Gli assalti ai portavalori sembrano usciti dai film

Sono pianificati ed eseguiti con precisione maniacale e prevedono manovre violente e spericolate, in cui sono specializzate le bande di Cerignola

L'intervento dei vigili del fuoco dopo l'assalto a un portavalori sull'Autostrada A1, nei pressi di Lodi, il 29 gennaio 2020 (Ansa-Vigili del fuoco)
L'intervento dei vigili del fuoco dopo l'assalto a un portavalori sull'Autostrada A1, nei pressi di Lodi, il 29 gennaio 2020 (Ansa-Vigili del fuoco)

Il 3 agosto sulla Statale 16 Adriatica, all’altezza di Trinitapoli in provincia di Barletta-Andria-Trani, un gruppo di sei persone armate a bordo di tre auto ha attaccato un furgone portavalori. Le auto hanno affiancato e speronato il mezzo blindato per qualche chilometro, e le due guardie giurate a bordo hanno reagito: una delle auto è stata spinta fuoristrada. I rapinatori sulle altre due hanno sparato colpi di fucile contro il retro del portavalori e poi sono scappati.

Prima però, scesi dalle auto, hanno bloccato una macchina e un tir. Hanno fatto scendere i guidatori e hanno messo di traverso i mezzi, a cui hanno dato fuoco bloccando le carreggiate in entrambi i sensi di marcia. I carabinieri hanno poi scoperto che, poco lontano dal luogo dell’assalto, era stata rimossa con un escavatore parte del guardrail: era stata così creata una via di fuga verso la campagna di Canne della Battaglia.

Il 4 luglio a Cerignola, poco meno di 60mila abitanti in provincia di Foggia, alcuni uomini armati di fucile avevano assaltato un furgone portavalori che stava scaricando contanti nell’ufficio centrale delle Poste, in piazza Duomo. Due guardie giurate sono state immobilizzate, i rapinatori si sono fatti consegnare i giubbotti antiproiettile e le armi. Una terza guardia giurata è riuscita però a bloccare le porte del blindato, costringendo i banditi a rinunciare e a scappare.

Quella dell’assalto ai furgoni blindati e ai caveau è una specialità della mafia cerignolana, uno dei tre rami della cosiddetta quarta mafia, la mafia pugliese. Mentre la Società foggiana – questo il nome storico dell’organizzazione mafiosa di Foggia – è attiva soprattutto nelle estorsioni e la mafia garganica nel traffico di hashish e marijuana provenienti dall’Albania, la mafia cerignolana, che si è infiltrata in attività economiche legali per ripulire e riciclare il denaro proveniente dall’attività criminale, non ha mai abbandonato la sua “specialità”: l’assalto ai furgoni blindati.

La magistratura ha definito la criminalità organizzata cerignolana «una mafia militare e controllante». Gli agenti della polizia stradale dicono che quando in autostrada, in qualsiasi parte d’Italia, si verificano rapine che sembrano uscite da un film, è perché sono entrati in azione i cerignolani. Alcuni video diffusi dalla polizia mostrano come avvengono gli assalti. Ed è ormai da molti anni che le organizzazioni criminali di Cerignola agiscono anche in trasferta, nel Centro e Nord Italia.

Il 12 marzo 2022 polizia e carabinieri di Brescia avevano arrestato 31 persone, la maggioranza delle quali residenti a Cerignola, che erano già radunate e pronte a svaligiare il caveau di un istituto di vigilanza di Calcinate al cui interno erano custoditi 80 milioni di euro. Durante gli arresti sono stati sequestrati quattro fucili d’assalto AK-47 Kalashnikov, un fucile a pompa, una mitraglietta Uzi, una pistola, 21 bottiglie molotov e decine di chiodi a quattro punte.

Nelle settimane precedenti i componenti della banda, già sorvegliati dalle forze dell’ordine, avevano rubato venti tra autovetture e camion che avrebbero dovuto essere incendiati per isolare la zona del caveau. Era pronta anche una ruspa per sfondare le pareti. Due degli arrestati erano guardie giurate che avevano fatto da basisti, cioè da organizzatori locali del colpo. 

