Continua a mancare una legge per il voto fuorisede

Nemmeno questo Parlamento ne ha approvata una che permetta di votare in un comune diverso da quello di residenza, e ora non c'è più tempo

di Chiara Ciucci

ANSA/FABIO FRUSTACI
ANSA/FABIO FRUSTACI
Caricamento player

Con la caduta del governo Draghi si è di fatto interrotto anche l’esame da parte della Camera delle proposte di legge per permettere il voto dei “fuorisede”: cioè per dare la possibilità di votare nel comune dove vive a chi, per motivi di studio o di lavoro, ha la residenza molto più lontano, e quindi dovrebbe fare ore di viaggio per votare nel proprio seggio elettorale (assegnato per legge nel comune di residenza, e non di domicilio).

Il sistema legislativo italiano prevede la possibilità di votare a distanza solo se si è residenti all’estero, anche temporaneamente, mentre studenti e lavoratori che vivono in Italia, ma in un comune diverso dalla propria residenza, sono obbligati a tornare a nel comune di residenza e a sobbarcarsi fatiche logistiche ed economiche tanto maggiori quanto più distante è il comune di residenza dal proprio domicilio.

Chi si trova temporaneamente all’estero oppure è iscritto all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (A.I.R.E) può votare per corrispondenza, cioè spedendo per posta le proprie schede elettorali. Il voto per corrispondenza dall’estero è disponibile per elezioni politiche, referendum, e anche per eleggere i rappresentanti italiani al Parlamento Europeo. Non esistono invece meccanismi analoghi per chi si trovi in Italia ma viva in un comune diverso da quello di residenza. È più facile votare per le elezioni politiche se ci si trova in Austria, temporaneamente o stabilmente, che fare la stessa cosa se si vive a Milano ma si ha la residenza a Catanzaro.

I numeri dei fuorisede, studenti e lavoratori, non sono trascurabili. Un rapporto redatto pochi mesi fa da una commissione istituita dal ministro per i Rapporti col parlamento, Federico D’Incà, stima che circa 1,85 milioni di italiani vivano a più di due ore di auto dal proprio seggio. In tutto quelli che vivono in un luogo diverso da quello in cui hanno la residenza sono 4,89 milioni: circa il 10 per cento dell’elettorato.

Il fenomeno del cosiddetto “astensionismo involontario”, di chi non ha i mezzi o le risorse per tornare a votare nel proprio comune di residenza, potrebbe quindi incidere in modo significativo sulle prossime elezioni politiche: ai motivi citati, va aggiunta anche la particolarità del periodo in cui si terranno le elezioni – nelle ultime settimane di settembre vengono spesso fissati appelli per gli esami universitari e per le lauree – e il fatto che per queste elezioni politiche si potrà votare in un solo giorno, domenica 25 settembre.

L’Italia è uno dei pochi paesi europei a non avere una legge per garantire il voto a chi studia o lavora lontano dalla propria residenza.

Come spiega anche uno studio realizzato dal comitato civico Iovotofuorisede e dall’associazione The Good Lobby, fatta eccezione per Italia, Malta e Cipro, negli anni tutti gli altri paesi dell’Unione Europa si sono dotati di strumenti per rendere più agevole la partecipazione elettorale a studenti e lavoratori fuorisede, oltre che ad anziani e disabili. In Austria, Germania, Irlanda, Regno Unito, Spagna, Svizzera viene praticato il voto per corrispondenza; in Belgio, Francia, Paesi Bassi si può votare delegando un’altra persona a farlo; in Danimarca, Estonia, Norvegia, Portogallo, Svezia, esiste il voto anticipato in un luogo diverso da quello di residenza; in Estonia si può votare anche elettronicamente.

Attualmente alla commissione Affari costituzionali della Camera sono state depositate cinque proposte di legge per regolamentare il diritto di voto in un comune diverso da quello della propria residenza. La più datata, ma anche quella su cui si stava lavorando prima che cadesse il governo, risale a marzo 2019 e ha come prima firmataria Marianna Madia, deputata del Partito Democratico.

La materia, piuttosto complessa, è disciplinata dall’articolo 48 della Costituzione, che stabilisce che il voto deve essere «personale ed eguale, libero e segreto» e il rispetto di questi principi è quello che per ora ha frenato l’approvazione di una riforma del voto. Parlando del voto per corrispondenza, per esempio, si discute della possibilità che non possa davvero essere libero (un coniuge potrebbe costringere l’altro a votare un certo partito, per esempio). Il voto elettronico pone diversi problemi circa la segretezza dei dati, invece.

«Ci sono una serie di ostacoli tecnici da affrontare» ha spiegato Madia. «Il ministero dell’Interno, pur rilevando l’esistenza di queste difficoltà, ha sempre tenuto un atteggiamento di apertura, con la volontà di superarle. Ci è stato poi chiesto di interrompere la discussione perché il ministro D’Incà aveva richiesto uno studio complessivo proprio sul tema dell’astensionismo e così abbiamo aspettato gli esiti del “libro bianco”», come viene chiamato lo studio commissionato da D’Incà.

Dopo la pubblicazione dello studio, Madia ha spiegato che i promotori del disegno di legge stavano lavorando per redigere un testo unificato. «È stato il Partito Democratico a chiedere la calendarizzazione in aula, prevista per la fine di luglio. Eravamo ad un buon punto». Ma con la caduta del governo è saltata la discussione del disegno di legge. «Nella mia proposta c’erano delle modalità tecniche diverse da quelle proposte dal “libro bianco”, ma il punto importante per noi era il principio: riuscire a far votare chi abita fuori dalla sede di residenza. Anche perché non si parla di piccoli numeri, e si tratta spesso di giovani: vogliamo combattere l’astensionismo e avvicinare i giovani alla politica, ma come farlo tenendo fuori dall’esercizio del voto tutte queste persone?».

Pochi giorni fa, saltata la calendarizzazione, Emma Bonino e Riccardo Magi di +Europa hanno lanciato la raccolta firme #iovotofuorisede e presentato un’interrogazione alla ministra dell’Interno Lamorgese, chiedendo «come intenda intervenire per garantire che alle elezioni del 25 settembre gli elettori temporaneamente domiciliati fuori della regione di residenza possano esercitare il proprio diritto di voto nel luogo in cui vivono».

Ma salvo un intervento legislativo straordinario del ministero dell’Interno – difficilmente immaginabile, visto il faticoso iter legislativo compiuto finora e ancor più per un governo dimissionario – per le elezioni del 25 settembre quasi 5 milioni di italiani potrebbero veder ostacolata, per citare la Costituzione, «l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».