Il Prosecco DOC litiga col Prosecco DOCG

Tra i consorzi delle due diverse denominazioni vinicole c'è agitazione per un'ipotizzata riforma che dovrebbe cambiare le regole sulla comunicazione

(AP Photo/Luca Bruno)
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Negli ultimi giorni ci sono stati diversi scontri e polemiche tra i produttori di prosecco per via di un nuovo codice di autoregolamentazione che avrebbe dovuto fissare nuove regole per la denominazione di uno dei vini italiani più famosi nel mondo. In sintesi, il codice era stato pensato per uniformare la comunicazione del Prosecco, oggi distinta in tre diversi consorzi di tutela: una DOC, acronimo di Denominazione di Origine Controllata, e due DOCG, Denominazione di Origine Controllata e Garantita.

La tensione tra i produttori che fanno parte dei diversi consorzi si è alzata al punto da annullare e rinviare le riunioni e i confronti in cui si sarebbe dovuto discutere del nuovo codice. Potrebbero sembrare marginali litigi tra viticoltori, in realtà la vicenda è significativa perché coinvolge un mercato cresciuto in modo notevole nell’ultimo decennio: ogni anno si producono oltre 700 milioni di bottiglie di Prosecco per un giro di affari complessivo stimato in oltre 3 miliardi di euro.

Fino al 2009 esistevano soltanto due tipi di Prosecco, il DOC prodotto in collina e quello prodotto in pianura, di Indicazione Geografica Tipica (IGT). L’allora ministro delle Politiche agricole e alimentari Luca Zaia, oggi presidente della Regione Veneto, fissò nuove regole. La vite del Prosecco prese il nome di Glera, una varietà di un vitigno che ha origine incerta, contesa tra Veneto e Friuli-Venezia Giulia, ed è conosciuto fin dai tempi dei Romani. Secondo le descrizioni tecniche, la Glera è un vitigno “a bacca bianca” e i suoi grappoli sono grandi e lunghi, con acini giallo-dorati.

La decisione più importante riguardò la denominazione: semplificando, il Prosecco conosciuto fino ad allora come IGT diventò DOC e il DOC delle colline DOCG. Con l’assegnazione del marchio DOCG il ministero delle Politiche agricole e alimentari assegnò alle produzioni dell’area storica il massimo livello di qualità riconosciuta dallo Stato. Per organizzare meglio i produttori nei diversi territori, vennero creati tre consorzi: la DOCG Asolo Prosecco, la DOCG Conegliano Valdobbiadene Prosecco e la DOC Prosecco.

Le Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene (Mionetto/Flickr)

L’area del Prosecco DOCG Conegliano Valdobbiadene è costituita dal territorio di 15 comuni, si trova a 50 chilometri da Venezia e a 100 chilometri dalle Dolomiti. Per produrre il “Conegliano Valdobbiadene Prosecco DOCG” si possono usare solo le varietà di vite Glera (per un minimo dell’85%) e alcune varietà locali di uva (la Verdiso, la Bianchetta, la Perera e la Glera Lunga) o internazionali (Pinot e Chardonnay) per il restante 15%. Nei vigneti è consentita una produzione al massimo di 13,5 tonnellate di uva per ettaro. La produzione avviene applicando un rigido disciplinare che regola la produzione delle uve, la loro fermentazione e la successiva naturale “presa di spuma”.

Il nome del territorio – Conegliano Valdobbiadene – deve comparire in etichetta ed essere riportato in primo piano. Possono essere indicati entrambi i nomi o solo uno e possono essere seguiti dalla parola Prosecco accompagnata, nel caso dello spumante, dall’aggettivo Superiore.

– Leggi anche: Il Prosecco come stile di vita

Il territorio della DOCG Asolo Prosecco si trova ai piedi del Monte Grappa, sulle colline a occidente del Piave, a ridosso delle Dolomiti e del Montello, interamente in provincia di Treviso.

La differenza fondamentale tra il DOCG e il DOC è l’area di produzione, che per il Prosecco DOC è molto più ampia: i territori appartengono alle 4 province del Friuli Venezia Giulia (Gorizia, Pordenone, Trieste e Udine) e a 5 province del Veneto (Belluno, Padova, Treviso, Venezia, Vicenza). Anche i criteri di composizione del Prosecco DOC prevedono l’uso di uve del vitigno Glera per almeno l’85%, mentre fino a un massimo del 15% possono essere utilizzate le varietà Verdiso, Bianchetta Trevigiana, Perera, Glera lunga, Chardonnay, Pinot Bianco, Pinot Grigio e Pinot Nero, vinificato in bianco.

