Una canzone degli Sparks

Che sono una storia per conto loro

(Michael Buckner/Getty Images)
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Alison Moyet ha 61 anni, il suo tempo è passato da un pezzo ma si fa ancora volere bene al paese suo.
Ludovico Einaudi è in tour negli Stati Uniti ed è stato ospite di quel format di concerto intimo della radio NPR che si chiama “Tiny desk concert”.
In una pausa del suo radunare folle in posti enormi, la settimana scorsa Billie Eilish si è presentata invece sul palco di un famoso localino di Los Angeles dove suonava suo fratello. Il pubblico ha apprezzato.

Beat the clock (Extended version)
Sparks

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Gli Sparks sono una storia per conto loro, e ve lo dice uno a cui non sono quasi mai piaciute le cose degli Sparks: ma due fratelli che hanno costruito una band che è stata per mezzo secolo musica, cinema, modi teatrali, estetica ricercata, attraversando generi, creando culti e andando pure in buone posizioni di classifica meritano rispetto. Sono californiani, si sono presentati sempre in modi particolari – “personaggi” – e a un certo punto alla fine degli anni Settanta si sono affidati a Giorgio Moroder che ha portato la loro precoce passione per la musica elettronica e per le tastiere nelle discoteche. Dopo hanno continuato a fare cose diverse, e i loro dischi sono andati benino ancora in questo millennio, ma stasera che è mercoledì ci fermiamo là con Moroder, nel 1979: e con un pezzo che fu appunto una delle cose di sintetizzatori anni Ottanta (prima degli anni Ottanta!) che seppe funzionare meglio nelle discoteche del tempo. E con le notevoli trovate dell’incessante coro “you’ve gotta beat the clock”, della travolgente base di batteria elettronica e dell’apertura liberatoria del refrain col giretto di tastiere sotto che poi avremmo trovato in metà della disco italiana del decennio successivo. Il resto che sentite è repertorio Moroder, già sperimentato con successo in I feel love di Donna Summer .

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