Dopo gli arresti, il procuratore di Brescia Paolo Savio aveva detto: «Pensiamo di aver disarcionato quasi totalmente una delle principali strutture di Cerignola specializzata in assalti a portavalori e rapine di questo genere. Riteniamo che si siano appoggiati a un gruppo di ’ndranghetisti del territorio bresciano».

I bossoli dei proiettili sparati durante l’assalto a un portavalori sull’autostrada A14, tra Bitritto e Adelfia. (Ansa-Luca Turi)

Le bande di specialisti cerignolani sono organizzate come una sorta di federazione, con membri dei vari gruppi intercambiabili tra loro: di volta in volta, i gruppi si formano e si sciolgono prima e dopo ogni colpo. «L’organizzazione di questi gruppi criminali» aveva raccontato il magistrato Antonio Laronga, autore del libro Quarta mafia, «è simile a quella della ’ndrangheta, verticistica e familiare, al posto delle ‘ndrine ci sono le batterie, così vengono chiamati i vari gruppi che appartengono all’organizzazione. Non ci sono riti di affiliazione ma i legami e il senso di appartenenza sono molto forti. Fenomeni di pentitismo ci sono stati, ma non molto diffusi».

Il 14 giugno del 2021 una “batteria” tentò una rapina a un portavalori sulla A1, tra Modena e Bologna. I rapinatori gettarono chiodi a quattro punte sull’asfalto, in entrambe le direzioni di marcia, costringendo automobilisti e tir a fermarsi: gli autisti dei camion furono costretti a mettere i mezzi di traverso, in modo da bloccare l’autostrada e contemporaneamente alcune auto, tra cui quelle dei rapinatori, vennero incendiate per creare confusione e paura. 

Furono sparati molti colpi di Kalashnikov in aria, sempre con l’obiettivo di creare panico. La banda però non riuscì ad aprire il blindato e, passati pochi minuti, scapparono tutti. Secondo la polizia i rapinatori si erano dati un tempo limite ben preciso entro cui concludere il colpo prima dell’arrivo delle forze dell’ordine. A bordo del furgone c’erano due milioni di euro.

I tir messi di traverso dopo l’assalto sulla A1 tra Modena e Bologna, nel giugno 2021 (Ansa)

Negli ultimi anni di colpi di questo genere, molti riusciti e altri falliti, ce ne sono stati parecchi. Il 30 settembre 2015 sulla A14 tra Loreto e Ancona Sud in soli due minuti un gruppo di una decina di persone bloccò la strada a due furgoni blindati, azzerando qualsiasi possibilità di comunicazione grazie ai jammer, disturbatori di frequenze. Furono rubati 4,7 milioni di euro. Il 30 settembre 2016, sulla A12 tra Rosignano e Collesalvetti, in provincia di Livorno, un gruppo tentò l’assalto a due portavalori che trasportavano 5 milioni di euro. In quel caso i banditi isolarono dieci chilometri di autostrada, sempre con la tecnica dei tir messi di traverso, delle auto bruciate, dei chiodi a quattro punte e dell’utilizzo di jammer. Le guardie giurate reagirono, i banditi spararono 170 colpi di AK-47. La fiamma ossidrica non riuscì ad aprire le porte dei blindati e la banda scappò. 

Il 4 dicembre 2018 ci fu una rapina lungo il raccordo autostradale Avellino-Salerno. Venti persone assaltarono tre portavalori. In quel caso la banda aveva portato in quel tratto di autostrada una pala meccanica con cui sventrò due dei tre furgoni. Dopo uno scontro a fuoco con un carabiniere che si trovava in quel tratto di autostrada, i banditi scapparono con circa due milioni di euro.

Nel 2019, il 2 gennaio, un furgone delle poste fu aperto sulla statale nei pressi di Mellitto (Bari) utilizzando due ruspe. Il furgone era stato bloccato, davanti e dietro, da due camion messi di traverso. Furono rubati 2,3 milioni di euro. Dissero le guardie giurate: «Sembrava di essere in un film, con le banconote che volavano ovunque». Prima di andarsene i rapinatori spararono due raffiche di Kalashnikov in aria.

