Come la Sardegna ha risolto il problema della siccità

La gestione dell'acqua è stata affidata a un'unica autorità che sfrutta al meglio le molte dighe costruite nel secolo scorso

La diga Cantoniera sul fiume Tirso, in Sardegna (Gianni Careddu/Wikimedia)
La diga Cantoniera sul fiume Tirso, in Sardegna (Gianni Careddu/Wikimedia)
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Alla fine di giugno i laghi artificiali della Sardegna erano quasi pieni: c’erano 1,4 miliardi di metri cubi di acqua, con un livello di riempimento del 78 per cento. C’è più acqua rispetto all’anno scorso e l’arrivo di centinaia di migliaia di turisti non ha avuto conseguenze: l’acqua potabile è sempre stata garantita ovunque e anche gli agricoltori ne hanno avuto piena disponibilità. Nelle ultime settimane la situazione è rimasta abbastanza stabile, nonostante le scarse precipitazioni e il gran caldo di maggio e giugno, e secondo gli ultimi dati ci sono scorte a sufficienza almeno fino alla fine del 2023.

Rispetto a molte altre regioni italiane e a molti paesi europei, dove la prolungata mancanza di acqua sta creando significativi problemi soprattutto all’agricoltura, qui sembra che la siccità non esista. In realtà la Sardegna non ha condizioni climatiche favorevoli rispetto al resto d’Italia, ma ha trovato un modo per gestire meglio l’acqua, un modello che oggi molte altre regioni vorrebbero copiare.

La siccità in Sardegna è un problema storico che le popolazioni hanno dovuto affrontare per secoli. Negli ultimi cento anni sono state trovate diverse soluzioni per limitarlo, come la costruzione di decine di dighe per creare bacini artificiali dove conservare l’acqua in vista dei periodi più critici. In Sardegna ci sono 37 dighe che creano bacini artificiali per un totale di 1,8 miliardi di metri cubi di acqua, 200 chilometri di canali e 50 impianti di pompaggio.

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Da questo complesso sistema idrico dipende il 74 per cento delle forniture totali, una percentuale molto più alta rispetto alle altre regioni: il sistema padano, per esempio, dipende soltanto per il 3,2 per cento dall’acqua dei laghi artificiali. In Sardegna però l’apporto delle falde sotterranee è assai più marginale, e per questo è molto importante mantenere efficiente la rete che sfrutta l’acqua dei bacini artificiali.

Le dighe e gli acquedotti, tuttavia, da soli non bastano a garantire una gestione attenta. Come in molte altre regioni italiane, anche in Sardegna negli ultimi decenni ci sono state diverse emergenze legate alla mancanza di acqua: a metà degli anni Novanta la siccità fu così grave da far ipotizzare l’invio dalla Francia di navi cisterna per alimentare l’acquedotto di Cagliari. Nel 1995 il governo dichiarò lo stato di emergenza idrica. Anche all’inizio degli anni Duemila ci furono diverse interruzioni alla fornitura di acqua potabile, in particolare nei mesi estivi.

Le cose cambiarono dopo il 2003, anno in cui in tutta Europa ci fu un’ondata di calore eccezionale. Da allora si iniziò a lavorare a una nuova legge regionale, la numero 19 approvata nel 2006, che ridefinì il sistema di gestione dell’acqua. Prima della legge, la Sardegna aveva un sistema simile a quello che c’è nelle altre regioni italiane ancora oggi, cioè molto frammentato: ogni bacino e ogni acquedotto erano gestiti da un consorzio che pensava esclusivamente alla propria acqua. Tra le altre cose, non erano disponibili dati a livello regionale per osservare la situazione e programmare manutenzioni e interventi per migliorare la rete nei punti più precari.

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La frammentazione delle competenze e delle responsabilità è uno dei limiti denunciati negli ultimi mesi in molte regioni, soprattutto al Nord, dove c’è una scarsa comunicazione e collaborazione tra consorzi ed enti che gestiscono l’acqua per diversi usi, proveniente dalle montagne ai fiumi passando per i laghi.

La legge regionale 19 del 2006 ripensò il sistema idrico come una competenza regionale: vennero revocate tutte le concessioni dei consorzi e la responsabilità passò totalmente all’autorità di bacino, un ente pubblico istituito con la nuova legge. L’autorità di bacino è formata da un comitato istituzionale che ha il compito di individuare gli obiettivi generali, mentre il nuovo Ente acque della Sardegna gestisce concretamente la rete idrica.

I consorzi esistono ancora, ma hanno meno poteri: ogni anno ricevono dall’autorità di bacino una certa quantità di acqua da distribuire ai diversi servizi come l’agricoltura o le aziende.

