Vent’anni fa un aereo si schiantò contro il grattacielo Pirelli a Milano

Oltre al pilota morirono tre persone e in un primo momento si parlò di terrorismo, ma l'inchiesta accertò che c'era stato un errore umano

Il grattacielo Pirelli dopo l'impatto (STEFANO GUINDANI / ANSA / TO)
Il grattacielo Pirelli dopo l'impatto (STEFANO GUINDANI / ANSA / TO)

Il 18 aprile di vent’anni fa, alle 17.45, un aereo da turismo monomotore Rockwell Commander 112 TC si schiantò contro quello che tutti a Milano chiamano “Pirellone”, il grattacielo Pirelli, costruito alla fine degli anni Cinquanta su progetto, tra gli altri, di Gio Ponti. Il grattacielo di 31 piani è in piazza Duca d’Aosta, davanti alla Stazione Centrale: fino al 1966 è stato l’edificio più alto dell’Unione Europea. L’impatto avvenne all’altezza del ventiseiesimo piano. Nel 2002 il palazzo ospitava sia gli uffici del Consiglio regionale sia quelli della Giunta, oggi trasferiti poco lontano, a Palazzo Lombardia.

Nell’impatto morirono il pilota del monomotore, Luigi Fasulo, e due avvocate dell’ufficio legale della Regione Lombardia, Anna Maria Rapetti e Alessandra Santonocito. Settanta persone rimasero ferite. A quell’ora, molti degli impiegati della Regione avevano già lasciato gli uffici: erano presenti nel grattacielo 300 persone su una media di 1.300.

Il grattacielo dopo l’impatto (ANSA/STEFANO GUINDANI/pal mda)

Per alcune ore si pensò a un attentato. Il fumo che si alzava dallo squarcio nell’edificio era visibile da tutta Milano. Erano passati solo sette mesi dall’11 settembre 2001, giorno di attacco da parte di al Qaida alle Torri Gemelle di New York e al Pentagono a Washington. Ad alimentare il sospetto che si fosse trattato di un attentato terroristico contribuì in maniera avventata il presidente del Senato Marcello Pera che disse all’assemblea dei senatori: «Attualmente ho conferma che con molta probabilità si tratta di un attentato. Non posso dire di più, perché obiettivamente nessuno in questo momento può dire di più. È evidente che se questo fosse confermato, trattandosi di un grattacielo della Regione Lombardia, il gesto avrebbe anche un valore simbolico dopo l’11 settembre».

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che era in viaggio in Bulgaria, rientrò immediatamente a Roma (lo stesso giorno, il 18 aprile, il premier aveva emesso il cosiddetto “editto bulgaro”, aveva cioè denunciato quello che secondo lui era un uso criminoso della TV pubblica da parte di Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi). Il sindaco di Milano, Gabriele Albertini, anche lui all’estero, in Canada, programmò il rientro per il giorno successivo mentre il presidente della Regione, Roberto Formigoni, lasciò subito l’India, dove era in visita ufficiale, per tornare a Milano.

Il vicepresidente della Regione Lombardia, Piergianni Prosperini, di Alleanza Nazionale, disse: «Noi che eravamo dal lato di là abbiamo sentito due fortissimi scoppi a ridosso uno dell’altro. Abbiamo creduto che fossero delle bombe. Era invece o un Piper o comunque un aereo da turismo, secondo me carico di esplosivo, visto il botto che ha fatto». Prosperini si disse anche sicuro che si trattasse di terrorismo islamico: «Gli aerei non possono girare sopra Milano. Tutto intorno a Linate ci sono prati e terreni agricoli, dove poter atterrare in caso di avaria. Che incidentalmente il velivolo abbia centrato proprio il Pirellone io non ci credo. Sono certo che si tratti di terrorismo islamico».

Poche ore dopo il ministro dell’Interno Claudio Scajola disse però che si era trattato di un incidente.

Scajola aggiunse di aver vissuto i momenti più drammatici della sua vita da ministro dell’Interno e che nei primi minuti era stato logico pensare a un attentato. Con polemica, disse: «Ho visto convocazioni di organismi di crisi proprio mentre stava uscendo la mia dichiarazione con cui escludevo l’ipotesi terroristica. Credo che sarà necessario specificare meglio il rispetto delle competenze. Non ci devono essere più sbavature».

Un ferito (STEFANO GUINDANI / ANSA / TO)

Non era stato in realtà difficile arrivare alla conclusione che l’attacco terroristico fosse da escludere. L’aereo era partito dalla Svizzera, dall’aeroporto Locarno-Magadino. Il pilota era un uomo di 67 anni, originario dell’avellinese che viveva a Pregassona, vicino a Lugano, nel Canton Ticino. La sua figura non corrispondeva a quella di un possibile terrorista islamico. Lo stesso aereo, lungo meno di otto metri e con un’apertura alare di undici, non sembrava il più adatto per un’azione terroristica.

Luigi Fasulo, il pilota dell’aereo, aveva denunciato pochi mesi prima dell’incidente di essere stato raggirato da un socio a cui aveva affidato un’ingente somma. Si parlò quindi a lungo della possibilità che avesse voluto suicidarsi ma anche questa ipotesi venne alla fine esclusa.

Fasulo aveva conseguito il brevetto per pilotare piccoli aerei da turismo nel 1980: al momento dell’incidente aveva accumulato circa 5mila ore di volo. La sua passione per il volo era anche diventata un’attività professionale. Era stato titolare di una piccola impresa di aerotaxi, venditore di aerei da turismo e poi si era occupato del commercio di opere d’arte.

