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  • Sabato 1 ottobre 2022

Le elezioni più complicate al mondo

Sono quelle che domenica rinnoveranno l'intricatissimo sistema di governo della Bosnia ed Erzegovina, che rispecchia le divisioni etniche del paese

Un uomo aspetta l'autobus davanti ad alcuni manifesti elettorali a Sarajevo (AP Photo/Armin Durgut)
Un uomo aspetta l'autobus davanti ad alcuni manifesti elettorali a Sarajevo (AP Photo/Armin Durgut)
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Domenica in Bosnia ed Erzegovina si terranno le elezioni per rinnovare i componenti di quello che è stato spesso definito il sistema politico più complicato al mondo, un’intricata architettura di parlamenti, governi e presidenze progettata trent’anni fa per rappresentare i tre principali gruppi etnici del paese in seguito alla guerra, ma considerata oggi responsabile di un cronico immobilismo.

Saranno rinnovati la maggior parte dei membri delle varie istituzioni e si prevede che possano complessivamente avere la meglio i partiti nazionalisti di ciascun popolo costitutivo della Bosnia: i bosgnacchi (in prevalenza musulmani), i bosniaci croati (in prevalenza cattolici) e i bosniaci serbi (in prevalenza ortodossi). Alcuni analisti hanno definito queste elezioni le più importanti dagli accordi di pace di Dayton, che nel dicembre del 1995 misero fine alla guerra in Bosnia. Arrivano infatti in mezzo a una lunga crisi dovuta alle aggressive spinte separatiste di Milorad Dodik, il presidente uscente che rappresenta l’etnia serba, e che si candiderà per un altro ruolo.

La guerra in Bosnia durò dal 1992 al 1995 e fu il più sanguinoso conflitto in Europa dalla Seconda guerra mondiale. Si sviluppò nel contesto dei processi di indipendenza dei paesi della ex Jugoslavia e vide combattersi i tre gruppi etnici del paese, con il coinvolgimento della Croazia e soprattutto della Serbia, responsabile dei più gravi episodi di pulizia etnica, violenze e stupri. La guerra finì con gli accordi di pace che architettarono il complesso sistema di governo che esiste ancora oggi, nonostante da anni ci siano richieste di cambiarlo.

Ma da tempo ormai i governi e le istituzioni occidentali hanno abbandonato le ambizioni di aiutare la Bosnia a diventare un paese più moderno ed efficiente, compito che in teoria dovrebbero svolgere attraverso l’alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina, l’autorità nominata da una lunga serie di governi internazionali per supervisionare l’applicazione degli accordi di pace. L’attuale rappresentante, il tedesco Christian Schmidt, è peraltro stato coinvolto direttamente nella campagna elettorale per via di un suo controverso tentativo di cambiare le regole del sistema elettorale del paese a pochi mesi dalle elezioni. Anche a causa del progressivo disinteresse occidentale, in Bosnia ed Erzegovina sono sempre più presenti le influenze di Cina, Russia e Turchia.

Un manifesto elettorale del partito nazionalista serbo dell’Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti (SNSD) a Banja Luka (AP Photo/Darko Vojinovic)

Il sistema di governo della Bosnia è diviso prima di tutto in due entità, la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, ulteriormente divisa in dieci cantoni, e la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina. Ciascuna delle due entità ha un suo parlamento, ognuno con due camere. La presidenza del paese è ripartita tra tre persone, ciascuna delle quali rappresenta una delle tre principali etnie.

C’è poi un Consiglio dei ministri con un suo presidente, e un parlamento bicamerale statale. La sua camera alta, la Camera dei popoli, ha 15 membri, cinque per etnia, e ha il compito di tutelare gli interessi di ciascuna. In pratica, bosgnacchi, serbi bosniaci e croati bosniaci possono bloccare qualsiasi legge approvata dalla camera bassa che ritengano possa nuocere agli interessi del popolo che rappresentano. Questo potere di veto è stato spesso ritenuto responsabile dei pochi progressi del paese nelle riforme e nella lotta alla corruzione endemica.

Rinnovare questo intricatissimo sistema prevede elezioni monumentali. In tutto sulle quattro schede che riceverà ciascuno dei 3,3 milioni di aventi diritto che andrà ai seggi ci saranno 127 soggetti politici: 72 partiti, 38 coalizioni e 17 candidati indipendenti. Per un totale di oltre 7mila persone candidate.

Ma non è finita qui, perché in Bosnia ed Erzegovina i cittadini votano per cose diverse a seconda della propria etnia, come è del resto prevedibile. Chi risiede nella Federazione voterà per i membri bosgnacco e croato della presidenza (che, come detto, è composta da tre persone, una per etnia), oltre che per il parlamento statale e per quello della propria entità politica. Chi risiede nella Repubblica voterà per il membro serbo della presidenza, per il presidente e il vice presidente della propria entità, per il parlamento statale e per quello della propria entità.