«Avere portato il controllo in una sola autorità ci ha consentito di rendere la gestione molto più efficiente», spiega Paolo Botti, direttore del servizio tutela e gestione delle risorse idriche, vigilanza sui servizi idrici e gestione della siccità dell’autorità di bacino. «Da quando è possibile osservare la situazione in tempo reale in tutta la regione, e nel caso intervenire, non ci sono stati più problemi legati all’utilizzo dell’acqua potabile, sempre assicurata in tutta la regione. Anche gli agricoltori non hanno avuto restrizioni, ad eccezione di alcuni tagli fatti nelle zone a Nord della regione nel 2017, ma senza grossi problemi».

Uno dei compiti più importanti dell’autorità di bacino è controllare in tempo reale il tasso di riempimento di tutti i laghi artificiali. In questo modo è possibile prevedere i problemi e intervenire per evitare le emergenze.

Una delle zone che nelle ultime settimane hanno avuto un livello di riempimento inferiore rispetto alla media regionale è la Sardegna nord occidentale, un’area compresa nella provincia di Sassari. «La situazione nel suo complesso resta fortunatamente sotto controllo», ha detto l’assessore regionale ai Lavori pubblici Aldo Salaris. «In alcuni sistemi della Sardegna nord occidentale si riscontra localmente un livello di severità idrica medio, quindi una condizione che anche se non determina restrizioni rimane da monitorare costantemente e con ancora più attenzione». In queste zone, grazie all’osservazione costante dei dati, già da diversi mesi l’autorità di bacino ha ordinato all’Ente acque della Sardegna di portare più acqua per alimentare due serbatoi. Prima della legge regionale, invece, sarebbe stato molto difficile accorgersi dell’emergenza in tempo utile.

Grazie a questo nuovo modello, inoltre, l’autorità di bacino riesce ad assegnare l’acqua con molto anticipo rispetto al fabbisogno: a maggio sono state assegnate le quantità di acqua fino alla fine dell’anno e sono già state fatte previsioni per possibili crisi idriche fino alla primavera del 2023. I dati dicono che ci sono scorte di acqua potabile almeno fino alla fine del prossimo anno.

La gestione unica consente anche di programmare opere di manutenzione con anticipo e distribuire i soldi dove servono di più. Molte delle dighe e degli acquedotti sardi risalgono a più di 50 anni fa: nel 2024 ricorreranno i 100 anni della diga Santa Chiara, sul fiume Tirso, in provincia di Oristano, che nel 1924 permise la creazione del più grande bacino artificiale della Sardegna, il lago Omodeo. Con i suoi 70 metri di altezza fu per molti anni la diga più alta del mondo, e venne poi sostituita nel 1997 dalla diga Cantoniera.

Molte altre opere furono costruite grazie ai soldi della Cassa del Mezzogiorno, un ente pubblico creato nel 1950 per finanziare lo sviluppo delle regioni del Sud e diminuire il divario con il Nord del paese.

La Cassa riuscì solo in parte a rispettare il suo obiettivo principale, anzi moltissimi soldi vennero sprecati (si stima che furono spesi 279.763 miliardi di lire, circa 140 miliardi di euro, con una spesa media annuale equivalente a 3,2 miliardi di euro). La Sardegna, tuttavia, riuscì a sfruttare queste risorse economiche per costruire una rete idrica moderna, con grandi dighe e nuovi acquedotti che oggi richiedono attenzioni e interventi.

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Grazie all’analisi dei dati e delle condizioni della rete, nei prossimi anni in Sardegna la priorità non sarà la costruzione di nuovi dighe o invasi, come richiesto in altre regioni italiane, ma sfruttare meglio l’acqua già a disposizione. «Siamo consapevoli che molta acqua usata in agricoltura viene dispersa, quindi cercheremo di capire come depurare e riutilizzare i reflui», dice Botti. «Un altro progetto riguarda un utilizzo più consapevole dell’acqua in agricoltura, installando contatori che permetteranno di pagare a consumo e non più ad ettaro, e migliorando la distribuzione per portarla dove effettivamente serve».

In effetti in Sardegna, come in altre regioni, ci sono molti problemi legati alla dispersione idrica che in alcune zone supera il 50 per cento, come dimostrano gli ultimi dati pubblicati dall’ISTAT che confermano la necessità di nuovi e continui interventi di manutenzione sulla rete.

L’incognita più temuta riguarda i cambiamenti climatici, che hanno reso meno affidabili gli strumenti per prevedere come andranno le cose in futuro. La programmazione sul lungo periodo, infatti, si basa anche sulle serie idrologiche, cioè sull’analisi storica dei dati relativi alle precipitazioni e all’acqua a disposizione. A causa del rapido peggioramento osservato negli ultimi decenni, anche in Sardegna è complicato prevedere come evolverà il clima.

«I cambiamenti climatici in atto hanno dimostrato come alcune caratteristiche delle serie idrologiche sono profondamente cambiate, al punto che è difficile prevedere l’evoluzione», spiega Botti. «Purtroppo però lo studio delle infrastrutture si basa anche su questi dati. Quanto deve essere grande una diga, considerato che mi servirà per i prossimi decenni? Oggi è più difficile saperlo con precisione».