Carlo Calenda, le puntate precedenti

In questi giorni si parla spesso di lui per via delle trattative tra Azione e il PD, ma non è la prima volta che i media gli dedicano tanta attenzione

(Roberto Monaldo/LaPresse)
(Roberto Monaldo/LaPresse)
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In questi primi giorni di campagna elettorale si sta parlando molto delle trattative per le alleanze tra i partiti di centro e di centrosinistra, e una quota cospicua di questo dibattito è dedicato alle mosse di Azione e del suo leader, Carlo Calenda. Non è una novità che media ed esperti di politica si occupino di Calenda. In passato lo hanno fatto per molti motivi, dai suoi incarichi di governo al suo attivismo su Twitter. Ora l’attenzione è giustificata dal fatto che Azione, insieme al partito con cui si è alleato a inizio anno, +Europa, è cresciuto e ha di fatto dettato le condizioni per l’alleanza con il Partito Democratico.

Ma a chi normalmente non segue la politica potrebbe mancare qualche pezzo per capire come Calenda sia arrivato a questo punto e come abbia acquisito un ruolo centrale in questa campagna elettorale.

Calenda è figlio della regista Cristina Comencini e dell’economista Fabio Calenda. Prima di diventare un politico, lavorò a lungo come manager, prima in Ferrari, poi a Sky e infine in Confindustria, dove venne chiamato da Luca Cordero di Montezemolo durante il suo mandato da presidente, tra il 2004 e il 2008. Calenda era uno dei principali collaboratori di Montezemolo, oltre che l’autore di molti dei suoi discorsi. Nel 2009, poco dopo la fondazione del movimento politico Italia Futura, Montezemolo chiamò Calenda per dirigerne l’organizzazione territoriale.

Italia Futura poi confluì in Scelta Civica, il partito con cui Mario Monti partecipò alle elezioni politiche del 2013. All’epoca Calenda era incaricato di comporre la parte delle liste riservata ai componenti di Italia Futura. Le altre due componenti importanti erano i candidati di Mario Monti e quelli della Comunità di Sant’Egidio. Il partito non andò molto bene e Calenda risultò uno dei primi non eletti.

Quelle elezioni portarono al governo cosiddetto delle “larghe intese” presieduto da Enrico Letta e sostenuto tra gli altri da Scelta Civica. Calenda fu chiamato allora per l’incarico di viceministro dello Sviluppo economico con delega al commercio estero, e cominciò a farsi notare per il dinamismo con cui interpretava il ruolo. Nel corso del 2015 fu tra i numerosi dirigenti di Scelta Civica a scegliere di abbandonare il partito per avvicinarsi al Partito Democratico. A differenza di altri però non prese la tessera del partito.

Calenda cominciò a farsi conoscere nel 2016, durante il governo di Matteo Renzi, quando fu prima nominato rappresentante dell’Italia presso l’Unione Europea e poi, dopo due settimane, ministro dello Sviluppo economico per sostituire Federica Guidi, coinvolta in un’inchiesta sull’estrazione di petrolio in Basilicata, poi archiviata. Calenda mantenne il ruolo di ministro anche nel governo successivo, quello presieduto da Paolo Gentiloni.

Da ministro, Calenda ottenne un certo apprezzamento per i suoi modi diretti e per il suo interventismo nelle crisi industriali, dal caso Embraco all’ex Ilva. Alle elezioni del 2018 non si candidò, ma nelle settimane successive fu uno dei protagonisti del dibattito interno al PD, che a quelle elezioni andò piuttosto male. Inizialmente sembrava che Calenda volesse contribuire alla “ricostruzione” del partito, prese la tessera e fece frequenti dichiarazioni pubbliche e comparsate in televisione, insistendo sulla necessità di aiutare il PD a riacquistare consensi.

Alle elezioni europee del 2019, Calenda presentò un manifesto politico chiamato Siamo Europei, con l’obiettivo di mettere insieme una lista europeista unitaria del centrosinistra. Convinse l’allora segretario del PD, Nicola Zingaretti, a condividere il simbolo del PD con quello di Siamo Europei, e si candidò nella circoscrizione del Nord-Est risultando eletto con oltre 275mila voti.

