La Corte Costituzionale ha dato altri sei mesi di tempo al parlamento per modificare la legge sull’ergastolo ostativo

La sede della Corte Costituzionale, a Roma (ANSA/ETTORE FERRARI)
La sede della Corte Costituzionale, a Roma (ANSA/ETTORE FERRARI)

Martedì 10 maggio la Corte Costituzionale ha deciso di dare altri sei mesi di tempo al parlamento italiano per approvare una legge che modifichi l’ordinamento penitenziario in merito all’ergastolo ostativo, una pena di cui un anno fa la Corte aveva stabilito l’incostituzionalità. L’ergastolo ostativo è una pena senza fine che “osta” a qualsiasi sua modificazione e che non può essere né abbreviata né convertita in pene alternative, a meno che la persona detenuta decida di collaborare con la giustizia.

La Corte aveva dato al parlamento un anno di tempo per approvare una nuova legge: se alla scadenza, l’11 maggio, non fosse stata approvata alcuna legge, la norma che prevede l’ergastolo ostativo sarebbe stata abolita perché «in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione». Il 10 maggio la Corte ha però deciso di concedere una proroga al parlamento, considerando che nel frattempo un progetto di legge per modificare l’ergastolo ostativo è stato approvato dalla Camera (deve essere ancora discusso dal Senato). Ora il termine per approvare la legge è stato fissato all’8 novembre.

L’ergastolo ostativo – introdotto nell’ordinamento penitenziario italiano all’inizio degli anni Novanta, dopo le stragi nelle quali furono uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – è regolato dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario e stabilisce che le persone condannate per alcuni reati di particolare gravità, come mafia o terrorismo, non possano essere ammesse ai cosiddetti “benefici penitenziari” né alle misure alternative alla detenzione. Per queste persone è escluso l’accesso alla liberazione condizionale, al lavoro all’esterno, ai permessi-premio e alla semilibertà.

La pena dell’ergastolo ostativo coincide dunque, per la sua durata, con l’intera vita del condannato: è quella per cui si usa spesso l’espressione “fine pena mai”.

Il progetto di legge approvato a fine marzo dalla Camera prevede che si potranno concedere forme di “benefici” penitenziari a tutti quei detenuti che, anche senza aver collaborato con la giustizia, dimostrino di aver tenuto una corretta condotta carceraria e partecipato a un percorso rieducativo. Ne continueranno a essere esclusi i detenuti in regime di 41-bis, ovvero il “carcere duro” per i delitti più gravi come mafia e terrorismo.