Gli NFT sono già in crisi?

Il mercato è crollato per utenti e volume d'affari e l'entusiasmo è sceso, e le cose vanno male anche nel settore delle criptovalute

di Pietro Minto

Un fast food aperto a Los Angeles in collaborazione con la linea di NFT Bored Yacht Club. (Mario Tama/Getty Images)
Un fast food aperto a Los Angeles in collaborazione con la linea di NFT Bored Yacht Club. (Mario Tama/Getty Images)
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La maggior parte delle persone è venuta a conoscenza degli NFT dopo il marzo del 2021, quando l’artista digitale Mike Winkelmann – noto come Beeple – vendette una sua opera in un’asta da Christie’s per l’equivalente di 69 milioni di dollari in Ether, una criptovaluta. Ad aggiudicarsi il lavoro, intitolato “Everydays: The First 5000 Days”, fu il programmatore e collezionista d’arte digitale Vignesh Sundaresan.

Da allora gli NFT hanno attirato sempre più attenzioni, diventando uno dei beni più importanti del settore crypto, termine con cui si indica tutto ciò che ha a che fare con la blockchain e le sue applicazioni. La sigla NFT sta per Non-Fungible Token (in italiano si può tradurre con «gettone non riproducibile») e indica un certificato di autenticità digitale: sono insomma delle etichette che, attraverso la blockchain, attestano l’originalità e l’unicità di un contenuto. Nel caso di Beeple e della maggior parte degli NFT, di un’opera d’arte visuale.

Dopo un anno di forte crescita, il settore aveva raggiunto un picco lo scorso settembre, quando aveva registrato circa 225mila vendite in un solo giorno. Da allora le cose sono cambiate, come ha rilevato un articolo del Wall Street Journal molto citato e commentato in questi giorni nel settore: nell’ultima settimana di aprile il numero di scambi quotidiani è sceso a circa 19 mila, un calo del 92%. Anche il numero di wallet – i portafogli digitali per le criptovalute – attivi nel mercato è sceso dell’88%, dai 119 mila dello scorso novembre ai 14 mila d’inizio maggio.

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Il drastico calo delle attività sembra accompagnarsi a un generale declino dell’attenzione e dell’entusiasmo nei confronti del settore. Nel marzo del 2021 Sina Estavi, un imprenditore attivo nel campo, si era aggiudicato l’NFT legato al primo tweet della storia (pubblicato il 21 maggio 2006 dal cofondatore del social network, Jack Dorsey) per 2,9 milioni di dollari. Lo scorso aprile, poco più di un anno dopo l’acquisto, Estavi l’ha rimesso in vendita su OpenSea, la principale piattaforma per il commercio di NFT, chiedendo inizialmente 48 milioni di dollari. Al momento, l’offerta più alta che ha ricevuto è stata di 24 mila dollari.

Le cose non vanno meglio su Coinbase, un servizio per lo scambio di criptovalute che ha inaugurato questo mese Coinbase NFT, una sezione dedicata a questi token. Nel suo primo giorno, il servizio ha avuto meno di 150 registrazioni, secondo i dati della società d’analisi Dune. A circa una settimana dal lancio, solo 1.236 l’hanno usata per comprare un NFT.

Alla base di questa crisi ci sono molti fattori. Tra tutti, la crescita esponenziale registrata dal settore nel corso del 2021 e all’inizio del 2022, un andamento difficilmente sostenibile in eterno. Anche perché, nonostante l’ascesa, il settore non è riuscito ad ampliarsi quanto era necessario nel numero di utenti. Secondo Chainalysis, una società d’analisi che si occupa di criptovalute, i 9,2 milioni di NFT venduti fino allo scorso aprile sono stati comprati da circa 1,8 milioni di persone. Circa cinque NFT per ogni acquirente.

Scimmie e metaversi
L’accentramento caratteristico di questo settore si riflette anche nello strapotere accumulato da aziende come Yuga Labs, creatrice della fortunata linea di NFT Bored Ape Yacht Club, che lo scorso marzo aveva acquisito altre due linee di enorme successo, CryptoPunks e Meebits. Negli stessi giorni, la società aveva annunciato di aver ricevuto 450 milioni di dollari di investimenti per costruire «un metaverso per NFT», un videogioco che si dovrebbe chiamare Otherside. Sempre a marzo, l’azienda aveva presentato ApeCoin, una criptovaluta da utilizzare per comprare beni e servizi in questo mondo digitale.