Da un paio d’anni aveva iniziato a trasportare merci e persone dalla Svizzera verso aeroporti europei. Secondo quello che venne accertato in seguito, era stato protagonista di piccoli incidenti come un atterraggio troppo affrettato all’aeroporto di Zurigo. Inoltre, gli era capitato spesso di esaurire il carburante durante i voli e di dover quindi effettuare atterraggi non previsti: il suo soprannome era “fuel short”, a corto di carburante. Altri piloti però lo descrivevano come abile, dalla «freddezza eccezionale», e citavano suoi atterraggi fortunosi, a Tripoli in mezzo a un fortunale e a Parigi nella nebbia fitta.

Fasulo era decollato dall’aeroporto di Locarno-Magadino alle 17.15 di quel giorno. Il piano di volo prevedeva l’atterraggio all’aeroporto di Milano Linate per effettuare rifornimento di carburante e poi il volo di ritorno fino all’aeroporto di Lugano-Agno con atterraggio previsto alle 18.15.

La zona dopo l’impatto (GUATELLI / ANSA / LI)

Per venti minuti non ci fu nessuna segnalazione e il volo si svolse regolarmente. Alle 17.33 Fasulo segnalò alla torre di controllo di Linate di essere arrivato al cosiddetto cancello ovest, cioè il punto di entrata per il traffico aereo, e chiese istruzioni. Dalla torre gli domandarono se fosse al comando di un elicottero o di un apparecchio ad ala fissa. Fasulo non rispose ma chiese di poter atterrare sulla pista 36 L, una pista che aveva già utilizzato in passato. Dalla torre domandarono ancora due volte se stesse pilotando un elicottero o un aereo e quando l’operatore ebbe la risposta comunicò che non era possibile atterrare sulla pista 36L, riservata quel giorno esclusivamente agli elicotteri. Fasulo ricevette istruzioni di atterrare sulla pista 36R.

Da quel momento in poi le cose iniziarono a complicarsi. La torre di controllo, dando per scontata l’indicazione, non disse a Fasulo che l’approccio alla pista 36R di Linate doveva avvenire sempre a est della pista. L’aereo avrebbe quindi dovuto virare, cosa che non avvenne. Fasulo non eseguì le manovre correttamente. Dalla torre di controllo si accorsero che il Rockwell Commander non stava eseguendo la manovra prevista e chiesero al pilota se volesse approcciare la pista sottovento. Fasulo non rispose e poco dopo disse di aver riscontrato un problema al carrello.

L’ipotesi emersa durante le indagini fu che a quel punto Fasulo, che non volava da tre mesi e che era già sotto stress per l’errore nell’avvicinamento alla pista, si fosse fatto prendere dall’agitazione. Fasulo si inserì anche per errore nella comunicazione tra la torre di controllo e un altro velivolo.

L’addetto della torre di controllo vide l’aereo allontanarsi e pensò che stesse riprogrammando l’atterraggio. Invece il Rockwell si diresse inspiegabilmente verso la città, in direzione della Stazione Centrale. L’ipotesi formulata durante le indagini fu che il pilota a quel punto fosse completamente concentrato sui comandi nel tentativo di estrarre il carrello e che il sole basso all’orizzonte l’avesse abbagliato impedendogli di vedere che era in rotta di collisione con il grattacielo Pirelli. Secondo le persone che assistettero al volo del monomotore sopra Milano, il carrello fu prima estratto e poi retratto. È possibile che Fasulo a quel punto avesse deciso di tornare indietro, verso la Svizzera, senza atterrare a Milano evitando così di sottoporre l’aereo a controlli.

Luigi Fasulo (Ansa/Ciro Fusco)

Alle 17.44 la torre di Linate richiamò Fasulo ma non ottenne risposta. A quel punto l’aereo era sceso da 1.100 piedi a 700, 213 metri sul livello del mare. La cima del grattacielo Pirelli è a 242 metri. Fasulo tentò una virata all’ultimo istante ma l’aereo si infilò all’altezza del ventiseiesimo piano del grattacielo sfondando anche la parete posteriore. Le due vittime stavano lavorando proprio al piano dove avvenne l’impatto.

Ecco cosa venne scritto nella relazione dell’Agenzia nazionale per la sicurezza del volo: «Il pilota […] viene istruito a orbitare sull’ATA (area corrispondente alla verticale del piazzale Ovest o dell’aviazione generale) ma il velivolo, dopo il sorvolo della parte occidentale dell’aeroporto di Linate, prosegue fino a schiantarsi contro il Palazzo della Regione Lombardia». Nel rapporto fu indicata anche la probabile causa: «La causa più probabile dell’incidente è da ricercare nella incapacità […] di gestire in maniera adeguata la condotta della fase finale del volo in presenza di problematiche tecnico-operative e ambientali. Allo stato della documentazione pervenuta e delle prove raccolte, delle analisi effettuate e della logica sequenziale dei fatti si ritiene ragionevolmente improbabile l’ipotesi di una azione autodistruttiva del pilota».

Tre anni dopo alle vittime dell’incidente furono riconosciuti come risarcimento complessivamente tre milioni di franchi, poco più di due milioni di euro, e cioè il massimo previsto dall’assicurazione stipulata da Fasulo.

La gran parte della somma fu destinata ai parenti di Alessandra Santonocito e Anna Maria Rapetti. Il resto fu distribuito tra i circa 70 feriti, alcuni dei quali, a distanza di anni, risentivano di gravi disturbi di tipo psicologico. Soltanto i danni materiali provocati al grattacielo furono stimati in 33 milioni di euro.

Oggi al ventiseiesimo piano del grattacielo Pirelli c’è il Luogo della Memoria, dedicato ad Anna Maria Rapetti e Alessandra Santonocito.