Per entrare al Senato i partiti dovranno prendere ben più del 3%

Applicato a un parlamento più piccolo, il Rosatellum prevederà uno “sbarramento implicito” molto più alto in alcune regioni

(Roberto Monaldo/ LaPresse)
(Roberto Monaldo/ LaPresse)
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Il “Rosatellum”, la legge elettorale con cui si voterà il 25 settembre e già utilizzata alle scorse elezioni del 2018, prevede in teoria una soglia di sbarramento al 3 per cento: i partiti che non raggiungeranno questa soglia a livello nazionale non parteciperanno alla distribuzione dei seggi della Camera e del Senato. Ma per come sono strutturati la legge e i collegi, è quasi certo che al Senato, e soprattutto in certe regioni, per le coalizioni o per i partiti che si presentano da soli ci sarà di fatto una soglia di sbarramento “implicita” ben più alta del 3 per cento.

Nella sua parte maggioritaria, che assegna un terzo dei seggi, il funzionamento del Rosatellum è piuttosto semplice: vince il candidato o la candidata che prende anche solo un voto in più nei vari collegi uninominali in cui è diviso il territorio nazionale. È nella parte proporzionale, che assegna due terzi dei seggi, che le cose si complicano. La regola generale è che i seggi vengono spartiti tra i partiti e le coalizioni che abbiano superato la soglia di sbarramento del 3 per cento a livello nazionale (o del 20 per cento in una singola regione, un’eccezione pensata per tutelare principalmente i partiti autonomisti).

Ma non sarà in realtà così lineare, perché per tradurre una percentuale – quella ottenuta dal voto – in un numero di seggi in parlamento occorre adottare un sistema matematico che produrrà comunque delle approssimazioni.

È una questione piuttosto complicata, e può essere utile partire da un esempio. Tre fratelli nell’ultimo anno hanno avuto l’incarico di buttare ogni sera il sacchetto con i rifiuti organici nel bidone condominiale, con la promessa di un premio finale. Dopo 365 giorni, Giulio l’ha fatto 153 volte, Marta 117 e Giovanna 95 volte. Il montepremi complessivo ammonta a 10 macchinine, e i genitori devono decidere come distribuirle. E allora fanno questo ragionamento: 36,5 giorni di sacchetti buttati, 365 diviso 10, corrispondono a una macchinina. Dividono quindi i giorni complessivi di adempimento dei propri obblighi casalinghi dei figli per 36,5; a Giulio toccherebbero 4,19 macchinine, a Marta 3,21, a Giovanna 2,60.

Ma non si possono rompere le macchinine, quindi i genitori prendono i numeri interi: a Giulio 4 macchinine, a Marta 3 e a Giovanna 2; avanza una macchinina. Decidono di darla a chi, dopo la divisione, ha la parte decimale che si avvicina di più all’intero successivo. In questo caso Giovanna, a cui avanza uno 0,60 contro lo 0,19 di Giulio e lo 0,21 di Marta: in pratica è quella che si è avvicinato di più a meritarsi un’altra macchinina intera.

La spartizione dei seggi nei collegi avviene seguendo lo stesso principio, con quello che i matematici chiamano metodo Hare-Niemeyer o dei resti più alti: le macchinine sono i seggi e i giorni sono i voti.

Torniamo quindi ai seggi dei collegi plurinominali del Senato, in cui i partiti presentano liste bloccate di candidati. Il collegio della Puglia ad esempio assegna 8 posti col metodo proporzionale: se i voti espressi fossero 2 milioni, ogni 250mila voti ne toccherebbe uno. Si prendono quindi i voti di ogni lista (tra quelle che hanno preso almeno il 3 per cento), si dividono per 250mila e si ottiene per ognuna un risultato.

Lista A: 548mila voti (27,4%) -> 2,19
Lista B: 504mila voti (25,2%) -> 2,02
Lista C: 412mila voti (20,6%) -> 1,65
Lista D: 394mila voti (19,7%) -> 1,58
Lista E: 142mila voti (7,1%) -> 0,57

A questo punto si guarda la parte intera del risultato: le liste A e B ottengono subito due seggi, la C e la D un seggio, la E nessuno, e se ne assegnano così 6 su 8. Avanzano quindi due seggi, che vengono assegnati procedendo a valutare chi tra le liste si è avvicinata di più all’intero successivo. La parte decimale più alta è quella della lista C (0,65) e della lista D (0,58), che si aggiudicano perciò i due seggi rimanenti a discapito della Lista E (la cui parte decimale era 0,57).

Il principio può sembrare poco intuitivo, ma il punto è che è più penalizzante per le liste C e D non ricevere un seggio aggiuntivo, sulla base dei voti presi, di quanto non lo sia per la lista E non riceverne nemmeno uno. In sostanza, con questo sistema di assegnazione sono di più i voti che si traducono effettivamente in seggi: il 7,1% ricevuto dalla lista E, che non si concretizza in seggi, è comunque meno della percentuale di voti che garantisce alle liste C e D il loro seggio in più.

La distribuzione finale dei seggi sarà pertanto:
Lista A: 2 seggi
Lista B: 2 seggi
Lista C: 2 seggi
Lista D: 2 seggi
Lista E: 0 seggi.

In questo caso del tutto realistico, a fronte di uno sbarramento teorico al 3% la lista E in Puglia non ha eletto nessun senatore, pur avendo preso il 7,1% dei voti espressi.

Lo “sbarramento implicito”

L’effetto che abbiamo appena visto, definito “disproporzionale”, è tanto più evidente quanto più sono piccoli i collegi su cui viene fatto il calcolo per la ripartizione dei seggi. Alla Camera, pur votando su collegi di dimensioni al massimo regionali, quelle divisioni che portano alla ripartizione sulla base della parte decimale vengono ordinate su base nazionale: questo effetto quindi non c’è. Al Senato invece il calcolo è su base regionale: nelle regioni in cui si eleggono meno senatori lo sbarramento implicito sarà piuttosto alto, amplificato rispetto al 2018 per la riduzione del numero dei parlamentari e quindi dei seggi disponibili.

I politologi e gli esperti di sistemi elettorali hanno provato a calcolare una serie di forbici possibili in cui si aggireranno gli sbarramenti effettivi nelle varie regioni: in Lombardia dovrebbe essere attorno al 3 per cento; tra il 5 e il 10 per Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Abruzzo, Campania, Puglia e Sicilia; tra il 10 e il 15 per la Calabria; tra il 15 e il 20 per Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche e Sardegna; sopra il 20 per cento per Umbria e Basilicata.