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Al momento della presentazione di ApeCoin, il giornalista Casey Newton ha sottolineato come la valuta – e la corrispettiva DAO, un tipo di organizzazione a cui si ha accesso acquistando dei token – permetta a Yuga Labs di controllare il prodotto e mantenerne parte dei profitti, senza vedersela con gli altri investitori. Secondo Newton, l’azienda «può parlare delle virtù della decentralizzazione […] mentre gode dei benefici della centralizzazione».

Lo scorso 30 aprile Yuga Labs ha messo in vendita i primi beni per il suo metaverso Otherside, generando un’altissima domanda, nonostante il periodo di calo generale, che ha finito per portare in luce un difetto strutturale della blockchain. Ogni transizione che avviene su Ethereum, la blockchain usata da Yuga Labs, prevede infatti il pagamento di una spesa aggiuntiva, chiamata «gas fee», con cui tutti gli utenti ripagano i miner, quelli i cui computer lavorano per convalidare le transazioni. Questa commissione non è fissa ma aumenta in rapporto al traffico registrato nel network: a causa del grande interesse da Otherside, questa spesa aggiuntiva si è moltiplicata. Un utente, per esempio, è arrivato a sborsare 45 mila dollari di gas fee per coprire l’acquisto di un NFT costato poco più di cinquemila.

Quanto a Ethereum, non ha retto il traffico causato da questi 55 mila NFT, andando in sovraccarico e creando molti disagi. In quelle stesse ore, approfittando del caos legato all’evento, molti utenti sono stati vittime di furti e tentativi di phishing da parte di bot che hanno svuotato i loro portafogli. Un fenomeno sempre più comune nel mondo delle criptovalute: nel solo 2021 questo genere di truffe ha fruttato 14 miliardi di dollari.

Pochi giorni dopo il confuso lancio della serie legata al metaverso Otherside, il calo che ha interessato gli NFT ha travolto anche Bitcoin, la principale criptovaluta al mondo, che oggi ha perso il 54% del suo valore rispetto il picco dello scorso novembre (scendendo sotto la soglia psicologica dei trentamila dollari). Anche Ethereum ha avuto perdite simili.

Le criptovalute che hanno perso più valore, minando alle fondamenta l’intera economia crypto, sono però i cosiddetti stablecoin, traducibile con «valuta stabile», criptovalute pensate per mantenere un valore fisso – di solito un dollaro – per prevenire le oscillazioni tipiche di questo mercato speculatorio. Alcune di queste, come USDC e Tether (da non confondersi con Ether), mantengono questa stabilità accumulando liquidità e asset con cui «coprire» gli stablecoin in circolazione.

Esistono anche stablecoin “algoritmici”, come Terra, che non hanno questo tipo di riserve «ma mantengono il loro valore basandosi su un algoritmo che crea automaticamente un equilibrio tra lo stablecoin e una valuta partner». Questo legame è detto peg (gancio) e si basa sulla creazione e vendita costante di token: nel caso di Terra, la valuta di riferimento era Luna. Si tratta di sistemi la cui stabilità, secondo molti critici, esiste solo nel nome, e anzi incentiva l’emissione continua di nuove unità di criptovaluta, senza alcuna copertura.

Nel corso di questa settimana, Terra, USDC e Tether hanno tutti perso il loro aggancio alla valuta di riferimento, creando enormi perdite e portando con sé anche Bitcoin – sceso di valore a 24mila dollari – su cui Terra aveva investito molte risorse, in un circolo vizioso che ha fatto perdere 800 milioni di dollari (stima aggiornata all’11 maggio) al mercato delle criptovalute e che ad Alex Hern del Guardian ha ricordato la catena di eventi che portò alla caduta della banca d’affari Lehman Brothers, simbolo della crisi finanziaria del 2008.

Fino a qualche settimana fa, la crisi degli NFT veniva imputata dai loro sostenitori all’inflazione o altri fattori contingenti. I fatti degli ultimi giorni indicano invece cause strutturali dell’intero settore delle criptovalute, e alcuni analisti ipotizzano che il crollo degli NFT possa essere solo una prima avvisaglia.