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  • Domenica 14 agosto 2022

La storia di come nacquero gli occhiali a “occhi di gatto”

All'inizio del Novecento erano tutti uguali e tondi, poi arrivò la designer americana Altina Schinasi

Dal film “Come sposare un milionario” (1953)
Dal film “Come sposare un milionario” (1953)
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All’inizio del secolo scorso non erano molti i modelli a cui i designer di montature di occhiali potevano ispirarsi. La forma più usata per gli occhiali era quella tonda, come del resto era stato fin da quando gli occhiali erano stati inventati, nel Medioevo. Osservando la vetrina di un ottico all’inizio degli anni Trenta, quindi, era facile rimanere annoiati dallo scarso assortimento offerto, in particolare per una persona in cerca di qualcosa di diverso dalla solita lente tonda.

Questo fu esattamente ciò che successe alla regista, artista, inventrice e designer statunitense Altina Schinasi. Mentre passeggiava per la Quinta Strada di New York, Schinasi vide una vetrina di un ottico e pensò che ci fosse bisogno di una nuova forma di occhiali che valorizzasse il viso delle donne. Da quell’idea nacquero gli occhiali “cat-eye”, chiamati così perché ricordano la forma allungata degli occhi di un gatto, oggi diventati un classico grazie ad attrici e modelle che li hanno indossati negli anni, facendoli tornare ciclicamente di moda.

La modella statunitense Kate Upton agli All-Star Game della MLB, il massimo campionato americano di baseball, nel 2018 (Mike Lawrie/Getty Images)

Schinasi all’epoca era una giovane artista, figlia del ricco imprenditore del tabacco Morris Schinasi. Era cresciuta nella residenza di famiglia all’Upper West Side di Manhattan e aveva studiato pittura a Parigi. Nel documentario a lei dedicato, Altina, raccontò nel dettaglio come le venne l’idea di inventare una nuova forma di occhiali:

Passai di fronte al negozio di un ottico e vidi questo dipinto a olio che ritraeva un paio di occhiali attaccati a una faccia, e pensai “Che brutti!”. C’era un verso di Dorothy Parker che recitava “Men never make passes at girls that wear glasses” [“Gli uomini non ci provano mai con le ragazze che portano gli occhiali”, ndr], quindi pensai che andava inventato qualcosa di meglio di quei terribili occhiali che ricordavano i tempi di Benjamin Franklin.

Schinasi si chiese allora quale forma avrebbe valorizzato i lineamenti del suo viso e le venne in mente la maschera di Arlecchino, nera e con gli occhi tagliati all’insù. Da lì prese l’ispirazione per disegnare i primi occhiali a forma di occhi di gatto, all’epoca chiamati proprio “harlequin”, prima di diventare famosi come cat-eye glasses.

L’idea di Schinasi coincise con un momento particolarmente propizio per l’industria degli occhiali. In quel periodo infatti venne introdotta l’inclinazione “pantoscopica” delle lenti degli occhiali, che si cominciò cioè a orientare lungo il viso della persona che porta gli occhiali, e non più a posizionare in verticale. Questa innovazione rese più confortevole la visione e permise di sperimentare con forme diverse rispetto ai classici occhiali tondi.

Come ha raccontato il sito dell’edizione scandinava di Vogue, all’inizio il design inventato da Schinasi fu rifiutato da diversi grandi marchi del settore, incluso Ray-Ban. Schinasi si rivolse allora a una boutique su Madison Avenue con clienti prestigiose, come la scrittrice e futura ambasciatrice e politica Clare Boothe Luce e l’attrice Katharine Cornell. La boutique riuscì a vendere alcuni modelli che cominciarono a diffondersi, e alla fine degli anni Trenta diventarono così popolari da permettere a Schinasi di aprire un’azienda e distribuirli in proprio.

Nel 1939 la grande catena di negozi di New York Lord & Taylor le diede un riconoscimento per il design degli occhiali a “occhi di gatto” e per aver rivoluzionato il settore aprendo la strada a nuove forme.

Tra la fine degli anni Quaranta gli occhiali di Schinasi ebbero un primo giro di ampia popolarità quando Christian Dior introdusse il suo celebre New Look, fatto di forme a clessidra che si adattavano piuttosto bene agli occhiali “harlequin”. In quegli anni peraltro la capacità di produzione degli occhiali aumentò considerevolmente grazie all’introduzione di un materiale facilmente lavorabile e scalabile a costi contenuti, l’acetato di cellulosa.

Il risultato di questa innovazione fu che cominciarono a comparire occhiali a “occhi di gatto” di ogni dimensione, forma e colore, che diventarono simbolo a loro modo della spensieratezza e dell’ottimismo degli anni Cinquanta, in particolare perché sfoggiati dalle star di Hollywood di quegli anni, da Sophia Loren a Marilyn Monroe passando per Grace Kelly. Ma il film che forse più di tutti contribuì a rendere questi occhiali un classico fu Colazione da Tiffany nel 1961, in cui Audrey Hepburn indossa un paio di Oliver Goldsmith chiamati “Manhattan” che resero il modello con le lenti oversize, cioè più grandi del normale, estremamente popolare e iconico.


Dopo le fortune degli anni Sessanta, per gli occhiali “a occhi di gatto” ci furono quattro decenni in cui passarono un po’ di moda, in favore di altre forme che diventarono più popolari, come le lenti grosse, di solito quadrate, degli anni Settanta o i celebri “aviator” di Ray-Ban degli anni Ottanta, a goccia. All’inizio del nuovo secolo, poi, ci fu il trend delle lenti scure che nella forma ricordavano gli occhi di un insetto, grandi e aderenti al viso. Fu solo alla fine degli anni Dieci che gli occhiali “a occhi di gatto” tornarono per rimanere anche negli anni successivi, sia sulle passerelle che sui nasi di modelle e celebrità come Bella Hadid, Emily Ratajkowski e Kendall Jenner.

 

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