Renzi e Calenda trattano per formare il “terzo polo”

Un'alleanza al centro potrebbe salvare entrambi i partiti, ma le loro personalità ingombranti non saranno facili da tenere insieme

(LaPresse - Mourad Balti Touati)
(LaPresse - Mourad Balti Touati)
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La decisione del leader di Azione Carlo Calenda di cancellare l’accordo col Partito Democratico uscendo dalla coalizione di centrosinistra avrà probabilmente grosse conseguenze sul centro, un’area politica composta da molti piccoli partiti che nelle ultime settimane si erano perlopiù accasati da una parte o dall’altra, in vista delle elezioni del 25 settembre che si terranno con una legge elettorale, il “Rosatellum”, che rende le alleanze di fatto obbligatorie. Da posto molto affollato, prima del ritorno di Azione il centro di fatto si era svuotato quasi del tutto: ora invece potrebbe tornare rilevante.

Prima dell’annuncio di Calenda di volersi presentare da solo, al centro era rimasto soltanto Italia Viva di Matteo Renzi, che infatti ha prontamente rilanciato la proposta di un’alleanza con Azione per costruire una coalizione. Renzi sta parlando insistentemente di un “terzo polo”, contrapposto a quello del centrosinistra e a quello della destra, anche se al momento il partito più popolare dopo le due coalizioni è il Movimento 5 Stelle, stando ai sondaggi. Non è detto che il “terzo polo” non si riveli in realtà un “quarto polo”, insomma.

Nelle stesse ore il movimento politico di Federico Pizzarotti, ex sindaco di Parma originariamente del M5S, ha annunciato un’alleanza con Italia Viva. Sui quotidiani di martedì si parla molto di eventuali candidature di una coalizione di centro ancora più larga, che potrebbe comprendere anche ex dirigenti del centrodestra.

Una eventuale alleanza fra Azione e Italia Viva viene di fatto incoraggiata anche dalle legge che stabilisce quali partiti devono raccogliere le circa 56mila firme necessarie per presentarsi alle elezioni. L’ultima modifica, approvata dal Parlamento a giugno, prevede che siano esentati dalla raccolta firme i partiti che erano già in Parlamento, quelli che avevano un gruppo autonomo alla Camera o al Senato entro la fine del 2021, oppure quelli che si sono presentati «con proprio contrassegno» alle ultime elezioni politiche o europee ottenendo almeno un seggio oppure l’uno per cento dei consensi.

Sulla carta Azione non rientra in nessuno di questi casi: è nata alla fine del 2019, quindi dopo le politiche e le europee, e non ha un gruppo autonomo in Parlamento, dato che i suoi membri siedono nel Gruppo Misto sia alla Camera sia al Senato. In questi giorni Azione sta provando a dimostrare che quando nel 2019 la sua antenata, Siamo Europei, si presentò alle elezioni europee nelle liste del PD lo fece comunque «col proprio contrassegno», cioè col proprio simbolo, che era compreso nel logo del PD. Ma è un’interpretazione arbitraria e dibattuta anche fra gli esperti di regole elettorali: secondo vari pareri potrebbe non essere accettata dal ministero dell’Interno.

Italia Viva invece ha un gruppo autonomo in Parlamento ed è esentata dal raccogliere le firme: cosa che per Azione richiederebbe uno sforzo organizzativo enorme, soprattutto ad agosto. Azione potrebbe quindi essere incoraggiata a presentarsi insieme ad Italia Viva, ma c’è una ulteriore complicazione: per poter beneficiare dell’esenzione dalla raccolta delle firme, Azione e Italia Viva dovrebbero presentarsi in un’unica lista elettorale mischiando perciò i propri candidati e le proprie candidate. Una decisione va presa entro il 14 agosto, giorno in cui per legge vanno depositati i simboli elettorali da inserire nelle schede, e quindi anche le relative alleanze elettorali.

«Di fatto Azione ha solo quattro giorni per una decisione capitale», scrive Domani: «tentare la roulette russa dei banchetti, sperando nel frattempo nel miracolo dell’esenzione; o acconciarsi a chiedere ospitalità sotto le insegne di Renzi».

Dal punto di vista politico Azione e Italia Viva hanno molti punti in comune: sono a destra del PD su economia, welfare e transizione ecologica, mentre sono allineate al centrosinistra sui diritti civili. Dal punto di vista personale però i rapporti fra Calenda e Renzi non sono buoni. Fu Renzi a lanciare la carriera politica di Calenda, nominandolo prima rappresentante permanente dell’Italia all’Unione Europea e pochi mesi dopo ministro dello Sviluppo economico, nel 2016. Ma da tempo i rapporti si sono rarefatti, anche per via delle ingombranti personalità di entrambi, noti per essere protagonisti e polemici.

«Con Renzi ci sono rapporti deteriorati nel tempo, ci unisce una consonanza programmatica e ci dividono alcune scelte. Non avrei mai fatto un accordo di governo con i 5S», ha detto per esempio Calenda a Repubblica, criticando la decisione di Renzi di entrare in maggioranza con il M5S per sostenere il secondo governo di Giuseppe Conte, fra 2019 e 2021.

Renzi sembra invece molto più ottimista su un eventuale accordo, e sta spingendo da giorni per trovarlo. Non deve stupire: il suo consenso personale è notoriamente bassissimo, e imbarcare un leader carismatico e percepito come nuovo come Calenda potrebbe svoltare il futuro di Italia Viva, che secondo i sondaggi presentandosi da sola rischia seriamente di finire sotto la soglia di sbarramento del 3%. Il Corriere della Sera scrive che Calenda e Renzi si sono dati tempo fino a venerdì 12 agosto per decidere se presentarsi insieme alle elezioni o meno.

Nel frattempo Italia Viva ha annunciato un’alleanza con Lista Civica Nazionale, il movimento guidato da Federico Pizzarotti, ex sindaco di Parma eletto nel 2012 col M5S e poi uscito dal partito pochi anni dopo. In origine la Lista Civica doveva essere un movimento composto soprattutto da sindaci e amministratori locali inserito nella coalizione di centrosinistra. Ci stava lavorando anche il sindaco di Milano, Beppe Sala. Poi però il progetto si era fermato, e ora è stato portato da Pizzarotti in una collocazione ancora più di centro. «Su Calenda non metto veti», ha detto in un’intervista allo HuffPost, facendo capire di auspicare un’alleanza fra Italia Viva e Azione.

La nascita di una eventuale coalizione di centro sta suscitando l’interesse anche di associazioni, fondazioni e politici legati al vecchio centrodestra. La Fondazione Luigi Einaudi, che raduna buona parte del mondo liberale accademico e politico, ha pubblicato un appello sul Messaggero per chiedere a Calenda e Renzi di creare una lista unica per «dare voce all’area liberal-democratica». L’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini si è unito all’appello e negli ultimi giorni si parla con insistenza di una sua candidatura alle elezioni politiche a Milano, con Azione.

Al momento però non è ancora chiaro quanti voti possano raccogliere in tutto i partiti di quest’area. Dai giornali trapela che l’obiettivo ufficioso di Calenda è quello di superare il dieci per cento dei voti, qualcuno sostiene che punti persino al 15 per cento. Una eventuale alleanza con Renzi e Pizzarotti non è ancora stata stimata dai sondaggi. Nell’ultima rilevazione dell’istituto SWG per La7, Azione e +Europa (che però rimarrà nel centrosinistra) erano date al 6,5 per cento, Italia Viva al 2,9 per cento.