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  • Giovedì 5 maggio 2022

Perché Kirill I sostiene l’invasione di Putin

Il patriarca di Mosca è uno dei più stretti alleati del regime russo: per capire come siamo arrivati fin qui bisogna partire dai tempi degli zar

Vladimir Putin e il Patriarca Kirill I, di spalle, nel 2019 (AP Photo/Alexander Zemlianichenko, File)
Vladimir Putin e il Patriarca Kirill I, di spalle, nel 2019 (AP Photo/Alexander Zemlianichenko, File)
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Secondo varie indiscrezioni, nell’elenco delle persone sottoposte a sanzioni proposto questa settimana dalla Commissione Europea c’è anche il Patriarca di Mosca Kirill I, il leader della Chiesa ortodossa russa. La bozza non è ancora ufficiale e potrebbe cambiare, ma il fatto che il nome di Kirill sia stato citato è un’indicazione notevole. Kirill è uno stretto alleato del presidente russo Vladimir Putin e negli ultimi mesi ha sostenuto e legittimato l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, presentandola in vari discorsi e sermoni come una lotta «metafisica» tra la «santa Russia» e la depravazione dell’Occidente.

Sanzionare un leader religioso – e uno di primaria importanza nel mondo cristiano come Kirill – sarebbe una decisione piuttosto inusuale. Dall’inizio della guerra, tuttavia, vari analisti e personalità politiche hanno chiesto che Kirill fosse sanzionato, a causa del suo sostegno all’invasione, che di fatto ha dato all’operazione militare un ulteriore livello di legittimità in Russia: nel paese la Chiesa ha una notevole influenza sociale e politica, e la stragrande maggioranza della popolazione si dichiara ortodossa, anche se soltanto una frazione è devota e partecipa attivamente alla vita ecclesiastica.

Il sostegno di Kirill all’invasione russa dell’Ucraina è stato esplicito e molto forte in questi mesi. Benché abbia sostenuto di pregare per «la pace» in Ucraina, il Patriarca ha in realtà adottato e amplificato il punto di vista del regime russo, ne ha difeso le scelte e sostenuto varie teorie del complotto contro l’Ucraina e l’Occidente.

Poco dopo l’inizio dell’invasione, definì chi si opponeva alla Russia come «forze del male» che vogliono dividere l’unità della Russia e della Chiesa russa, dicendo esplicitamente che con “Russia” lui intendeva anche Ucraina e Bielorussia.

Kirill I nel 2018 (AP Photo/Alexander Zemlianichenko)

Nel suo sermone più noto sulla questione, tenuto il 6 marzo, Kirill disse che la guerra in Ucraina è una battaglia «di portata metafisica» contro i valori degenerati e immorali rappresentati dall’Occidente: «Stiamo parlando di qualcosa di molto differente e più importante della politica, stiamo parlando della salvezza dell’umanità».

Per Kirill, la guerra in Ucraina è una lotta contro un «ordine mondiale» di «consumo eccessivo» e «false libertà», e in cui le parate del Gay Pride sono «un peccato contrario alla legge di Dio» che viene «imposto con la forza». Kirill è molto noto per aver accentuato le posizioni oscurantiste e omofobe della Chiesa ortodossa, in concordanza con le politiche del regime russo di Putin.

Sempre a marzo, in una lettera al Consiglio ecumenico delle Chiese, Kirill aveva scritto che «questo tragico conflitto è diventato parte della strategia geopolitica su larga scala volta, in primo luogo, a indebolire la Russia».

In altre occasioni ha benedetto le forze armate russe e ha sostenuto il falso storico promulgato dal regime secondo cui russi e ucraini sarebbero un solo popolo, che deve essere riunito sotto l’egemonia della Russia: «Qualcuno deve difendere la verità divina secondo la quale siamo un solo popolo», ha detto.

Il sostegno di Kirill all’invasione russa ha provocato enormi divisioni nella Chiesa ortodossa. Anzitutto in Ucraina, dove già adesso ci sono due Chiese, una fedele al Patriarcato di Mosca e una autonoma, anche se entrambe hanno condannato l’invasione. Ci sono state critiche e proteste contro Kirill in vari altri paesi del mondo, spesso espresse da parrocchie che dipendono dal Patriarcato di Mosca: ad Amsterdam, per esempio, nella parrocchia ortodossa di San Nicola si è smesso di ricordare il nome di Kirill durante la messa.

Perfino Papa Francesco ha criticato Kirill, dicendo in un’intervista al Corriere della Sera che «il Patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin».

(AP Photo)

La Chiesa ortodossa russa ha una storia antica di vicinanza e, in alcuni casi, di sottomissione al potere politico.

Nel periodo dell’impero zarista la Chiesa era controllata dallo zar, che nominava i vescovi e pagava uno stipendio di stato ai preti, spesso provocando rapporti conflittuali con le gerarchie ecclesiastiche. La religione divenne un caposaldo del regime zarista: il motto dello zar Nicola I, che governò la Russia a metà dell’Ottocento e fu uno dei sovrani più autoritari e anti-liberali del suo tempo, era «Ortodossia, Autocrazia e Nazionalità».

Dopo la rivoluzione bolscevica la Chiesa russa fu duramente repressa, e decine di migliaia di preti furono arrestati e uccisi, mentre le chiese furono trasformate in edifici civili, come prigioni, o chiuse.

A partire dagli anni Venti del Novecento, tuttavia, il regime decise di approfittare dell’autorità morale che la Chiesa ancora manteneva in Russia e nei territori sovietici: a seguito di grosse pressioni, nel 1927 il vescovo metropolita Sergio (che poi sarebbe diventato Patriarca) dichiarò fedeltà all’Unione Sovietica. Da quel momento, la campagna di terrore contro il clero e i fedeli cominciò a rallentare. L’Unione Sovietica rimase ufficialmente atea e la religione era repressa, ma il regime concesse alla Chiesa alcuni limitati spazi.

