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  • Martedì 3 maggio 2022

Le pressioni e le minacce contro l’oligarca che aveva criticato Putin

Oleg Tinkov si era espresso contro la guerra in Ucraina: ora dice di essere stato costretto a vendere le quote della sua banca

Oleg Tinkov (AP Photo/Sang Tan, File)
Oleg Tinkov (AP Photo/Sang Tan, File)
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Oleg Tinkov, l’imprenditore e oligarca russo che un paio di settimane fa aveva duramente criticato sui social network l’invasione russa dell’Ucraina, ha venduto le sue quote della società che aveva fondato, la TCS Group, a Vladimir Potanin, ricchissimo oligarca russo molto vicino a Vladimir Putin. In un’intervista data al New York Times, Tinkov ha raccontato che sarebbe stato costretto a vendere le quote come punizione per le critiche fatte a Putin, senza poter negoziare sul prezzo e con intimidazioni che lo hanno portato a temere anche per la sua sicurezza.

Tinkov è stato il primo oligarca russo a esporsi pubblicamente, in modo diretto ed esplicito, contro il presidente russo Vladimir Putin e la sua decisione di attaccare l’Ucraina: lo aveva fatto il 19 aprile con un post sul proprio profilo Instagram dai toni piuttosto forti, in cui aveva scritto, tra le altre cose, che «i generali russi, svegliandosi con i postumi di una sbornia, si sono resi conto di avere un esercito di merda». Tinkov aveva anche aggiunto: «Ma come può essere buono un esercito se tutto il resto nel paese è una merda, nel pantano del nepotismo e del servilismo?».

Tinkov è noto per le sue stravaganze e i suoi toni spesso volgari, e non è la prima volta che critica il governo russo. Ma nel corso degli anni era riuscito a mantenere un profilo piuttosto indipendente e distaccato dal Cremlino, senza avere troppi problemi. Il suo post su Instagram ha cambiato radicalmente le cose, quantomeno stando a quel che ha raccontato al New York Times.

Il giorno dopo la pubblicazione del post, ha detto Tinkov, l’amministrazione del presidente russo Vladimir Putin ha contattato la dirigenza della Tinkoff Bank, l’importante istituto finanziario posseduto dal TCS Group, minacciando di nazionalizzarla – cioè di prenderne il controllo – nel caso in cui non avesse interrotto i propri rapporti con Tinkov e cambiato il proprio nome (Tinkoff è chiaramente ispirato a Tinkov).

Pochi giorni dopo la Tinkoff Bank ha annunciato il cambio del proprio nome, sostenendo di aver già deciso di farlo da tempo (e non, quindi, sotto la spinta di qualche pressione esterna); e la settimana successiva – giovedì scorso – Tinkov ha venduto le proprie quote, circa il 35 per cento di quelle totali.

A comprarle è stata Interros, azienda posseduta dall’oligarca Vladimir Potanin, che oltre a essere vicinissimo a Putin è, secondo le stime di Bloomberg, il 36esimo uomo più ricco del mondo. Potanin, tra l’altro, aveva già comprato la Rosbank, banca posseduta dalla società francese Société Générale, quando la società aveva interrotto le proprie attività in Russia a seguito della guerra in Ucraina.

Non si sa a quanto Tinkov abbia venduto le proprie quote: nell’intervista al New York Times, data da un luogo sconosciuto per ragioni di sicurezza, Tinkov ha descritto la vendita come un atto «disperato», impostogli dal Cremlino, in cui si è trovato «come in ostaggio» e non ha potuto negoziare su nulla, nemmeno sul prezzo: Tinkov dice di aver venduto le quote a «circa il 3 per cento del loro valore», senza dare altre spiegazioni.

Le intimidazioni non si sarebbero limitate alle sole manovre finanziarie. Tinkov – che tra l’altro vive per gran parte dell’anno in Toscana – ha raccontato di aver cominciato a temere per la sua vita, e che, sotto suggerimento di alcuni suoi conoscenti con contatti tra i servizi di sicurezza russi, avrebbe deciso anche di assumere guardie del corpo per proteggersi.

Ritorsioni contro Tinkov sono arrivate anche dai russi favorevoli alla guerra, che nei giorni successivi alla pubblicazione del suo post hanno condiviso sui social media diverse immagini di carte di credito Tinkoff distrutte – Tinkoff è il secondo più grande emittente di carte di credito in Russia – e Vladimir Solovyov, un importante conduttore della televisione di stato russa, si è rivolto direttamente a lui con una lunga invettiva dicendogli «la tua coscienza è marcia».

Contattati per chiarimenti sulle dichiarazioni di Tinkov, i dirigenti della Tinkoff hanno negato la sua versione dei fatti, sostenendo che non ci sia stata nessuna pressione affinché interrompesse i propri rapporti con Tinkov. Il governo russo non ha invece risposto alle richieste di commenti da parte del New York Times e di altri giornali.

Tinkov, tra le persone russe sanzionate dal Regno Unito, ha detto che molti altri imprenditori russi di alto profilo la pensano come lui, ma che «hanno tutti paura» di esporsi, verosimilmente per le conseguenze che un’azione del genere potrebbe avere sui loro affari. È anche per questo che le reazioni degli altri oligarchi alla guerra sono state fino a ora poche, caute e mai particolarmente esplicite.

– Leggi anche: Chi sono e che ruolo hanno gli oligarchi russi