Da anni ci sono dure discussioni sulle modalità con cui vengono eletti i membri della camera alta della Federazione (cioè l’entità più grande, quella dove vivono in prevalenza bosgnacchi e bosniaci croati). Quest’estate Schmidt è finito sotto enormi pressioni per aver promosso una modifica della legge che secondo i bosgnacchi avrebbe favorito i nazionalisti croati, col risultato di inasprire le divisioni etniche nel paese. Dopo grandi proteste il piano è stato abbandonato, ma si pensa che possa essere riproposto dopo le elezioni.

In questo contesto, le elezioni di domenica sono considerate particolarmente importanti perché negli ultimi due anni le spinte nazionaliste e separatiste in Bosnia hanno raggiunto livelli inediti, principalmente a causa del presidente che rappresenta i serbi, Dodik, e del suo partito, l’Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti (SNSD).

Da 15 anni Dodik minaccia la secessione dell’entità serba dalla Bosnia, e tra il luglio del 2021 e i primi mesi del 2022 aveva guidato un boicottaggio delle istituzioni federali che aveva alzato le tensioni etniche nel paese e paralizzato la politica nazionale. A provocare il boicottaggio era stata la decisione dell’allora alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina Valentin Inzko di emanare una legge per vietare di negare il massacro di Srebrenica, compiuto nel 1995 dall’esercito serbo guidato dal generale Ratko Mladić e che si concluse con l’uccisione di oltre 8mila musulmani bosniaci.

Dodik, che tra il 2010 e il 2018 fu presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, è sostenuto personalmente dal presidente russo Vladimir Putin: a sorpresa non si è ricandidato come presidente statale ma come presidente dell’entità serba, per scambiarsi di posto con la compagna di partito Željka Cvijanović, che era presidente della entità serba e si candida invece al posto nella presidenza federale che rappresenta i serbi. Ci si aspetta che entrambi vincano.

Il risultato più importante e atteso di queste elezioni, in parte per il suo valore simbolico, in parte per le conseguenze nella linea del paese in politica estera, è comunque quello che riguarderà la presidenza tripartita della Bosnia. In particolare, c’è attenzione per chi vincerà il seggio dei croati bosniaci, che sarà conteso dal presidente uscente Zeljko Komsic, centrista, e da Borjana Kristo, ex presidente della Federazione (quindi dell’entità dei bosgnacchi e dei croati bosniaci), e rappresentante del partito nazionalista di destra HDZ, storicamente guidato dall’ex presidente Dragan Covic.

Un manifesto elettorale del candidato al posto bosgnacco della presidenza Zeljko Komsic (AP Photo/Armin Durgut)

Il punto è che Komsic è malvisto, per usare un eufemismo, da molti croati bosniaci, anche se è il loro rappresentante: perché lo considerano un presidente illegittimo, sostenendo che sia stato votato perlopiù dai bosgnacchi e non dai croati. La legge elettorale bosniaca, infatti, consente ai residenti della Federazione di scegliere se votare per il posto della presidenza che rappresenta i bosgnacchi o per quello che rappresenta i croati bosniaci. Il punto è che i bosgnacchi sono molti di più dei croati, il 70% contro il 22%: secondo i croati, sono stati i bosgnacchi che hanno scelto di votare per il presidente croato a consentire l’elezione di Komsic, che sostiene la creazione di uno stato che non segua più le divisioni etniche del paese, più o meno l’opposto di quello che vogliono Kristo e i nazionalisti croati. Komsic è stato addirittura dichiarato persona non grata in alcune città del sud del paese in cui il nazionalismo croato è particolarmente radicato.

Denis Becirovic (AP Photo/Armin Durgut)

Per il posto bosgnacco della presidenza ci sono invece tre candidati. Nei sondaggi è leggermente favorito Denis Bećirović, di centrosinistra e moderato, che sostiene un approccio meno etnocentrico alla politica nazionale rispetto a Bakir Izetbegović, già due volte presidente ed esponente del partito nazionalista bosgnacco, che ha governato quasi ininterrottamente negli ultimi trent’anni. È il figlio di Alija Izetbegović, primo presidente della Bosnia.

In un contesto di generale sfiducia nel sistema politico nazionale e di dilagante astensionismo, gli abitanti della Bosnia sembrano generalmente disillusi e poco coinvolti nelle elezioni. Una serie di partiti di opposizione ha condotto una campagna elettorale promettendo di smantellare l’attuale establishment politico controllato dai nazionalisti, che a loro volta li hanno accusati di tradire gli interessi delle etnie che rappresentano.

I partiti nazionalisti serbo e croato, SNSD e HDZ, sono alleati e se dovessero vincere i due posti della presidenza tripartita a cui concorrono otterrebbero il controllo della banca centrale e dell’esercito, ha spiegato il sito di giornalismo investigativo bosniaco Istraga.