Il nuovo ruolo di europarlamentare, che conserva tuttora, non diminuì l’attivismo di Calenda nella politica italiana. Nelle settimane successive alla sua elezione conservò la tendenza a suscitare discussioni trovando motivi di scontro con il partito al quale apparteneva. Quando poi la crisi del primo governo Conte portò il PD e il Movimento 5 Stelle ad avvicinarsi e fare l’accordo per formare un nuovo governo, ad agosto 2019, Calenda decise di uscire polemicamente dal PD e annunciò l’intenzione di formare un nuovo partito.

Nel novembre successivo, Calenda fondò Azione, un partito allora definito come fondato sul liberalismo sociale e sul popolarismo di don Luigi Sturzo, la dottrina che fu anche alla base della Democrazia Cristiana. Durante il suo primo anno di vita, Azione ha faticato a ritagliarsi un ruolo rilevante nello spazio politico italiano: i sondaggi lo davano intorno al 3 per cento e fino a febbraio 2021 i suoi – pochi – parlamentari sono stati all’opposizione. Poi sono passati a sostenere il governo di unità nazionale presieduto da Mario Draghi.

Nel frattempo, con un anno di anticipo, Calenda aveva annunciato la sua candidatura a sindaco di Roma. Alla campagna elettorale per Roma si dedicò durante tutto l’anno successivo, girando per i quartieri della città, intervenendo in televisione e discutendo animatamente con tutti gli altri candidati. Per un periodo tentò anche di farsi appoggiare dal PD, che però poi decise di istituire le primarie, vinte da Roberto Gualtieri. In quelle elezioni, tenute a ottobre del 2021, Calenda ottenne un risultato tutto sommato soddisfacente, arrivando terzo dietro al candidato di centrodestra (Enrico Michetti) e a Gualtieri, ma davanti alla sindaca uscente Virginia Raggi, del Movimento 5 Stelle. Dopo il primo turno, Calenda disse che avrebbe votato Gualtieri ma che Azione sarebbe stato all’opposizione.

Lo scorso gennaio Calenda è stato tra i promotori della federazione del suo partito con +Europa. Il motivo dell’alleanza era di certificare un’unione di intenti che nei fatti già esisteva: i due partiti hanno proposto quindi di fare campagna insieme per i referendum sulla giustizia, sulla cannabis e sull’eutanasia (ma soltanto quelli sulla giustizia sono stati poi giudicati ammissibili dalla Corte Costituzionale) e di sostenere con convinzione il governo Draghi. Durante la crisi di governo sono stati tra i più critici nei confronti dei partiti che l’avevano innescata, principalmente il M5S e la destra.

Azione e +Europa sono stati anche i primi a organizzare un’iniziativa ufficiale dopo le dimissioni di Draghi, anche grazie al dinamismo di Calenda. La scorsa settimana hanno organizzato un evento per presentare una specie di “fronte repubblicano”, un manifesto elettorale basato sull’agenda del governo Draghi, contro le destre e rivolto a tutti i partiti «liberali ed europeisti». Poi, nei giorni successivi, Azione ha accolto due storiche esponenti di Forza Italia, Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, che avevano lasciato il loro vecchio partito in polemica con la decisione di non sostenere più il governo Draghi.

Ad Azione e +Europa, per tutti questi motivi, viene attribuito un ruolo importante nelle trattative per formare una coalizione di centrosinistra, soprattutto visto come è fatta la legge elettorale con cui voteremo. Il “Rosatellum” prevede infatti collegi più grandi in cui si voterà con un sistema proporzionale, che assegna cioè alle liste i seggi in proporzione ai voti presi; e altri più piccoli con un sistema maggioritario, in cui vince il candidato o la candidata che prende anche solo un voto in più. Risulta quindi ovvio che in quei collegi le alleanze contano, e se i partiti di centro e di centrosinistra si presentano divisi contro la destra unita hanno scarsissime possibilità di vincere i seggi assegnati dai collegi uninominali (chiamati così perché ogni partito o coalizione vi può candidare una sola persona).

Viceversa, un’alleanza tra i partiti centristi e il centrosinistra potrebbe essere l’unica via per evitare una larga vittoria della destra, ed è per questo che si parla così tanto di Calenda e della leader di +Europa, Emma Bonino. Secondo i sondaggi più recenti, Azione e +Europa insieme hanno un consenso compreso tra il 4 e il 6 per cento.