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  • Mercoledì 13 aprile 2022

La Germania ci sta ripensando, sull’Ucraina

Dopo i celebrati annunci di investimenti nella difesa e il progressivo distanziamento dalla Russia, sembra che il governo tedesco stia silenziosamente facendo dei passi indietro

(Ben Stansall/Pool Photo via AP)
(Ben Stansall/Pool Photo via AP)
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Nei giorni appena successivi all’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, in carica da pochi mesi, tenne un importante discorso per annunciare che il suo governo avrebbe creato un fondo da 100 miliardi di euro da investire della difesa e superato l’obiettivo minimo di impiegare il 2 per cento del proprio PIL nelle spese militari, ribaltando la tradizionale e dimessa prudenza con cui la Germania aveva gestito fino a quel momento la propria politica estera e di difesa. Scholz ottenne estesissime lodi in tutto l’Occidente, e in molti parlarono di una nuova era per la Germania: ora però qualcosa sembra essersi inceppato.

«Sembrava che la Germania avesse finalmente deciso di accettare un ruolo da protagonista nella politica della sicurezza europea», ha scritto di recente il settimanale tedesco Spiegel: «Sei settimane dopo, però, quell’entusiasmo è del tutto evaporato».

In effetti, negli ultimi tempi, il governo di Scholz sembra aver quantomeno rallentato nel suo slancio verso quella che il New York Times aveva definito «una inversione a U nella propria politica estera». Oggi diversi governi e alcune istituzioni europee si dicono insoddisfatte e frustrate nei confronti del governo tedesco e di Scholz, perché il cambiamento annunciato sembra non essersi davvero mai realizzato.

Nelle ultime settimane Scholz si è opposto, in sede di Consiglio Europeo, a una riduzione delle forniture di petrolio e gas naturale dalla Russia: cioè quello che è considerato l’unico strumento a disposizione dei paesi europei per danneggiare efficacemente l’economia russa. Pochi giorni dopo Politico ha scoperto che Scholz aveva di fatto sospeso l’invio di un centinaio di carri armati all’Ucraina ordinato dalla sua ministra degli Esteri Annalena Baerbock, per ragioni non ancora chiarissime. Nel frattempo i funzionari tedeschi nelle sedi europee hanno continuato a frenare sulla concessione all’Ucraina dello status di candidato a entrare nell’Unione Europea, chiesta esplicitamente sia dal governo ucraino sia da gran parte dei paesi dell’Europa orientale.

Diversi paesi europei temono che l’annuncio di fine febbraio di Scholz sia avvenuto sull’onda emotiva dei primi giorni della guerra, e che la Germania stia silenziosamente tornando sui suoi passi: adottando quindi una tradizionale prudenza nella politica estera, specialmente nei confronti dei suoi rapporti con la Russia.

La settimana scorsa il viceministro degli Esteri polacco Szymon Szynkowski vel Sęk ha tenuto una conferenza stampa improvvisata davanti al ministero degli Esteri a Berlino e ha accusato apertamente la Germania di avere adottato cautele ed esitazioni eccessive nei confronti della Russia, sia negli ultimi anni sia durante la guerra in corso. «Le immagini che arrivano da Bucha sono la dimostrazione di tutto questo», ha detto Szynkowski vel Sęk riferendosi al massacro di civili compiuto dalla Russia nelle prime settimane della guerra.

Ma l’incidente diplomatico più rilevante è avvenuto questa settimana, quando il governo ucraino ha fatto sapere al presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier, storico leader politico dei Socialdemocratici, che una sua eventuale visita a Kiev non sarebbe stata gradita per via dei suoi noti legami con politici e imprenditori russi e per il suo coinvolgimento nelle trattative sui cosiddetti accordi di Minsk fra Ucraina e Russia del 2014, che secondo l’Ucraina portò a un accordo finale eccessivamente sbilanciato a favore della Russia.

Una certa cautela ed esitazione da parte della Germania nei confronti della Russia arriva da lontano e non si riscontra solo nella sua classe politica. I legami fra Russia e Germania si estendono a tutti i livelli della società, complice il fatto che per decenni un pezzo della Germania fu sostanzialmente un paese satellite dell’Unione Sovietica, ma anche per via di «un certo senso di colpa», come lo definisce il New York Times, per il fatto che durante la Seconda guerra mondiale milioni di russi furono uccisi dai nazisti.

Da un punto di vista commerciale, poi, dopo la Seconda guerra mondiale la Russia si trovò nelle condizioni di poter fornire energia a basso prezzo, nella forma di gas naturale, petrolio e carbone, per la fiorente industria tedesca. Nel 1973 il gas naturale russo iniziò ad arrivare sia nella Germania Ovest sia nella Germania Est, e da allora non ha più smesso di farlo. Deutsche Welle stima che in tutta la Germania le importazioni di gas russo passarono dal miliardo di metri cubi del 1973 ai 25,7 miliardi di metri cubi del 1993. Nel 2020 le importazioni di gas naturale dalla Russia hanno raggiunto i 42,6 miliardi di metri cubi all’anno.

Tutto questo ha fatto sì che l’intero establishment politico ed economico tedesco abbia appoggiato a lungo la strategia della cancelliera Angela Merkel, il cui approccio era assai noto e condiviso: costruire legami commerciali con la Russia avrebbe portato benefici all’economia tedesca e tenuto agganciata politicamente la Russia al resto d’Europa. I politici tedeschi erano fra i più scettici d’Europa, per esempio, sull’opportunità di aumentare le spese militari per fare fronte alla crescente aggressività della Russia nella propria politica estera: ritenevano infatti che i radicati legami commerciali fra Russia ed Europa avrebbero frenato eventuali escalation militari da parte della Russia.

La guerra ha cambiato le cose, ma forse non nella misura in cui si auguravano gli alleati europei della Germania. «Circola un certo scetticismo sul fatto che la classe politica tedesca sia pronta per rompere del tutto i legami con Mosca, o che gli elettori tedeschi saranno felici di pagare un prezzo molto più alto per l’energia nel breve termine», ha sintetizzato di recente il New York Times.

In effetti un sondaggio realizzato negli ultimi giorni per conto della Frankfurter Allgemeine Zeitung mostra che il 68 per cento degli intervistati teme che l’aumento dei prezzi dell’energia impatterà molto o moltissimo sulle proprie spese. L’articolo che presenta i risultati del sondaggio è titolato «i tedeschi non vogliono rimanere al freddo per la libertà», intesa come quella degli ucraini.

Questo atteggiamento è stato criticato soprattutto sul piano morale da un dibattuto articolo dell’economista Paul Krugman pubblicato il 7 aprile sul New York Times. Nell’articolo Krugman accusa la Germania di complicità nelle violenze di Putin, per non aver compreso per tempo con chi stava costruendo rapporti e affari, ma soprattutto di «ipocrisia»: «mentre la Germania si dimostrò disponibile a imporre una catastrofe economica e sociale nei confronti di quei paesi che a suo dire si erano indebitati in eccesso», come ad esempio la Grecia dei primi anni Duemila, «oggi non ritiene di dovere imporre a sé stessa un prezzo assai minore, nonostante la sua innegabile responsabilità» nell’avere costruito per anni rapporti economici con la Russia di Putin.

Non sembra che le cose possano cambiare, almeno nel breve periodo: nelle prossime settimane i timori sui rincari per i prezzi dell’energia metteranno ulteriore pressione al governo, cosa che a sua volta potrebbe esacerbare i rapporti fra quelli che chiedono una maggiore fermezza, come Baerbock, e i più attendisti, come Scholz e i suoi collaboratori.