Come il cognac Hennessy ha conquistato l’hip hop

È citato in centinaia di canzoni per via di un rapporto con la comunità afroamericana cominciato nella Seconda guerra mondiale

(Noel Vasquez/Getty Images for Hennessy)
(Noel Vasquez/Getty Images for Hennessy)
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C’è un marchio di cognac francese che è citato in centinaia di canzoni rap e hip hop, da Snoop Dogg a Cardi B, da Beyoncé a Drake, fin dal 1992, quando Tupac Shakur scrisse “Hennessy”, uscita poi nel suo quinto album postumo Loyal to the Game, in cui cantava: «Vogliono sapere qual è il mio punto di riferimento: lo trovate in una bottiglia marrone. Qual è il mio cazzo di motto? Hennessy!».

L’Hennessy è insomma uno dei liquori più citati della storia della musica, e ha simboleggiato in particolare un pezzo di uno stile di vita rimasto radicato nella cultura hip hop per oltre trent’anni. Il motivo dietro all’onnipresenza dell’Hennessy nelle canzoni rap risiede in un lungo lavoro di fidelizzazione della comunità afroamericana da parte dell’azienda che lo mette in commercio, come ha raccontato un recente articolo di District Magazine.

Prodotto dal 1765, l’Hennessy è un brandy, ovvero un distillato a base d’uva proveniente dalla regione del Cognac, nel sud-est della Francia. Nello stesso modo in cui tutti gli champagne sono vini spumanti, ma non tutti i vini spumanti sono champagne, il brandy prodotto in quei territori ha una denominazione speciale e viene fatto secondo standard controllati. Oggi esistono quattro grandi case produttrici di cognac famose in tutto il mondo: Martell, Courvoisier, Rémy Martin e, appunto, Hennessy, che da qualche anno appartiene al conglomerato di marchi di lusso LVMH (Louis Vuitton, Moët, Hennessy).

Nonostante la provenienza, oggi questo liquore è venduto principalmente al di fuori della Francia: il Paese esporta più del 97% del cognac che produce, in larga parte verso gli Stati Uniti. Il legame con la cultura afroamericana, però, precede di molto gli anni d’oro del rap degli anni Novanta. Secondo Emory Tolbert, professore di storia intervistato da Slate sul tema, la familiarità dei consumatori afroamericani con il cognac può essere fatta risalire alla prima metà del Novecento. Cioè quando, abituati ai marchi di whisky che esibivano un’iconografia nazionalista legata al Sud confederato, 200 mila soldati neri di stanza in Francia nella Seconda guerra mondiale conobbero per la prima volta il brandy.

A cavallo tra le due guerre mondiali, mentre negli Stati Uniti si moltiplicavano le leggi volte a istituzionalizzare la segregazione razziale, la Francia divenne un punto di riferimento culturale per la comunità afroamericana e la sua diaspora. Oltre ai tanti soldati che avevano deciso di rimanere in Francia, si trasferirono lì anche molti artisti, musicisti e scrittori afroamericani. Simbolo di quel periodo, detto “les années folles” (“gli anni pazzi”), fu Josephine Baker, cantante, ballerina e attivista americana che visse quasi tutta la sua vita a Parigi e che negli anni Trenta ispirò anche un cocktail proprio a base di cognac.

Nel secondo dopoguerra, i gusti dei francesi cominciarono a cambiare, e il consumo interno di cognac cominciò ad essere soppiantato da una passione nazionale per lo scotch, il whisky prodotto in Scozia: ancora oggi, i francesi sono tra i principali consumatori al mondo. Così, i produttori di cognac cominciarono a guardare al mercato statunitense, e specificatamente a quello afroamericano.

Una pubblicità del 1983.

Fu in quegli anni che l’Hennessy cominciò ad essere conosciutissimo in quel gruppo demografico: l’azienda francese fu tra le prime ad acquistare ingenti spazi pubblicitari su riviste come Ebony e Jet – scritte da e per gli afroamericani – premurandosi di ingaggiare attori neri all’interno di pubblicità che raffiguravano stili di vita raffinati, a cui aspirare. Negli anni Sessanta, in un momento in cui le persone afroamericane che ricoprivano ruoli di responsabilità erano pochissime e malviste, l’azienda nominò come vicepresidente per lo sviluppo del mercato nelle zone urbane l’ex atleta olimpico nero Herb Douglas, tra i primissimi ad avere un ruolo simile in una grande multinazionale.

L’Hennessy insomma entrò negli armadietti dei liquori di gran parte delle famiglie afroamericane, una forma di presenza che tornò utile nel giro di qualche anno. «Quando l’hip hop iniziò a diventare veramente globale tramite MTV, il cognac e Hennessy in particolare iniziarono a essere molto citati dai rapper. Veniva visto come simbolo di un lusso d’altri tempi, del sapersi godere le cose belle della vita e divertirsi insieme», ha scritto la giornalista Caitríona Devery. «L’Hennessy è la chiave della scenografia culturale dell’hip hop dagli anni Novanta ai giorni nostri. Agisce come una sorta di lubrificante sociale, ambizioso ma apprezzato dai consumatori neri alle loro condizioni, un potente liquore francese di 250 anni assorbito e assimilato come punto di riferimento culturale condiviso tramite l’hip hop».

L’Hennessy è stato citato diverse volte anche da rapper italiani, che si rifanno a un immaginario statunitense nonostante il cognac in Italia non abbia avuto la stessa diffusione. Soltanto qualche mese fa il rapper salernitano Capo Plaza ha pubblicato un singolo che si chiama proprio “Hennessy”, in cui canta «E-energy, Hennessy mi dà la carica». Ancora prima, l’Hennessy era stato citato nel titolo di un disco del sardo Lil’ Pin in collaborazione con DJ Yodha, ma anche in “Cuore” di Shablo, Coez e Geolier che mescola napoletano e italiano, in “Qualcosa di grande” di Luchè e Madame («Pillole di Xanax con Hennessy il solo rimedio»), in “Troia” di Massimo Pericolo («Brindo c”a gente cu l’Hennessy»), in “Elvis” di Rose Villain e Guè Pequeno («Bevo Hennessy, sono io ora a starci male e non mi va neanche un po’»), e in un’altra canzone di Guè Pequeno, “Alex” («Mi hai visto quasi sempre senza ghiaccio, come l’Hennessy»).

Al contrario di altri marchi di lusso che hanno cercato di distanziare la propria immagine dal mondo del rap, l’Hennessy è riuscito ad instaurare un ottimo rapporto con la scena hip hop. Nel 2013, per esempio, assunse il celebre rapper e produttore Nas come brand testimonial. Negli ultimi anni, però, un altro liquore ha cominciato a soppiantarlo: secondo un’analisi dell’Atlantic, nel 2020 per la prima volta le canzoni che nominavano la tequila Casamigos hanno superato quelle che parlavano di Hennessy.

Secondo l’artista Tahir Hemphill, i motivi possono essere diversi: da una parte, l’Hennessy fa venire in mente uno stile di rapper più classico, che indossa berretti dei New York Yankees e scarpe Timberland, mentre «il Casamigos è d’importazione, ha quattro sillabe, ha un nome spagnolo. Ti fa sembrare più elegante». Dall’altra, potrebbe essere che, semplicemente, dopo tanti anni «è più divertente cercare rime con Casamigos che con Hennessy».