Quando il cinema parla di cinema porno

Di recente lo ha fatto, in modo molto diretto, il film “Pleasure”, ma ci sono diversi altri esempi

(Pleasure)
(Pleasure)
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A Los Angeles, a meno di mezz’ora di macchina da Hollywood, c’è la San Fernando Valley, che dagli anni Settanta è anche sede della cosiddetta Porn Valley, un grande centro produttivo dedicato ai contenuti pornografici. La più importante industria cinematografica al mondo è quindi molto vicina alla più importante industria di cinema porno, con la quale condivide anche certi approcci tecnici e meccanismi produttivi.

Negli anni è successo con relativa frequenza che Hollywood provasse a raccontare la Porn Valley (che talvolta è anche chiamata Silicone Valley, da “silicone”, in contrasto con la più nota Silicon Valley, la valle del silicio) e più in generale l’industria pornografica. Spesso con l’oggettiva difficoltà di raccontare il porno senza poter o voler effettivamente mostrare scene pornografiche, e talvolta riuscendo a stimolare dibattiti sulla pornografia, sul suo racconto e sulla sua rappresentazione.

Di recente lo ha fatto Pleasure, che è disponibile su Mubi e ha per protagonista una giovane donna svedese che va negli Stati Uniti per fare carriera nel porno. Prima ancora lo avevano fatto Hardcore e soprattutto Boogie Nights, che uscì 25 anni fa ed è ancora considerato punto di riferimento e di confronto per il cinema che parla di cinema porno.

Quando si parla di film sui film porno, ci sono almeno due premesse da fare. Una è che il porno è di per sé un genere cinematografico, e che quindi fare un film sui film porno significa spesso fare un film di dietro le quinte, così come quando si fa un film su un film western. Un’altra è che, come sempre quando nel cinema si parla di generi, non esistono confini precisi per dire cosa è porno e cosa no: a questo proposito si cita spesso la frase «I know it when I see it» («quando lo vedo lo riconosco») detta nel 1964 da un giudice della Corte Suprema statunitense chiamato a esprimersi sulla pornografia.

Ancor meno, esistono poi confini precisi per determinare quando un film può essere definito un film sulla pornografia. Ci sono infatti molti film, in genere thriller o neo-noir ambientati dalle parti di Los Angeles, in cui la trama passa per qualcuno o qualcosa che riguarda la San Fernando Valley e chi ci lavora, ma nei quali il porno è solo parte di una storia di altro tipo. Succede qualcosa di questo tipo in The Nice Guys, film del 2015 con Ryan Gosling e Russell Crowe, che è ambientato nella Los Angeles degli anni Settanta e la cui trama ha a che fare con la pornografia, ma che è parecchio complicato provare a considerare come un film sui film porno.

Altra questione è quando invece i film scelgono il mondo del porno come centro delle loro storie, che si tratti di commedie o drammi, racconti biografici o storie inventate, e che l’intento sia di criticare o, al contrario, mostrare come è fatto un mondo di cui molti fruiscono i contenuti, ma dei cui meccanismi e ingranaggi si parla molto più di rado.

I film di questo tipo sono infatti più rari, e soprattutto più difficili. «La pornografia», ha scritto sul Guardian il critico cinematografico Guy Lodge, «è da sempre un argomento complicato sia per il cinema mainstream che per quello d’autore, perché costringe chi fa cinema a restare in bilico su un filo molto sottile: se ripulisci troppo quel che mostri, ci perdi in autenticità; se al contrario ti addentri in certi taboo rischi di essere censurato».

Uno dei primi film ad avventurarsi su questo filo molto sottile fu Hardcore, che uscì nel 1979 e fu scritto e diretto da Paul Schrader, che tre anni prima aveva scritto la sceneggiatura di Taxi Driver e che nel 1980 diresse American Gigolò, un film su un lavoro legato al sesso, ma non sulla pornografia.

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Considerato un neo-noir, Hardcore racconta di un padre profondamente credente che cercando la figlia scomparsa scopre che lei fa l’attrice porno a Los Angeles; quindi, per trovarla e dal suo punto di vista salvarla, si infiltra in quel mondo che non conosce e dal quale è sia spaventato che disgustato. Su Letterboxd, il critico Charles Bramesco ha scritto che in quel film, per molti versi il primo ad addentrarsi in quel modo nel settore del porno, Schrader riuscì a «presentare un punto di vista conservatore» e al contempo mostrare che non c’era niente per cui scandalizzarsi.

Ben più sfacciato e spensierato nel suo approccio al porno fu Boogie Nights, film del 1997 di Paul Thomas Anderson, ambientato però tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, in quella che è spesso presentata come l’età d’oro della San Fernando Valley. Il film, in parte drammatico e in parte commedia, racconta successo e rovina di un lavapiatti che diventa l’attore porno noto come Dirk Diggler.

