La Germania vuole che l’Italia smetta di chiedere risarcimenti per i crimini nazisti

Si è rivolta alla Corte internazionale dell'Aia contro le decisioni di diversi tribunali italiani, appellandosi a precedenti sentenze

La sede del Goethe-Institut di Roma, fotografata da Google Street View nell'aprile del 2021
La sede del Goethe-Institut di Roma, fotografata da Google Street View nell'aprile del 2021
Caricamento player

Venerdì la Germania si è rivolta alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia accusando l’Italia di non rispettare l’immunità giurisdizionale tedesca, lamentandosi del fatto che i tribunali italiani continuano a permettere a persone vittime dei crimini di guerra nazisti di chiedere compensazioni economiche allo stato tedesco. Una precedente sentenza della Corte aveva infatti stabilito che tali decisioni violano il diritto della Germania all’immunità secondo il diritto internazionale, dato che il paese ha già provveduto in passato a compensare l’Italia e altri paesi per le violenze perpetrate durante la Seconda guerra mondiale, pagando l’equivalente di miliardi di euro dal 1945 in poi.

La precedente sentenza della Corte internazionale di giustizia risale al 2012 e da allora sono state presentate ai tribunali italiani più di 25 richieste di risarcimento danni legate ai crimini commessi dalle forze di occupazione tedesche dal 1943 al 1945. In molte occasioni i giudici italiani hanno ordinato alla Germania di risarcire i richiedenti, e relativamente a due casi stanno cercando di sequestrare e confiscare proprietà immobiliari dello stato tedesco che si trovano a Roma – tra cui quelle che ospitano l’Istituto Archeologico Germanico in via Sicilia, la sede romana del Goethe-Institut in via Savoia, l’Istituto Storico Germanico e la Scuola Germanica Roma in via Aurelia Antica – per procedere con le compensazioni.

In particolare, la Germania ha fatto reclamo alla Corte internazionale perché entro il 25 maggio un tribunale italiano dovrebbe stabilire se procedere con l’esproprio dei beni immobiliari tedeschi di Roma e la vendita all’asta. La Germania vorrebbe che la Corte dell’Aia bloccasse ogni decisione in merito in attesa che si pronunci nuovamente sulle richieste di risarcimento.

La precedente sentenza della Corte sulla questione era arrivata dopo un primo reclamo della Germania che riguardava un caso particolare. Nel 2004 un cittadino italiano, figlio ed erede di un uomo deportato durante la Seconda guerra mondiale in Germania, impiegato come lavoratore forzato e poi ucciso da un comando delle SS, si era rivolto al tribunale di Firenze per ottenere un risarcimento allo stato tedesco. La Germania si costituì in giudizio sostenendo che non spettasse alla giustizia italiana pronunciarsi sulla vicenda, ma nel 2008 la Corte di Cassazione stabilì diversamente, confermando la giurisdizione del giudice italiano. Per questo lo stato tedesco aveva presentato reclamo contro l’Italia alla Corte dell’Aia (istituita nel 1945 per dirimere le dispute fra stati membri delle Nazioni Unite) che nel 2012 le diede ragione. Per questo nel 2012 il tribunale di Firenze dichiarò inammissibile la richiesta di risarcimento.

Nel 2013 fu emanata una legge – la numero 5 del 14 gennaio – con la quale lo stato italiano recepì a sua volta i principi sull’immunità degli stati citati nella sentenza della Corte dell’Aia, spingendo la Cassazione a rivedere il proprio precedente giudizio nel 2014. Tuttavia nello stesso anno la Corte Costituzionale dichiarò l’illegittimità della legge 5 del 2013, affermando che gli atti di deportazione e di costrizione al lavoro e gli eccidi sono crimini contro l’umanità e quindi non rientrano nella funzione sovrana dello stato estero.

Per via di questa decisione della Corte Costituzionale da allora in Italia sono state presentate molte altre richieste di risarcimento danni contro la Germania.

Non si sa ancora quando ci sarà la prima udienza preliminare della Corte internazionale sul caso, ma è probabile che avvenga nelle prossime settimane – mentre per avere una sentenza definitiva ci vorranno anni, per le consuete tempistiche del tribunale.