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  • Venerdì 13 maggio 2022

Tra i nazisti dei film italiani del Dopoguerra c’erano vere SS

Un libro di Mario Tedeschini Lalli racconta di due uomini che spararono alle Fosse Ardeatine e furono poi comparse a Cinecittà

Una scena di "Una vita difficile" (1961) di Dino Risi: a sinistra Alberto Sordi, a destra Borante Domizlaff, ex ufficiale delle SS
Una scena di "Una vita difficile" (1961) di Dino Risi: a sinistra Alberto Sordi, a destra Borante Domizlaff, ex ufficiale delle SS

Nel 2017, un po’ per caso, il giornalista Mario Tedeschini Lalli scoprì che tra gli attori citati nei titoli di testa di Una vita difficile di Dino Risi, film del 1961 con Alberto Sordi nel ruolo del protagonista, compariva il nome di Borante Domizlaff, ex ufficiale tedesco e membro delle SS che il 24 marzo 1944 prese parte alla strage delle Fosse Ardeatine. Indagando tra cineteche e altri archivi, Tedeschini Lalli ha ricostruito le storie di Domizlaff e di altri due ufficiali nazisti che nel Dopoguerra lavorarono come comparse e consulenti per vari film di guerra, e le ha raccontate in Nazisti a Cinecittà, da poco pubblicato dalla casa editrice Nutrimenti.

Pubblichiamo un estratto del libro dedicato a uno dei film in cui compare Karl Hass. Come Domizlaff, Hass sparò alle Fosse Ardeatine: dopo la fine della Seconda guerra mondiale continuò a vivere in Italia lavorando come informatore del Counter Intelligence Corps (Cic), un servizio segreto militare americano, e lavorò su vari set – tra cui quello di La caduta degli dei di Luchino Visconti. Solo negli anni Novanta fu processato per la strage.

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Il primo film di Karl Hass attore è una storia di guerra dove i tedeschi fanno una bella figura. Non tutti, naturalmente, ma il protagonista è un ‘tedesco buono’, niente meno che il capo del controspionaggio militare ad Amsterdam, che cadrà a sua volta vittima dei ‘tedeschi cattivi’. Fu diretto da Duilio Coletti, abile regista di genere che si era andato specializzando in pellicole di guerra con il tema comune dell’onore militare e dei sentimenti di umanità che trascendono bandiere e divisioni politiche.

Un tema che in qualche modo faceva da contrappunto ai film sulla guerra prodotti e distribuiti a piene mani da americani e britannici, ma che si sposava anche bene con il clima politico del momento. La guerra fredda aveva cambiato ormai da tempo prospettive ed alleanze, ex nemici come l’Italia o la Germania e le loro forze armate erano diventati importanti per l’Occidente nel confronto con i paesi comunisti e gli alti ufficiali italiani e tedeschi della metà degli anni Cinquanta non è che avessero passato gli anni di guerra cogliendo le margherite. L’Italia era entrata nell’Alleanza atlantica sin dalla sua costituzione, nel 1949; la Repubblica Federale Tedesca (allora ancora limitata alla sua parte occidentale) vi entrerà nel maggio 1955. Solo sei mesi dopo, a novembre, iniziano le riprese di Londra chiama Polo Nord, negli studi Titanus della Farnesina.

Il soggetto è molto, ma molto liberamente tratto da una storia vera – per quanto vera possa essere una storia di spionaggio raccontata da una spia. La spia in questione si chiamava Herman J. Giskes e dirigeva, appunto, il controspionaggio militare tedesco durante l’occupazione dell’Olanda. Dopo la guerra fece poco più di un anno di prigionia e ne approfittò per scrivere un libro che racconta il suo Englandspiel (Gioco inglese), nome in codice dell’operazione che gli aveva permesso di infiltrare la rete della Resistenza olandese, controllarne i messaggi radio e catturare decine di agenti inviati da Londra. Alla fine del 1946 era di nuovo nell’intelligence, parte della cosiddetta ‘Organizzazione Gehlen’, che lavorava per i servizi americani e che nel 1956 – proprio l’anno di uscita del film – si trasformerà nel Bundesnachrichtendienst, Bnd, il servizio segreto tedesco.

La trasposizione cinematografica di Englandspiel è largamente romanzata, c’è persino una storia sentimentale tra il protagonista e un’agente britannica. Giskes nella finzione è il colonello Bernes, interpretato dall’attore tedesco Curd Jürgens. Alto, biondo e noto per essere stato un oppositore del nazismo, Jürgens era perfetto come ‘tedesco buono’, un ruolo che aveva già interpretato (Il generale del diavolo gli era valso la Coppa Volpi al Festival di Venezia proprio quell’anno) e che continuerà a interpretare anche a Hollywood.