Questo significava però sottostare al controllo del potere politico: per decenni, la Chiesa fu di fatto manipolata dal regime sovietico, anche se non mancarono atti di ribellione e opposizione. In quel tempo, per fare carriera ecclesiastica era necessario mostrarsi fedeli al regime, e molte delle più alte cariche della Chiesa erano agenti attivi del KGB, i servizi segreti di cui Putin era un ufficiale di medio livello. Secondo varie ricostruzioni anche Kirill era un membro del KGB: il suo nome in codice sarebbe stato “Mikhailov”.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la Chiesa russa conobbe un periodo di rinascita e la sua influenza prese ad aumentare enormemente tra la popolazione.

Kirill fu nominato patriarca di Mosca nel 2009. Inizialmente, fu perfino considerato un riformista, almeno dal punto di vista di alcuni limitati aspetti pastorali. L’ala più conservatrice della Chiesa russa lo criticò per il suo “ecumenismo”, cioè per l’avvicinamento alla Chiesa cattolica. Nel 2016 incontrò Papa Francesco, nel primo incontro della storia tra un Pontefice cattolico e un Patriarca di Mosca: il dialogo tra le due chiese, però, si è in seguito molto raffreddato.

Oggi Kirill è unanimemente considerato un conservatore molto reazionario, che ha esacerbato le posizioni più oscurantiste della Chiesa russa, mettendo un accento particolare sull’omofobia e su un’opposizione ossessiva ai valori liberali dell’Occidente.

Kirill è inoltre l’artefice dell’allineamento delle posizioni della Chiesa russa a quelle del regime di Vladimir Putin.

(Alexei Druzhinin/Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP, File)

Fin dall’inizio della sua carriera politica, Putin ha sempre fatto sfoggio di religiosità. Nel 2000, durante la sua prima campagna elettorale per la presidenza, rivelò che quando era bambino sua madre lo aveva battezzato all’insaputa del padre. Negli anni, Putin ha fatto moltissimi atti di devozione pubblica, spesso molto coreografati. Con il tempo, il rapporto tra la Chiesa e il regime russo è diventato sempre più stretto: nel 2007 Putin disse che i due pilastri della società russa erano gli armamenti nucleari e la religione ortodossa.

L’allineamento tra la Chiesa russa e il regime putiniano è diventato davvero forte soltanto a partire dal 2012: in quel periodo, Putin si trovava in seria difficoltà a causa di grandi proteste per i brogli alle elezioni di quell’anno. Il suo regime mise in atto una repressione durissima contro l’opposizione, e al tempo stesso avviò un’ampia campagna di propaganda sui “valori tradizionali”, per presentare l’opposizione come degenerata e corrotta dall’Occidente e Putin come l’unico garante della stabilità e della morale. È in quegli anni che cominciò la repressione sistematica del regime contro le persone omosessuali e altre minoranze, accusate di corrompere la società russa.

Kirill sostenne con forza e anzi amplificò queste campagne. Nel 2012 disse che la presidenza di Putin fino ad allora era stata un «miracolo di Dio» e si espresse in maniera sempre più violenta contro «i falsi valori del liberalismo aggressivo». Nel 2013 definì i matrimoni tra persone dello stesso sesso «un segnale molto pericoloso dell’Apocalisse», e nel 2017 li paragonò alle leggi naziste.

L’appoggio di Kirill e della Chiesa ortodossa russa al regime di Putin non fu soltanto ideologico: la Chiesa sostenne le operazioni militari di Putin in Siria e in Crimea, e organizzò perfino cerimonie in cui i preti ortodossi benedicevano le bombe dell’esercito russo. Il regime russo ricambiò il sostegno favorendo in vari modi la Chiesa ortodossa, per esempio approvando leggi che riducevano i diritti e l’autonomia di Chiese e religioni rivali. La Chiesa si arricchì notevolmente: uno dei più noti scandali che hanno riguardato Kirill emerse quando si scoprì che indossava un orologio da 30 mila dollari.

In Ucraina, gli interessi della Chiesa russa sono molto antichi. Anzitutto perché, esattamente come Putin, anche Kirill crede che l’origine della Russia cristiana sia stata in Ucraina, quando nel Decimo secolo il principe pagano Volodymyr (o Vladimir) si convertì al cristianesimo. Peraltro, sia Volodymyr Zelensky sia Vladimir Putin sono stati chiamati così per onorare questo principe, che oggi è ricordato come San Vladimiro.

Inoltre, fino al 2019 la Chiesa ortodossa in Ucraina si trovava sotto l’autorità del Patriarcato di Mosca, che nei decenni precedenti aveva molto investito per aumentare la propria influenza. Ma dopo l’invasione russa della Crimea e del Donbass, nel 2014, una parte consistente della Chiesa ucraina si rese autonoma: nacquero così due chiese, la Chiesa ortodossa dell’Ucraina, indipendente, e la Chiesa ortodossa ucraina, rimasta fedele al Patriarcato di Mosca. La decisione fu approvata dal Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, che è una specie di primus inter pares tra tutti i patriarchi ortodossi: in risposta la Chiesa russa interruppe i rapporti con il patriarcato di Costantinopoli, provocando lo scisma più grave degli ultimi secoli di storia della Chiesa.

Come si nota da vari interventi, Kirill continua a ritenere che la perdita di buona parte della Chiesa ucraina sia un errore e un affronto. Nella lettera di marzo al Consiglio ecumenico delle Chiese, il Patriarca ha scritto che Russia e Ucraina provengono da un unico «fonte battesimale», e per questo condividono «un destino storico comune».