Oltre agli attacchi in autostrada, le bande di rapinatori prendono d’assalto caveau di agenzie di vigilanza. Nel 2011 una banda isolò tutte le strade d’accesso al paese di Poggio Bagnoli, in provincia di Arezzo, poi con una ruspa sfondò il caveau di un’azienda orafa rubando 150 chili d’oro. Scappando, i rapinatori persero qualche chilo di refurtiva per strada. Nel 2014, l’istituto di vigilanza NP Service, nel villaggio degli artigiani a Foggia, fu attaccato da un gruppo di una decina di persone. La banda incendiò le auto nelle strade adiacenti isolando la zona e poi con un escavatore tentò di abbattere il muro della stanza blindata. L’operazione non riuscì prima dell’arrivo dei carabinieri. I banditi scapparono dopo una sparatoria. 

Il 4 dicembre 2016 una banda agì a Caraffa, in provincia di Catanzaro. Secondo gli inquirenti, venne prima chiesta l’autorizzazione al clan della ’ndrangheta dominante nella zona. In 11 minuti i rapinatori bloccarono le strade attorno alla ditta Sicurtransport, sfondarono il muro con una ruspa e portarono via 8 milioni di euro. Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri disse che era stata «un’azione di tipo paramilitare pianificata in ogni dettaglio».

Grazie alla collaborazione della compagna di uno dei basisti calabresi, alcune persone vennero arrestate. Tra queste, i fratelli Tommaso e Alessandro Morra, detto il Pavone, di Cerignola, entrambi specialisti di assalti ai furgoni, e Paolo Sorba, altro specialista, considerato nell’ambiente uno dei migliori. Il suo nome comparve anche nelle relazioni che portarono nel novembre del 2019 allo scioglimento del comune di Cerignola per infiltrazioni mafiose.

Durante le azioni, i banditi sono sempre molto armati e vengono sparati parecchi colpi. Solitamente le armi vengono utilizzate per bloccare qualsiasi volontà di reazione, creare panico e confusione. Fortunatamente molto spesso le rapine si concludono senza vittime. Non fu così però nel dicembre del 1999, quando un portavalori venne bloccato sulla strada provinciale tra San Donato di Lecce e Copertino: per squarciare il blindato venne fatto esplodere un ordigno. Tre guardie giurate furono uccise, altre tre rimasero ferite. I banditi scapparono con 900 milioni di lire.

Cinque mesi prima, a Milano in via Imbonati, fu attaccato un furgone blindato di una società che si occupava di scorte e prelievi. Un gruppo di nove persone fermò il mezzo, furono sparati 217 colpi di fucile contro il furgone, contro le auto in sosta, contro un autobus e contro chi si affacciò alla finestra. Quando arrivò un’auto della polizia i banditi spararono e uccisero un agente. Intanto era stato posizionato un kg di esplosivo per far esplodere il portellone blindato del portavalori: il detonatore non funzionò, i banditi fuggirono. Furono tutti arrestati pochi mesi dopo. In un’intercettazione telefonica effettuata nell’ambito di un’altra indagine, due esponenti della ’ndrangheta in Lombardia si dissero che sul portellone del furgone era stato piazzato tanto esplosivo da far saltare tutta la strada, non solo il blindato. 

Le maschere usate dai banditi per l’assalto al portavalori in via Imbonati, a Milano (C.FERRARO/ANSA / LI)

Secondo le procure quando avvengono assalti a furgoni blindati e a caveau, a idearle, organizzarle e portarle a termine sono quasi sempre gli specialisti cerignolani. Ha detto nel 2020 in un’intervista alla Gazzetta del Mezzogiorno Fausto Lamparelli, dirigente dello Sco, Servizio centrale operativo della Polizia: «In alcuni casi hanno preso in ostaggio interi paesi, hanno abbattuto palazzi con le ruspe, hanno utilizzato armi da guerra potenzialmente devastanti. Perché si tratta di bande che, nonostante la precisione degli attacchi e la perizia verso i dettagli, affermano il loro dominio creando il caos e usando la violenza in maniera spregiudicata».

