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  • Martedì 9 agosto 2022

I molti successi di Biden, nonostante tutto

Il presidente americano è riuscito a far approvare buona parte del suo programma, e ora si dice che le cose potrebbero mettersi meglio per i Democratici

di Valerio Clari

Il presidente Joe Biden all'imbarco sull'Air Force One (AP Photo/Gemunu Amarasinghe)
Il presidente Joe Biden all'imbarco sull'Air Force One (AP Photo/Gemunu Amarasinghe)
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L’approvazione al Senato dell’“Inflation Reduction Act”, importante pacchetto economico che stanzierà fondi senza precedenti per la lotta al cambiamento climatico e per la sanità pubblica, conclude un periodo molto positivo per il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e per la sua amministrazione. Alcuni giornali americani parlano di «punto di svolta» per la sua presidenza, e quasi tutti indicano la prossima entrata in vigore del piano come il suo successo più evidente.

Nonostante una popolarità che rimane molto bassa e un contesto politico complesso, in cui la maggioranza Democratica è risicatissima, soprattutto al Senato, la presidenza Biden è riuscita a ottenere risultati concreti. Il numero di grandi riforme e misure legislative approvate ha, secondo molti osservatori, «pochi precedenti» negli ultimi decenni. Questi successi di Biden però non hanno ancora avuto effetti sull’approvazione da parte degli elettori che rimane molto bassa, almeno stando ai sondaggi.

L’“Inflation Reduction Act” – un ampio pacchetto di misure economiche così rinominato dai Democratici per rispondere al problema considerato più pressante dagli americani, cioè l’inflazione – è la versione ridotta del “Build Back Better Act”, l’iniziale ambiziosissimo piano da 3.500 miliardi di dollari proposto da Biden, che non ha mai trovato una maggioranza. Se ne discuteva da un anno, e la sua prossima approvazione (deve ancora passare alla Camera, dove però la maggioranza è solida) porterà all’introduzione di misure che in alcuni casi il Partito Democratico provava a rendere legge da oltre un decennio.

Prevede il più grande investimento della storia americana in iniziative per combattere il riscaldamento globale, con 370 miliardi di dollari di finanziamenti per sgravi fiscali per auto elettriche, produzione di energia da fonti rinnovabili e riconversioni di impianti inquinanti, con l’obiettivo di ridurre del 40 per cento rispetto al 2005 le emissioni di gas serra entro il 2030.

Prolunga fino al 2026 l’ampliamento dell’assistenza medica gratuita per le fasce più deboli della popolazione, inizialmente prevista solo come risposta all’emergenza pandemica. Definisce la possibilità per l’assicurazione sanitaria federale di trattare direttamente i prezzi dei farmaci con le aziende produttrici, con l’effetto di ridurne i costi per i cittadini. Contiene strumenti per ridurre il deficit di 300 miliardi e finanzia parte di queste misure con una tassa minima del 15 per cento per i profitti delle grandi aziende, che finora pagavano di meno.

Pur essendo il più innovativo e politicamente rilevante fra quelli approvati dall’amministrazione Biden, il piano è solo il terzo per dimensioni economiche nell’ultimo anno e mezzo. Segue i 1.900 miliardi di dollari stanziati dall’“American Rescue Plan”, insieme di stimoli economici per rispondere alla crisi provocata dalla pandemia da coronavirus e i 1.200 miliardi dell’“Infrastructure and Jobs Act”, con cui si finanziavano opere pubbliche per rinnovare strade, ponti e infrastrutture e per ampliare le connessioni a banda larga. Insieme, le tre manovre rappresentano l’intervento economico più consistente del governo americano degli ultimi decenni.

Le prime due misure erano state approvate con un accordo bipartisan: allora fu una risposta a un’emergenza economica, ma Biden ha saputo coinvolgere l’opposizione dei Repubblicani anche su altre limitate tematiche. Ristabilire un minimo di collaborazione fra i partiti era una delle sue promesse elettorali, particolarmente complessa da mantenere in un contesto politico sempre più polarizzato.

Sono stati approvati anche con i voti di alcuni rappresentati del Partito Repubblicano una molto modesta e limitata riforma in direzione del controllo delle armi (comunque la prima in 28 anni), l’assistenza medica per i veterani delle guerre in Iraq e Afghanistan, e un intervento da 280 miliardi di dollari per investimenti nell’industria dei semiconduttori per rispondere alla crescente domanda di chip e contrastare la concorrenza della Cina.

Joe Biden alla conferenza NATO di Madrid (AP Photo/Susan Walsh)

A questa attività legislativa si sono aggiunti nella prima fase della presidenza la nomina alla Corte Suprema della prima donna afroamericana, Ketanji Brown Jackson, e di un ampio numero di giudici federali (41 nel primo anno, il doppio di Trump), con quote dell’80 per cento di donne e del 53 per cento di afroamericani.

Dopo il disastroso ritiro dall’Afghanistan di un anno fa, negli ultimi tempi ci sono stati anche successi in politica estera. L’intelligence americana si è mostrata molto affidabile nell’anticipare l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, e il sostegno dell’amministrazione nei confronti del governo ucraino è stato generalmente bene accolto sia dai Democratici sia dai Repubblicani. Biden è anche riuscito a rafforzare le alleanze internazionali degli Stati Uniti, indebolite dopo la presidenza di Donald Trump, e a rivitalizzare la NATO, alla quale nei prossimi mesi dovrebbero aderire due paesi storicamente neutrali come Finlandia e Svezia.

