Anche per la Cassazione il processo sull’omicidio di Giulio Regeni non si può fare

Perché continuano a mancare gli indirizzi dei quattro agenti egiziani imputati, a cui non possono essere notificati gli atti

(Massimo Paolone/LaPresse)
(Massimo Paolone/LaPresse)
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La Corte di Cassazione ha deciso di confermare la sospensione del processo per l’omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni, ucciso al Cairo nel 2016, decisa lo scorso ottobre dalla Corte d’assise di Roma. Non si potrà quindi procedere col processo finché l’Egitto, che finora non ha collaborato con le indagini, non fornirà gli indirizzi dei quattro imputati, membri dei servizi di sicurezza egiziani accusati di aver sequestrato, torturato e assassinato Regeni, affinché possa essere notificato loro il procedimento.

La procura di Roma aveva fatto ricorso in Cassazione contro la decisione della Corte d’assise, che aveva sospeso il processo fino alla notifica degli atti agli imputati, che ovviamente non sono in Italia e presenti alle udienze. Le mancate notifiche dipendono dal fatto che l’Egitto non ha mai collaborato con la giustizia italiana, proteggendo i quattro agenti e assumendo «molteplici comportamenti tesi a ostacolare e depistare le indagini», ha scritto la procura.

Le persone per cui la procura di Roma aveva chiesto il rinvio a giudizio sono il generale Sabir Tareq, i colonnelli Usham Helmy e Ather Kamal e il maggiore Magdi Sharif, accusati di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate.

I quattro agenti erano stati rinviati a giudizio dal giudice per l’udienza preliminare (gup) nel maggio del 2021, cinque anni e mezzo dopo l’omicidio e dopo travagliatissime indagini e trattative diplomatiche tra i due paesi. Le autorità egiziane avevano detto fin da subito di non voler fornire gli indirizzi degli agenti affinché fossero notificati loro gli atti, passaggio fondamentale per l’inizio di un processo (l’imputato deve sapere che è in corso). Il gup aveva sostenuto che la notorietà del caso si sarebbe potuta considerare già di per sé una notifica, ma la Corte d’assise e poi la Cassazione hanno ritenuto diversamente.

Il processo quindi, per come stanno attualmente le cose, non si farà, a meno che l’Egitto non decida per qualche motivo di cambiare radicalmente posizione iniziando a collaborare con la giustizia italiana. Un’alternativa citata da Repubblica è che venga approvata una sorta di modifica ad hoc alla legislazione per consentire, in casi eccezionali come questo in cui si può presumere che gli imputati ne siano al corrente, di procedere col processo anche senza notificare loro gli atti.