Un’inchiesta del Tg2 ha documentato il dialogo, ripreso di nascosto, tra un giornalista e un rapinatore di Cerignola che spiega che, esattamente come nei lavori legali, anche per assaltare i furgoni blindati le organizzazioni criminali si rivolgono a determinati specialisti. E i migliori si trovano appunto a Cerignola.

 

Dei gruppi che si formano per pianificare un attacco a un portavalori fanno parte ladri d’auto, autisti, armieri, basisti, addetti alle ruspe, “soldati” che sanno utilizzare un kalashnikov o un fucile a pompa e che non hanno nessuna paura di sparare. Il colpo ha bisogno di una preparazione lunga, a volte anche di un anno. La batteria si procura tutto ciò che serve: giubbotti antiproiettile, armi, chiodi a quattro punte, jammer. Le targhe vengono contraffatte unendo parti di targhe rubate. Ultimamente sono utilizzati anche droni per controllare gli spostamenti delle auto della polizia.

La notte prima dell’assalto le uscite di servizio dell’autostrada nella zona dove avverrà la rapina vengono chiuse con catene e lucchetti, parti di guardrail vengono tagliate e poi riposizionate solo appoggiandole in modo da far apparire tutto normale. Ai lati della strada vengono portate le ruspe, una o anche di più, che hanno sostituito le lance termiche e vengono utilizzate per sventrare il mezzo blindato. Infine viene allestito un posto di comando, di solito ricavato all’interno di un cassone di un tir, da cui “le menti” dell’operazione guidano la banda. Una settimana prima del colpo i membri che vi prenderanno parte lasciano la propria casa, abbandonano carte di credito, bancomat, documenti, si disfano dei cellulari e comunicano tra loro solo tramite ricetrasmittenti con radiofrequenze schermate.

La ruspa usata dai rapinatori nel gennaio 2019 per l’assalto al portavalori a Mellitto (Bari). (Foto Donato Fasano – LaPresse)

Nella pianificazione delle operazioni, che vengono preparate in maniera maniacale con decine di sopralluoghi, un ruolo fondamentale lo hanno le alleanze. È impensabile, per esempio, agire in Calabria senza il consenso del clan ’ndranghetista della zona in cui avverrà la rapina. 

Da alcuni anni i clan cerignolani hanno iniziato a rapinare anche fuori dall’Italia. Nel 2017 una banda con base a Cerignola aveva pianificato un colpo a Coblenza, in Germania. Del gruppo facevano parte anche alcuni uomini napoletani che, secondo la procura di Nocera Inferiore che svolse le indagini, erano stati affiliati in carcere. Molti membri del gruppo furono arrestati nella fase di progettazione della rapina. Un altro colpo era stato pianificato a Chiasso, in Svizzera: i banditi in trasferta volevano attaccare il caveau di una ditta di trasporto preziosi. Anche in quel caso i banditi vennero arrestati nella fase della pianificazione.

Molti di questi colpi vengono progettati e organizzati in un luogo preciso: è il quartiere San Samuele di Cerignola, detto Fort Apache, a est di Cerignola. Nel libro Quarta Mafia, Laronga lo descrive così: «Un quartiere completamente slegato dal contesto urbano, privo di servizi (…) un posto a rischio dove il cerignolano di città non deve entrare. (…) Nelle cantine di persone insospettabili o negli scantinati condominiali vengono nascoste armi da guerra micidiali, bazooka e fucili mitragliatori che arrivano direttamente dai Balcani. (…) Pasquale Di Tommaso, il patriarca, recintò il giardino di quartiere come se fosse di sua proprietà».

Le grandi quantità di denaro che derivano dagli assalti ai portavalori vengono poi riciclate in varie attività lecite. È scritto nell’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia che «la mafia cerignolana ha completato un processo evolutivo nel quale partendo dal controllo del territorio attraverso la compagine militare è stata in grado parallelamente di sviluppare anche strutture economiche ed imprenditoriali così da poter essere considerata l’autentica mafia degli affari della provincia di Foggia».

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