Contribuire alla ricerca sul cancro, scaricando un’app

Si chiama DreamLab: è un esempio di “scienza partecipata”, basata sulla libera collaborazione dei cittadini, ma anche dello stretto rapporto tra medicina e tecnologia

(AIRC/Giulio Lapone)
(AIRC/Giulio Lapone)
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Nel 1972, cinquant’anni fa, fu messa in commercio la prima macchina che eseguiva la tomografia computerizzata (TC), una tecnica diagnostica che oggi consente di creare immagini tridimensionali di parti anatomiche grazie ai raggi X. È l’esame radiologico che si sente spesso chiamare anche “TAC”, il cui primo prototipo era già stato usato l’anno precedente, nel 1971, per individuare un tumore nel cervello di una donna di 41 anni.

Da allora si sono potute studiare numerose altre patologie e tumori, e la tomografia computerizzata è considerata dalla comunità scientifica una delle più grandi invenzioni nella storia della medicina, tra quelle che hanno cambiato in modo più evidente la diagnostica. Prima di questa invenzione, per esempio, lo studio delle lesioni cerebrali era possibile solo con un’autopsia o con interventi sui pazienti (in vivo) molto pericolosi e assai meno precisi.

La tomografia computerizzata è una delle dimostrazioni più lampanti di come l’innovazione tecnologica alimenti continuamente l’avanzamento della ricerca scientifica e medica, e di come spesso vadano di pari passo: più un computer è veloce e preciso nell’elaborazione dei dati, più velocemente sarà possibile arrivare a diagnosi, formulare nuove ipotesi, fare nuove scoperte.

Negli ultimi anni, per esempio, si sta cercando di capire quale sia il modo migliore per usare gli strumenti dell’intelligenza artificiale nella diagnosi dei tumori, tra i molti ambiti di applicazione possibili. L’obiettivo finale dell’intelligenza artificiale è realizzare software in grado di raggiungere obiettivi e risolvere problemi come farebbe un essere umano, utilizzando però algoritmi e computer addestrati in vario modo, per esempio con attività per imparare da successi ed errori.

Un esempio concreto è questo studio: un gruppo di ricercatori ha utilizzato 42mila immagini acquisite tramite TAC del torace per insegnare a un algoritmo a riconoscere i tumori in certe lesioni polmonari. Ne hanno ottenuto un sistema che permette di perfezionare le diagnosi su quei tipi di tumore, riducendo dell’11 per cento le possibilità di falsi positivi e del 5 per cento quelle di falsi negativi, e hanno poi scoperto che la stessa tecnologia può essere sfruttata per la valutazione di immagini in cerca di tumori cerebrali e della pelle.

Come ha però sottolineato anche AIRC, la fondazione per la ricerca sul cancro – che è tra le molte organizzazioni assai interessate agli sviluppi dell’intelligenza artificiale in medicina –, gli algoritmi non sono infallibili e non tolgono importanza allo sguardo critico di un esperto umano: il radiologo resta fondamentale per interpretare e accompagnare il lavoro stesso dell’intelligenza artificiale nella diagnosi, e questa fornisce al medico assistenza (nella sola fase di screening, per ora) più che sostituirlo.

Le molte applicazioni possibili della tecnologia in ambito oncologico spiegano perché chi finanzia la ricerca sul cancro investa molto in tecnologie all’avanguardia. Lo fa da tempo anche AIRC, che su questo argomento da alcuni mesi sta portando avanti un progetto chiamato “L’esploratore delle cellule tumorali”, in collaborazione con la Fondazione Vodafone Italia. È un progetto di ricerca che prevede l’elaborazione tramite computer di una quantità enorme di dati raccolti sulle cellule tumorali: qualsiasi persona può aiutare a velocizzare tale processo scaricando un’applicazione per smartphone, DreamLab. È uno dei tanti progetti sulla ricerca di cure contro il cancro finanziati da AIRC (che si può sostenere con una donazione libera a questo link).