A 25 anni dalla sua uscita, Boogie Nights è ancora oggi considerato il film di riferimento quando si parla di come Hollywood racconta quella che talvolta viene chiamata “l’altra Hollywood” e contiene in un unico film i due principali approcci di molti altri film: l’ascesa e quindi l’enfasi su quel che di affascinante può esserci nel porno; ma anche il declino e quindi la critica a certi eccessi e all’ordinarietà di quello che è anche un lavoro faticoso e pieno di tempi morti, in un contesto ipercompetitivo nel quale è difficile emergere e affermarsi ed è molto facile fallire.

«Boogie Nights», ha scritto Lodge sul Guardian, «ha probabilmente definito l’idea che un paio di generazioni hanno avuto di quel che fosse il dietro le quinte del porno».

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In anni più recenti, a parlare dell’industria pornografica (non solo californiana) sono state soprattutto le serie o i documentari: per esempio la serie HBO The Deuce – La via del porno o la miniserie italiana Moana, oppure le docuserie Real Sex, Pornucopia e Hot Girls Wanted: Turned On (a sua volta espansione di un precedente documentario).

Ci sono stati inoltre film che hanno apprezzato ed elogiato il settore del porno, spesso raccontandone i radicali cambiamenti causati da internet e dalle sue evoluzioni, e anche alcuni che hanno provato a riderci su, come fece nel 2008 Zack & Miri – Amore a… primo sesso, titolo molto all’italiana di Zack and Miri Make a Porno.

Era però da qualche tempo che un film sul porno non si faceva notare quanto Pleasure, il primo lungometraggio diretto dalla svedese Ninja Thybergche di fatto è la versione estesa di un suo cortometraggio del 2013 su una attrice porno che si appresta a girare una scena di doppia penetrazione anale che si augura le farà avere il successo sperato.

Pleasure ha per protagonista Linnéa, giovane donna svedese che arriva a Los Angeles col nome d’arte Bella Cherry e prova a sfondare nel porno, combattuta tra ambizioni e titubanze varie. A differenza di molti altri film sul porno, in molti casi ambientati in una talvolta idealizzata età dell’oro, Pleasure è ambientato ai giorni nostri.

In diverse recensioni Pleasure è stato presentato come un film che racconta il porno in modo cinico e clinico, con una certa efficacia nel mostrare certe tristi e talvolta squallide routine di quel contesto: sull’Atlantic, David Sims lo ha definito «un ritratto profondamente non erotico dell’industria del porno» e lo ha presentato come «un film pieno di sesso e nudità, mostrati però con distacco e pragmatismo», in cui si parla di sesso «con lo stesso tono distaccato con cui si parla di un mobile IKEA da montare».

Molti osservatori, e tra loro anche alcuni addetti ai lavori del porno, hanno apprezzato Pleasure in quanto film onesto e realistico.

Pleasure, ha scritto GQ, «va contro l’idea che il porno sia per forza di cose immorale o degradante, mostrando che molti degli aspetti negativi della sua industria derivano da squilibri di potere e pratiche spregiudicate». Inoltre, a differenza di molti altri film sul porno, molte delle persone che ci recitano hanno a che fare direttamente col porno (anche se così non è per la regista e nemmeno per la protagonista Sofia Kappel, al suo primo film).

Tuttavia, ci sono anche addetti e addette ai lavori (alcuni dei quali hanno anche collaborato al film) che dopo averlo visto hanno criticato l’approccio giudicante con cui il porno viene secondo loro presentato, soprattutto nella seconda metà del film.

Su Slate, l’autrice e produttrice di contenuti pornografici Noelle Perdue ha sia apprezzato che criticato Pleasure. Perdue ha scritto infatti di non aver mai visto «un film non-porno catturare così bene la sottile estetica del genere» e ha aggiunto: «Ho perfino riconosciuto i set di alcuni veri porno». Al contrario, Perdue ha scritto che il fatto stesso che molte recensioni apprezzino il modo in cui Pleasure riesce a disgustare e a presentarsi come tutt’altro che erotico è segno del fatto che il film «riflette a sua volta un certo stigma dominante verso il porno».

È generalmente considerato molto meno giudicante, ma anche un po’ più vago rispetto alla vera e propria industria del porno, un altro recente film: Red Rocket, diretto da Sean Baker, già regista di The Florida Project e prima ancora di Starlet, a sua volta in parte legato al porno.

Red Rocket – disponibile a noleggio sulle principali piattaforme – parla di un ex pornoattore e “suitcase pimp” (un uomo che ha relazioni sia professionali che sentimentali con attrici porno) che torna nella città del Texas in cui è cresciuto e conosce una diciassettenne che lui ritiene potrebbe sfondare nel mondo del porno, così da permettergli a sua volta di ritornare nel giro.

Così come Sesso sfortunato o follie porno – film romeno del 2021 (premiato con l’Orso d’oro al Festival di Berlino) su un video porno che crea parecchi problemi a un’insegnante di storia che ne è protagonista – Red Rocket non mostra direttamente il dietro le quinte del porno, ma è stato apprezzato per come riesce tuttavia a far riflettere sulla percezione del sesso, e in parte della pornografia, fuori da certi contesti.