Con l’uccisione a Kabul del leader di al Qaida Ayman al Zawahiri, Biden ha inoltre ottenuto un risultato importante nell’ambito dell’antiterrorismo.

Gli elettori americani sono però storicamente più attenti alle condizioni economiche interne che ai successi diplomatici o di politica estera. Anche in questo ambito arrivano segnali positivi: la disoccupazione è la più bassa negli ultimi 50 anni e i 22 milioni di posti di lavoro persi per la pandemia sono stati totalmente recuperati (528.000 nuovi occupati nell’ultimo mese). Il problema maggiore dell’amministrazione Biden resta l’aumento consistente dei prezzi al consumo, frutto però dell’inflazione in crescita a livello globale.

Negli ultimi mesi la popolarità di Biden era stata molto danneggiata dall’aumento del prezzo della benzina, una questione politica molto rilevante negli Stati Uniti: da qualche settimana, tuttavia, è calato notevolmente, scendendo sotto ai 4 dollari al gallone (3,7 litri circa) dopo essere salito ben oltre i cinque.

A questo scenario complessivamente positivo si contrappongono debolezze e problemi non ancora risolti.

La discussione pubblica è stata occupata in questi mesi principalmente dall’aumento dei prezzi, per i quali il Partito Repubblicano ha incolpato le misure e le scelte dell’amministrazione. L’inflazione è considerato il problema principale degli Stati Uniti dal 17 per cento degli americani, secondo un recente sondaggio Gallup, e dal 25 per cento dei Repubblicani: è il motivo di preoccupazione maggiore in assoluto.

Biden a 79 anni è il presidente più vecchio della storia americana ed è spesso percepito come anziano e debole. La diffusione delle varianti del coronavirus e i problemi del commercio mondiale hanno inoltre reso impossibile il “ritorno alla normalità” che aveva promesso in campagna elettorale. La sua popolarità complessiva è fra le più basse fra i presidenti del dopoguerra: il tasso di approvazione è al 39 per cento, inferiore anche a quello di Donald Trump nello stesso periodo del suo mandato. L’età avanzata è il problema principale anche per la base Democratica: secondo un sondaggio il 64 per cento degli elettori Democratici si auspica che non corra per la rielezione nel 2024. Una parte dell’elettorato più progressista è poi delusa dai molti compromessi che sono stati necessari per far passare alcune riforme con il voto dei Repubblicani o dei Democratici più moderati.

Biden nel 2022 ha corretto il suo approccio rispetto a una partenza troppo ambiziosa, scontratasi con le resistenze degli esponenti più moderati del Partito Democratico. Il disegno di legge “Build Back Better Act”, presentato l’anno scorso, era fallito per l’opposizione in Senato del senatore Joe Manchin, del West Virginia, considerato un “Democratico conservatore”. La maggioranza dei Democratici in Senato è così risicata che anche un solo voto contrario può bloccare un provvedimento: Democratici e Repubblicani hanno entrambi 50 senatori e la maggioranza può essere ottenuta solo con il voto della vicepresidente Kamala Harris, il cui intervento è previsto in caso di parità.

Anche per questo l’approvazione dell’“Inflation Reduction Act”, ottenuta con concessioni a Manchin e alla senatrice Kyrsten Sinema dell’Arizona, è stata considerata da molti giornali un punto di svolta. Il senatore democratico delle Hawaii Brian Schatz ha definito l’accordo un «miracolo politico, in un partito che va dalle posizioni di Bernie Sanders [uno dei Democratici più progressisti, ndr] a quelle di Joe Manchin».

Joe Biden saluta dalla Casa Bianca per le celebrazioni del 4 luglio (AP Photo/Evan Vucci)

«Questo è potenzialmente un momento di svolta nella narrativa sulla presidenza Biden. Ora è difficile dire che non abbia ottenuto risultati», ha detto al New York Times Cornell Belcher, sondaggista americano che faceva parte dello staff di Barck Obama. Lo stratega politico Democratico Ben LaBolt ritiene che gli ultimi successi legislativi possano essere «significativi in termini di voti» perché riguardano argomenti cari agli elettori, come l’inflazione o i prezzi dei medicinali.

Un ulteriore vantaggio nelle prossime elezioni per i Democratici potrebbe arrivare dalla mobilitazione degli attivisti dopo che lo scorso 24 giugno la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva ribaltato la sentenza del 1973 conosciuta come “Roe v. Wade”, che garantiva il diritto all’aborto a livello federale: il successo di un referendum in Kansas su questo argomento è stato visto come un segnale della probabilità che la questione dell’aborto abbia un peso importante sulle elezioni di metà mandato.

Altri analisti sono più prudenti: la possibilità che il Partito Democratico perda la maggioranza in almeno una delle camere è ancora ritenuta molto alta, anche considerato che nella maggior parte dei casi il partito del presidente in carica esce sconfitto nei risultati delle elezioni di metà mandato. La già risicata maggioranza Democratica rischia di scomparire dopo le elezioni, riducendo i margini di manovra di Biden.