Le stazioni di servizio, da cui siamo passati tutti

Alcune fotografie raccontano la nascita delle stazioni di servizio negli anni Cinquanta: non servono solo a far rifornimento, ma anche a mangiare, dormire, incontrarsi

Una stazione di servizio a Roma, Via Aurelia, 1959 (Federico Patellani)
Una stazione di servizio a Roma, Via Aurelia, 1959 (Federico Patellani)
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Un modo per ripercorrere i cambiamenti storici, sociali ed economici dell’Italia, dal secondo Dopoguerra a oggi, è quello proposto dai musei e dagli archivi d’impresa. Hanno come scopo quello di salvaguardare la storia della nostra industria, ma contemporaneamente i materiali da loro raccolti riflettono le evoluzioni del nostro paese. Accade ad esempio con l’archivio di Eni, principale società energetica italiana. Attraverso documenti, immagini e testimonianze dei protagonisti, racconta l’industria petrolifera italiana dalle sue origini alla diffusione sull’intero territorio nazionale fino all’espansione in molti paesi del mondo. Ma non solo.

L’archivio storico di Eni, messo a disposizione della comunità scientifica, dei ricercatori e degli studenti, è diviso in diverse sezioni. C’è quella dedicata ai milioni di documenti cartacei, dei quali 3 già digitalizzati, non solo di Eni, anche di Agip e delle società partecipate e controllate, c’è la sezione degli audiovisivi (con oltre 5mila filmati, tra cui documentari diretti da registi come Bernardo Bertolucci, i fratelli Paolo e Vittorio Taviani e Gillo Pontecorvo) e c’è quella dei disegni tecnici (con i progetti di oleodotti, navi, piattaforme, ma anche palazzi per uffici, stazioni di servizio, motel, case per i dipendenti, chiese e villaggi per le vacanze).

Fa parte dell’archivio anche la raccolta completa delle due riviste aziendali del gruppo. “Il Gatto Selvatico” (1955-1965) fu diretta dal poeta Attilio Bertolucci e ospitò importanti scrittori del Novecento italiano, come Leonardo Sciascia, Natalia Ginzburg e Carlo Emilio Gadda. L’altra rivista fu “Ecos” (1972-2002), che ebbe fra i suoi collaboratori anche Primo Levi. C’è poi una sezione dedicata alle fonti orali con circa 200 interviste, tra videoregistrazioni e trascrizioni, alle persone che hanno lavorato nei decenni, ai diversi livelli, nella compagnia petrolifera. Particolarmente ricca è anche la sezione delle immagini: più di 500mila scatti, quasi completamente digitalizzati, fra cui quelli di grandi fotografi (come Bruno Stefani, Sam Waagenaar, Federico Patellani e Mimmo Jodice) e di importanti agenzie.

Proprio attingendo a questi ultimi materiali Eni nel 2021 ha realizzato un libro fotografico, Noi Eni, che ripercorre la storia dell’azienda petrolifera e della sua diffusione nel mondo. Una delle sezioni del volume che mostrano come Eni sia cambiata nel corso dei decenni, e come questo percorso sia andato di pari passo con le trasformazioni della stessa società italiana, è quella dedicata alle stazioni di servizio. Per Lucia Nardi, responsabile dell’ufficio Cultura d’Impresa di Eni, la nascita delle stazioni di servizio rappresenta un esempio della lungimiranza di Enrico Mattei.

 

Dopo la Seconda guerra mondiale, Mattei fu nominato commissario dell’Agenzia generale italiana petroli (Agip). L’ordine che il commissario Mattei aveva ricevuto era quella di liquidare l’Agip. Mattei non lo fece: lottando contro la dirigenza politica del tempo, mantenne aperta l’Agip, che pochi anni dopo scoprì giacimenti di metano nella zona di Lodi, in Lombardia. L’Agip divenne in poco tempo una potenza economica, e nel 1953 nacque l’Ente nazionale idrocarburi (Eni), una nuova azienda pubblica guidata da Mattei in cui l’Agip fu inglobata.

