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  • Sabato 10 settembre 2022

Una sentenza importante per le famiglie omogenitoriali

Il tribunale di Bari ha stabilito che il legame di parentela tra figli e genitore non biologico non può essere messo in dubbio con la separazione

Un corteo dell'associazione Famiglie Arcobaleno a Milano, nel 2016 (ANSA/MOURAD BALTI TOUATI)
Un corteo dell'associazione Famiglie Arcobaleno a Milano, nel 2016 (ANSA/MOURAD BALTI TOUATI)
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Giovedì 8 settembre il tribunale di Bari ha respinto la richiesta della famiglia della madre di una bambina nata all’estero in una coppia omogenitoriale di cancellare dall’atto di nascita il nome dell’altra madre, quella con cui la bambina non aveva legami genetici. L’atto di nascita conteneva i nomi di entrambe le madri grazie alla trascrizione del certificato di nascita estero nel registro di Stato civile del Comune di Bari, e la causa per cancellare il nome di una delle due madri era stata fatta dopo la separazione tra le due donne.

È una sentenza importante: in Italia, nonostante gli inviti della Corte Costituzionale, non c’è ancora una legge sul riconoscimento del legame di parentela tra i figli e il genitore intenzionale nelle famiglie omogenitoriali. In casi come questi il genitore intenzionale – che è quello che non ha legami biologici e/o genetici col figlio ma che ha firmato il consenso informato per il suo concepimento – rischia di perdere il diritto a veder riconosciuto quello stesso legame di parentela coi propri figli.

L’avvocata Stefania Santilli, membro del gruppo legale di Famiglie Arcobaleno, l’associazione di riferimento per i genitori LGBT+ in Italia, ha detto che la sentenza del tribunale di Bari è «molto importante» perché «afferma, forse per la prima volta in modo così specifico, che la rottura della relazione tra i due genitori non fa venire meno il progetto di genitorialità condivisa», esattamente come accade per le altre famiglie.

– Leggi anche: Fare una famiglia non tradizionale in Italia

La vicenda che ha portato alla sentenza riguarda due donne che si erano sposate a New York nel 2016 e l’anno successivo avevano avuto una bambina in California. La bambina era nata attraverso la gestazione per altri (GPA), cioè la pratica per cui una donna sceglie di portare avanti una gravidanza per conto di altre persone: in questo caso una delle due madri, quella geneticamente legata alla figlia, aveva dato il proprio ovulo alla donna che aveva portato avanti la gravidanza dopo aver firmato insieme all’altra madre il consenso informato per il concepimento della bambina.

Una volta tornate in Italia, le due donne avevano chiesto e ottenuto la trascrizione dell’atto di nascita con i nomi di entrambe le madri sul registro di Stato civile del Comune di Bari: è una pratica adottata da anni dalle amministrazioni locali, con atti che però rimangono impugnabili data la mancanza di una legge specifica a tutela dei bambini nati all’estero da coppie omogenitoriali.

La richiesta di cancellare il nome dell’altra madre dal certificato di nascita era stata fatta con una causa intentata da un pubblico ministero su iniziativa dei nonni della bambina e col sostegno della madre genetica. Se i giudici l’avessero accolta, la madre intenzionale avrebbe perso il diritto a vedere e frequentare la bambina come genitore: sarebbe diventata, in altre parole, formalmente un’estranea.

Come successo in altri casi simili, però, per ottenere la trascrizione del certificato di nascita con i nomi di entrambe le madri le due donne avevano dovuto avviare una causa, in cui avevano dovuto dimostrare l’esistenza di un progetto genitoriale coltivato, cercato e realizzato insieme. Le due donne avevano insomma già dimostrato di essere una famiglia, con atti e documenti a cui proprio i giudici del tribunale di Bari hanno fatto riferimento – insieme ad altre cose – per respingere la richiesta di cancellare una delle due madri dal certificato di nascita.

I giudici del tribunale di Bari, in particolare, hanno respinto il ricorso soprattutto sulla base del principio dell’interesse superiore della minore: la bambina, hanno detto i giudici, «deve poter fruire del diritto di essere mantenuta, istruita, educata ed assistita moralmente… da entrambe le persone che considera di fatto suoi genitori e che hanno concorso alla sua nascita sulla scorta di un progetto genitoriale condiviso».

Sulla decisione dei giudici hanno pesato anche le precedenti sentenze della Corte Costituzionale sul riconoscimento del legame di parentela per i nati all’estero in famiglie composte da coppie dello stesso sesso, rispetto ai quali la Corte aveva già sottolineato un grave «vuoto di tutela» e invitato il Parlamento a legiferare.

In una di queste, la sentenza 32 del 2021 (citata dai giudici di Bari), la Corte Costituzionale aveva sottolineato il «rilievo giuridico» della «genitorialità sociale, ove non coincidente con quella biologica» e aggiunto che «il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa». Per questo, scriveva la Corte, era necessario tutelare l’interesse del minore a «mantenere il legame genitoriale acquisito, anche eventualmente in contrasto con la verità biologica della procreazione».

Il principio dell’interesse superiore del minore è quello in nome del quale Famiglie Arcobaleno combatte da anni perché sia fatta la legge sul riconoscimento del legame di parentela col genitore non biologico (che al momento, tra quelli dei principali partiti progressisti candidati alle elezioni del 25, è presente nel programma di +Europa, dell’alleanza fra Verdi e Sinistra italiana, di Unione Popolare ed è invece assente dal programma del principale partito di centrosinistra italiano, il Partito Democratico).

Alessia Crocini, presidente di Famiglie Arcobaleno, ha commentato così la sentenza di giovedì: «il tribunale di Bari riconosce che, a prescindere dai legami genetici e dalla separazione della coppia, le due donne sono e saranno sempre entrambe madri della bambina che hanno deciso di mettere al mondo», e ha aggiunto: «Famiglie Arcobaleno sostiene da sempre che la genitorialità è un atto d’amore e di responsabilità che deve essere riconosciuto anche dalla legge nell’interesse superiore dei bambini e delle bambine».