Il celebre discorso di Bettino Craxi sul finanziamento ai partiti, 30 anni fa

Nel pieno di Tangentopoli ammise che la corruzione era diffusa in tutto il sistema politico, e sfidò gli altri deputati a smentirlo

Bettino Craxi (LaPresse Torino/Vincenzo Coraggio)
Bettino Craxi (LaPresse Torino/Vincenzo Coraggio)
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Il 3 luglio del 1992 Bettino Craxi, ex presidente del Consiglio e segretario del Partito socialista italiano, tenne alla Camera un celebre discorso in cui definì buona parte del sistema di finanziamento dei partiti politici «irregolare o illegale», sfidando gli altri deputati a smentirlo. In quel periodo era in corso lo scandalo di Tangentopoli, cioè l’insieme di inchieste giudiziarie che riguardarono l’esteso sistema di corruzione e concussione che coinvolgeva quasi tutti i principali partiti italiani e un pezzo dell’imprenditoria nazionale.

Craxi, uno dei più importanti politici di quei decenni, era stato coinvolto dalle inchieste, e come strategia di difesa aveva deciso di descrivere il fenomeno della corruzione politica come ampiamente diffuso e usato da tutti i partiti: la sua speranza era che il fenomeno sarebbe stato giudicato e trattato come un problema politico generale, e non come un problema giudiziario da risolvere con i processi. Sperava inoltre di dimostrare, in questo modo, che se il problema era sistemico le colpe sue e del Partito socialista non erano maggiori di quelle di tutti gli altri partiti.

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Già nell’aprile del 1992 aveva tenuto un discorso in cui aveva ammesso il finanziamento illecito del Partito socialista, in cui affermò che tutti i partiti avevano fatto la stessa cosa ma negando ogni accusa di arricchimento personale. Il suo discorso più famoso sulla questione è però probabilmente quello del 3 luglio:

«E tuttavia, d’altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale. […] Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’aula, responsabile politico di organizzazioni importanti che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro».

In aula, nessuno si alzò.


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Con Tangentopoli ci si riferisce al biennio di inchieste giudiziarie, note con il nome di Mani Pulite, iniziate nel 1992 dalla procura di Milano. Dopo l’arresto del socialista Mario Chiesa, considerato quello che diede inizio a tutto, la procura mise insieme tre sostituti procuratori – Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo – per indagare sull’esteso e ramificato sistema di corruzione e concussione non soltanto a Milano, ma in tutta Italia. Il sistema era alimentato da un giro di tangenti che andava avanti da tempo e che finanziava i partiti politici, in cambio di appalti e accordi commerciali per le imprese che le versavano.

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Quella su Tangentopoli fu la più grande indagine giudiziaria sulla corruzione mai svolta in Italia, che sconvolse l’intero sistema politico italiano.

La strategia di Craxi non funzionò: tra la fine del 1992 e il 1993 ricevette vari avvisi di garanzia, e nel maggio del 1994 fuggì in Tunisia, dove morì da latitante nel 2000, a seguito delle condanne definitive del 1996 e del 1999.

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