La peste suina africana continua a diffondersi in Italia

C'è un caso tra i cinghiali di Roma, dopo che a gennaio il virus era stato trovato tra Piemonte e Liguria

Un cinghiale a Roma (LaPresse - Daniele Leone)
Un cinghiale a Roma (LaPresse - Daniele Leone)
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È stato individuato a Roma un caso di peste suina africana, una malattia molto letale per maiali e cinghiali. Lo ha confermato giovedì Angelo Ferrari, direttore dell’Istituto zooprofilattico di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, che a marzo il governo aveva nominato commissario straordinario alla peste suina africana. Il caso di Roma riguarda un cinghiale dell’Insugherata, una riserva naturale che si trova nel nord-ovest della capitale, vicino alle zone di Monte Mario, Balduina e Primavalle, che ora potrebbe essere isolata per cercare di contenere la diffusione del virus ed evitare che raggiunga allevamenti di maiali.

La peste suina africana è causata dal virus indicato con la sigla ASFV, un patogeno particolarmente resistente: sopravvive in ambiente esterno fino a 100 giorni, resiste per diversi mesi all’interno di salumi o nella carne congelata, negli animali guariti dalla malattia. Le persone possono contribuire a diffonderlo (soprattutto negli allevamenti, dato che il contagio può avvenire per contatto con qualsiasi oggetto contaminato, abbigliamento compreso), anche se il virus non le fa ammalare: in gergo tecnico si dice che sono un “veicolo di trasmissione”.

Nel 90 per cento dei casi gli animali contagiati muoiono nel giro di dieci giorni a causa di emorragie interne. Negli allevamenti di maiali colpiti dalla peste la soluzione più efficace è l’abbattimento degli esemplari contagiati per limitare la diffusione del virus: non esistono né vaccini né farmaci per curare la malattia.

Originaria del Kenya, la peste suina africana è endemica nell’Africa sub-sahariana ma negli ultimi quindici anni in Europa si è diffuso un nuovo ceppo. Fu rilevato per la prima volta nel 2007, quando si svilupparono dei focolai in Georgia, Armenia, Azerbaigian, Russia, Ucraina e Bielorussia.

Da questi paesi l’epidemia è arrivata nell’Unione Europea: i primi casi furono segnalati nel 2014 in Lituania, Polonia, Lettonia ed Estonia, ma il virus si diffuse poi anche in Belgio e Germania. Lo scorso gennaio era stato individuato nel Nord Italia, tra Piemonte e Liguria. In Italia era arrivato per la prima volta nel 1967, secondo il ministero della Salute, e da allora era sempre stato presente in Sardegna, ma non nella variante del nuovo ceppo (peraltro sull’isola la circolazione della malattia è da tempo in diminuzione e il piano locale di eradicazione del virus sta funzionando).

I primi casi italiani di quest’anno erano stati riscontrati analizzando alcune carcasse di cinghiali trovati morti in provincia di Alessandria e in provincia di Genova, che probabilmente facevano parte della stessa popolazione che vive nelle zone appenniniche tra Piemonte e Liguria.

Per scongiurare la diffusione del virus, a gennaio il ministero della Salute e quello delle Politiche agricole avevano vietato la caccia (salvo quella diretta al contenimento della popolazione di cinghiali), la raccolta di funghi e tartufi, la pesca, il trekking, il mountain biking e altre attività che avrebbero potuto causare contatti con animali infetti in una zona di 114 comuni piemontesi e liguri. Da allora i casi trovati sono stati più di un centinaio.

A marzo un’ordinanza del commissario straordinario Ferrari aveva introdotto una serie di misure per limitare gli spostamenti dei cinghiali che vivono nella prima zona in cui era stato trovato il virus, tra cui un «rafforzamento delle barriere fisiche» a
ridosso delle autostrade A26 e A7, la ricerca attiva di animali contagiati, controlli rigorosi negli allevamenti e l’introduzione di «misure necessarie a scoraggiare l’urbanizzazione dei suini selvatici, impedendo l’accesso alle fonti di cibo, sia rifiuti sia alimenti somministrati da parte dei cittadini».

La diffusione della peste suina africana preoccupa soprattutto gli allevatori, non solo per gli effetti di un eventuale contagio tra i maiali cresciuti per la produzione di carne.

La semplice presenza della malattia in un territorio porta alla sospensione di tutte le esportazioni di carne verso i paesi che non fanno parte dell’Unione Europea e la sospensione delle esportazioni di carne di maiale prodotta nelle aree di contagio verso i paesi dell’Unione Europea. Finora comunque non è stato rilevato nessun caso tra i maiali in Italia.

Nel 2021 l’esportazione di salumi italiani ha prodotto un fatturato complessivo di 1,8 miliardi di euro.

– Leggi anche: Che ci fanno i cinghiali a Roma