– Leggi anche: Senza ricerca di base non c’è ricerca

In anni di ricerca sulle cellule tumorali si è compreso che queste non sono tutte uguali: la loro funzione cambia a seconda di dove si trovano e di come interagiscono con le cellule degli altri tessuti che hanno intorno. Insieme formano quello che in oncologia viene chiamato “ecosistema tumorale”: cioè tutte le molecole, cellule, tessuti e strutture che compongono il tumore e ciò che lo circonda.

L’ecosistema tumorale ha regole di funzionamento molto particolari e assai difficili da indagare, ma conoscerle è fondamentale per sviluppare nuove e più efficaci terapie. L’obiettivo dell’“Esploratore delle cellule tumorali” è proprio questo: identificare i vari tipi di cellule che compongono l’ecosistema e capire come funzionano. Per farlo sono necessarie tecniche molto sofisticate che esaminano il materiale biologico di diversi tipi di cancro.

Per prima cosa devono essere isolate le diverse tipologie di cellule tumorali, poi ciascuna di queste viene analizzata in vari processi. Semplificando molto, questi studiano di volta in volta le sequenze genetiche di una cellula tumorale, in particolare il suo RNA messaggero – cioè la molecola che si occupa di codificare e portare nelle cellule le istruzioni contenute nel DNA per la produzione di proteine –, e in tal modo definiscono la natura e la funzione delle diverse cellule.

È un’operazione molto ambiziosa, perché le cellule da studiare sono centinaia di migliaia, dalle quali deriva una gigantesca quantità di dati che devono essere analizzati per trarne informazioni utili.

Le attività per “L’esploratore delle cellule tumorali” si svolgono presso IFOM, l’istituto di oncologia molecolare della Fondazione AIRC, coordinate dal professor Massimiliano Pagani, che è il responsabile del laboratorio di oncologia molecolare e immunologia dell’istituto. IFOM è un centro di ricerca con un’infrastruttura tecnologica all’avanguardia, ma per analizzare in tempi rapidi i dati derivanti dal progetto di ricerca di Pagani è utile un aiuto esterno.

Questo aiuto esterno è dato in modo consistente dall’applicazione per smartphone DreamLab, attraverso la quale chiunque può contribuire alla ricerca sul cancro, semplicemente scaricandola (si può fare da questa pagina). Il funzionamento è semplice: i telefoni che scaricano l’app, nelle ore in cui sono in stand-by e sotto carica (quindi tendenzialmente quelle notturne), “prestano” la propria potenza di calcolo all’“Esploratore delle cellule tumorali”. Non è dispendioso per il telefono in termini di dati e si può anche impostare un limite di consumo.

In sostanza gli enormi calcoli, che normalmente deve svolgere un solo server, vengono distribuiti fra tutti i telefoni delle persone che hanno l’app. L’impatto è importante: se soltanto mille utenti la attivano per 6 ore a notte, il tempo di 600 giorni previsto per completare la prima fase del progetto si riduce di circa 30 volte (quindi bastano 20 giorni).

DreamLab è un esempio particolare di quella che in inglese viene chiamata citizen science, in italiano “scienza partecipata”: un nome con cui si indica genericamente la scienza delle ricerche basate sulla collaborazione di tantissime persone, che partecipano a raccolte dati senza fare gli scienziati di lavoro e senza ricevere nulla in cambio.

Con la pandemia è molto cresciuta la collaborazione a programmi di scienza partecipata, soprattutto nel primo periodo dell’emergenza sanitaria, che da un lato ha reso più complicate le attività sul campo per i ricercatori, dall’altro ha dato più tempo libero a persone volenterose.

L’app DreamLab in realtà esiste dal 2017 ed era già stata impiegata in altri progetti di scienza partecipata nel mondo, sempre sfruttando la potenza di calcolo degli smartphone. Finora è stata scaricata in più di 2 milioni e 800mila telefoni. Oltre 15mila persone ogni notte attivano l’app per contribuire alla ricerca sul cancro di AIRC.

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