I tre consorzi hanno mercati molto diversi. La DOC ha una produzione molto vasta, 627 milioni di bottiglie stimate nel 2021, mentre nelle due DOCG è più limitata: 100 milioni di bottiglie per la DOCG Conegliano Valdobbiadene e 21 milioni di bottiglie per la DOCG Asolo.

Tutti e tre i consorzi hanno registrato un’enorme crescita di produzione ed esportazioni all’estero nell’ultimo decennio. Lo sviluppo è stato veloce e non facile da controllare, soprattutto dal punto di vista comunicativo: il Prosecco è diventato un marchio noto in tutto il mondo grazie in particolare alla spinta della DOC che ha numeri decisamente superiori alle due DOCG.

(AP Photo/Luca Bruno)

Come ha ricostruito il Gazzettino, i presidenti dei tre consorzi avrebbero dovuto trovarsi in una riunione fissata il 26 luglio per firmare il nuovo codice di autoregolamentazione relativo principalmente alla comunicazione del marchio. Il punto più delicato e controverso era l’eliminazione della parola “superiore” dall’etichetta delle due DOCG e il divieto di fare comparazioni dirette tra le diverse denominazioni per evitare che i vini delle DOCG venissero presentati come migliori di quello della DOC. Le nuove regole, considerate un possibile passo verso l’unificazione dei consorzi, avrebbero sicuramente avvantaggiato la DOC, motivo che ha causato le polemiche dei produttori riuniti nelle due DOCG.

La polemica tra i consorzi, già piuttosto vivace in seguito all’invio della bozza del codice, è stata alimentata da un commento del direttore della DOC Luca Giavi riportato dal Gazzettino. «Nel tempo si sono create delle prassi di utilizzo di termini che non sono corretti. Ad esempio: il Prosecco Superiore non esiste», ha detto Giavi sostenendo di aver chiesto al ministero di introdurre nuove regole per difendersi dagli attacchi di altri produttori ed eliminare una serie di utilizzi scorretti delle denominazioni.

La presidente del consorzio DOCG Conegliano Valdobbiadene Elvira Bortolomiol, in seguito alle preoccupazioni emerse tra i produttori, ha cercato di rassicurare i soci del consorzio con una comunicazione ufficiale per precisare che «non esiste nessun tipo di accordo sull’ipotetico consorzio unico, né circa il dominio prosecco.it, che rimarrà in nostro possesso e nessun accordo circa l’eliminazione del nome Prosecco. Tanto meno si è giunti ad accordi circa la condivisione di codici di autoregolamentazione. Sottolineiamo che il termine “Superiore” è parte integrante del nostro nome».

Dei litigi tra produttori si è occupato anche il presidente del Veneto Luca Zaia, intervenuto più volte per riportare la calma. «DOC e DOCG sono come due gemelli siamesi, la morte o la vita dell’uno è la morte o la vita dell’altro», ha detto Zaia. «Punto primo: la DOCG sa di essere la culla del Prosecco, è ai produttori della DOCG che dobbiamo questo fenomeno, sono loro che hanno creato la storia, ma sanno anche che prima del 2009 il nome non era una loro esclusiva. Secondo: la DOC sa che senza la DOCG non esisterebbe. Dico questo perché sentire parlare di un codice di autoregolamentazione messo a punto a livello ministeriale mi fa venire l’orticaria. Ma lo capiscono che così si finisce a carte bollate?». Zaia ha sollecitato i consorzi a mettere da parte questo dibattito per evitare conseguenze sulla credibilità del marchio e della stessa regione, che ogni anno attira molti turisti proprio grazie al Prosecco.

Per ora la bozza del codice è stata accantonata. La scorsa settimana la direzione generale del ministero delle Politiche alimentari e forestali ha inviato una mail ai consorzi per comunicare che la riunione prevista per il 26 luglio è stata «rinviata a data da destinarsi, e comunque non prima del prossimo 5 settembre» e che la bozza del codice «deve intendersi allo stato come non prodotta e non utilizzabile».