta incertezza ed effettivamente gli investitori ne hanno risentito. Ma il voto in sé in realtà ha pesato poco.

In più c’è anche un discorso tecnico. La Banca Centrale Europea da luglio ha iniziato ad aumentare i tassi di interesse per combattere l’inflazione. Questo ha comportato un rialzo generale dei tassi di interesse sui mercati, compresi quelli dei titoli di stato. E sono aumentati anche i rendimenti dei Bund tedeschi, sebbene meno di quelli degli altri paesi (altrimenti gli spread non si sarebbero allargati, ma sarebbero rimasti costanti).

Se guardiamo a cosa è successo in occasione delle elezioni del 2018, si nota la stessa dinamica: non c’erano stati particolari movimenti dello spread dopo il voto. Al contrario, era aumentato molto quando era circolato il contratto di governo dell’alleanza che si stava formando tra la Lega e il Movimento 5 Stelle. In quel momento i mercati avevano avuto la percezione che il governo che si stava formando avrebbe avuto poca attenzione per la tenuta dei conti pubblici. Per quanto riguarda quello che succederà nei prossimi mesi, dipenderà dalla fiducia che si guadagneranno il governo e soprattutto il ministro o la ministra dell’Economia da parte degli investitori internazionali.