Già nel 1952, dopo diversi viaggi negli Stati Uniti, Mattei aveva iniziato a commissionare all’architetto Mario Bacciocchi la realizzazione di grandi e piccole stazioni di servizio. Queste strutture, le cosiddette “bacciocchine”, sono riconoscibili ancora oggi dalle pensiline “a T” in cemento armato senza colonnine d’appoggio, che sovrastano l’area dedicata al rifornimento.

Progetto delle nuove stazioni di servizio Agip di Mario Bacciocchi, 1954 (Archivio storico Eni)

L’innovazione non era solo architettonica. Si trattava di creare punti di sosta per il rifornimento del carburante che erogassero anche altri servizi: motel, zone ristoro, servizi igienici. Il riferimento, spiega Nardi, erano le stazioni di servizio americane: legate ai grandi spazi e ai lunghi spostamenti tipici della realtà americana, andavano adattate al territorio italiano. Nel libro On the road, realizzato da Eni nel 2011 e dedicato proprio al ruolo delle stazioni di servizio nella società italiana, si spiega come in quegli anni si arrivò a realizzare tra le 200 e le 400 stazioni di servizio l’anno, rendendo la rete italiana una delle più moderne tra quelle europee.

«Nessuno aveva pensato di portare in Europa le stazioni di servizio – spiega ancora Nardi – e questo fu lo strumento con cui Mattei riuscì a conquistare quote di mercato a scapito delle grandi compagnie americane. Perché non erano solo luoghi dove fare rifornimento. C’era la stazione solo con il bar o l’officina, ma anche quella dove c’era il ristorante, il market e anche il motel. C’erano quelle fuori dai centri dove il camionista poteva fermarsi a prendere un regalo per il figlio o per la moglie, senza dover entrare in città. Quelle dove ci si poteva fermare a dormire negli spostamenti da Nord a Sud, o viceversa. Spesso diventavano luoghi di ritrovo. Mattei riuscì a intercettare il desiderio di consumo degli italiani degli anni Cinquanta».

Secondo Nardi le stazioni rappresentavano il modo in cui Mattei intendeva il servizio ai clienti per un’azienda pubblica. «Esigeva – spiega Nardi – il massimo dell’efficienza: sempre il sorriso ai clienti, il controllo dell’olio e la pulizia del parabrezza gratuita, gli spiccioli sempre pronti per dare il resto. Per Mattei i dipendenti di Eni dovevano essere orgogliosi di far parte di un’azienda che forniva energia al Paese». Proprio per motivare gli operatori, Eni aveva realizzato un cartone animato per la formazione dei benzinai, in cui si mostravano i maggiori risultati ottenuti da un servizio più attento al cliente.

Nel 1959 Eni affidò al fotoreporter Federico Patellani, già noto come fotografo della cosiddetta “Dolce vita“, la realizzazione di un racconto per immagini delle stazioni di servizio lungo tutto il paese. «Ci sono soprattutto volti, sullo sfondo delle stazioni di servizio, nelle foto di Patellani» spiega ancora Lucia Nardi. «Nei suoi scatti c’è la mamma che esce dal market con il pallone per il figlio, ma c’è anche il pranzo con il “porceddu” nel ristorante della stazione di servizio di Oristano, in Sardegna». Secondo Nardi, gli scatti di Patellani sono una sintesi dell’Italia di quegli anni, anche nei suoi contrasti: come l’immagine del contadino con l’aratro trainato dal cavallo sullo sfondo di una stazione di servizio o quella della benzinaia in divisa, in un’Italia in cui molte donne entravano nel mondo del lavoro.

Negli anni le stazioni di servizio hanno continuano a essere parte del paesaggio del nostro paese. I motel non fanno più parte dei servizi offerti, ma ne sono stati aggiunti altri, in linea con le esigenze contemporanee: si può pagare una bolletta, ritirare un pacco ordinato su una piattaforma di e-commerce e anche ricaricare le auto elettriche.