Nella storia, Bernes convince l’agente britannico Landers che ha fatto prigioniero a trasmettere messaggi fasulli a Londra. Landers accetta, perché Bernes gli assicura sul suo onore l’incolumità (le spie in tempo di guerra sono passibili direttamente di pena di morte) e perché evitando di inserire nei messaggi i previsti codici di controllo, spera di far capire a Londra che i messaggi non sono autentici. Segue una serie piuttosto complessa di avvenimenti: un altro agente britannico arrestato; la sua fidanzata (spia anch’essa) corre a salvarlo e, a sua volta arrestata, scopre che il capo dell’intelligence tedesca (Bernes) è una sua vecchia fiamma; uno dei capi della Resistenza tratta coi tedeschi; le SS smentiscono l’impegno d’onore di Bernes. Nel pre-finale Bernes lascia libera la giovane inglese della quale era innamorato, dicendo apertamente, quanto po- co realisticamente: “Ci sono dei momenti, quando si è di fronte alla propria coscienza, nei quali un ufficiale deve sapere distinguere quand’è che il suo dovere di uomo conta più del dovere di soldato”. E nella scena finale, mentre i tedeschi ‘cattivi’ lo portano via, la voce fuori campo lo dichiara enfaticamente: “Così finisce la nostra storia. Bernes rappresenta la parte migliore di un popolo che oggi guarda, deve guardare con orrore a quegli anni tremendi dominati dallo spirito nazista. Il suo gesto apre il nostro cuore alla speranza”.

Commenterà, senza pietà, il recensore del Corriere della Sera: “I capi della Resistenza olandese, e specie quello maggiore, sono descritti come inabili o traditori; il Servizio segreto inglese appare diretto da inetti; astuti e coraggiosi, invece, i tedeschi. L’obiettività non è il forte di questo film, realizzato con un proposito polemico di cui è chiara l’ispirazione”.

Il film esce nelle sale nella seconda metà del 1956. Nei titoli di testa Karl Hass non è nominato, ma compare di persona al minuto 11:08 con l’uniforme del capo delle SS di guardia nel convento-prigione dove sono reclusi gli agenti britannici e i resistenti olandesi. Entra nella cella dell’agente Landers e – nella versione italiana – gli intima: “Schnell, venga con me”. Riappare qualche minuto dopo per sottrarre Landers alle botte del compagno che lo accusa di tradimento. Dovrà passare tutta la drammatica e melodrammatica storia perché il ‘capo guardia’ Hass si riveda.

Succede dopo un’ora e 27 minuti di proiezione, tutti i prigionieri sono condotti fuori dalle celle per essere avviati al campo di concentramento e verso la morte, smentendo l’impegno di Bernes. Un militare ordina “Häftlinge herausbrecher, Tutti fuori dalle celle! Der Sicht zur Wand, faccia al muro!”. Poi fa l’appello e chiama l’agente che il colonnello ha deciso di liberare per amore della spia britannica. L’agente e il militare sono uno di fronte all’altro, il tedesco gli annuncia “Sei libero! Qualcuno ha pensato per te…”. L’inglese non capisce, balbetta. “Via!”, gli intima il militare. L’inquadratura è in primo piano, relativamente lunga e in questo caso è completamente evidente che si tratta di Karl Hass, che per l’occasione torna a indossare le rune al bavero e il berretto con il Totenkopf, il teschio.

“Londra chiama Polo Nord” (1956), la persona a sinistra è Karl Hass.

Dettaglio singolare: all’epoca tutti i film italiani erano regolarmente doppiati è quindi improbabile che la voce che sentiamo sia quella dell’ex maggiore delle SS, ma se si legge il labiale è chiaro che l’attore Hass recita le sue battute… in italiano.

Dunque, ricapitoliamo: un ex ufficiale tedesco delle SS recita in un film italiano la parte di una SS, le battute che nella finzione avrebbero dovuto essere in tedesco sono da lui pronunciate in italiano e dovrà perciò essere doppiato in tedesco per la distribuzione in Germania. Ma il labirinto di specchi tra finzione e realtà nel quale ci siamo infilati non è finito, si arricchisce di due ulteriori passaggi e di nuovi riflessi.

Il primo. Non solo l’ex ufficiale delle SS torna a indossare l’uniforme come costume di scena a soli dieci anni di distanza dalla fine della guerra, ma torna anche ‘sul luogo del delitto’. Spulciando con attenzione i documenti della Cia che lo riguardano, si scopre che all’inizio del conflitto, tra il 1940 e il 1941, Karl Hass aveva lavorato ad Amsterdam e a Rotterdam nel comando del Sichereitsdienst, lo SD, il servizio di intelligence delle SS. Non come carceriere, certo, ma come ufficiale incaricato di raccogliere informazioni politiche sull’Olanda occupata.

Il secondo. Il film sarà parso poca cosa al recensore tedesco citato da Der Spiegel nel 1997, per non dire di quello del Corriere della Sera del 1956, ma un tipo molto speciale di spettatori arriverà a considerarlo un capolavoro. Facendo un’oziosa ricerca con il nome di Duilio Coletti nelle vecchie carte messe online dalla Cia, scopro ciò che accadde venerdì 6 febbraio 1959, in una base di addestramento di spie americane (nome cancellato). Quel giorno “le attività settimanali sono state felicemente e con profitto interrotte” per assistere alla proiezione del film di Coletti, in italiano con sottotitoli. Il direttore della scuola della Cia ne è entusiasta, perché il film è “eccezionalmente buono” come mezzo di addestramento: “C’è sinceramente da dubitare che un qualunque numero di lezioni o altri mezzi di formazione potrebbero sottolineare con altrettanta forza l’esigenza vitale per un agente operativo di avere ‘uno sguardo indipendente’ sulle operazioni”. Il film è talmente utile che il direttore “suggerisce fortemente” ai superiori di renderlo disponibile su base permanente. Ciò che l’anonimo direttore probabilmente non sapeva è che nel film recitava per così dire un collega, una ex spia tedesca, poi passata a spiare per gli americani di un altro servizio e sulla quale colleghi di altri uffici della Cia stavano raccogliendo un fascicolo di centinaia di pagine.

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