C’è un farmaco promettente contro le forme gravi di COVID-19

Nei test clinici, la sabizabulina ha ridotto di oltre la metà i decessi tra i malati gravi in ospedale, ma i dati devono essere ancora rivisti

(Alexander Koerner/Getty Images)
(Alexander Koerner/Getty Images)
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Un farmaco sperimentale, inizialmente sviluppato per trattare alcune forme di tumore, ha dato esiti promettenti tra i pazienti con forme gravi di COVID-19. La sabizabulina si è rivelata utile nel ridurre il rischio di polmoniti e morte entro alcune settimane dalla comparsa dei sintomi in numerosi pazienti, al punto da spingere l’azienda che la sta sperimentando a sospendere i test clinici per accelerare il processo di autorizzazione del farmaco. Potrebbe essere un importante sviluppo verso la disponibilità di trattamenti specifici contro le forme gravi della malattia causata dal coronavirus, ma gli esiti della sperimentazione non sono stati ancora pubblicati ed è quindi necessaria qualche cautela.

Veru, l’azienda farmaceutica statunitense che nel corso della pandemia aveva avviato la sperimentazione della sabizabulina per scopi alternativi al trattamento di alcune forme di tumore, ha annunciato i risultati dei test clinici a inizio settimana. Il suo amministratore delegato, Mitchell Steiner, ha detto che: «La sabizabulina è il primo farmaco a dimostrare una riduzione delle morti e dei ricoveri significativa sia dal punto di vista statistico sia dal punto di vista clinico: ciò rappresenta un grande passo avanti».

Finora la ricerca di trattamenti contro le forme gravi di COVID-19 non aveva portato a molti risultati, lasciando ai medici risorse limitate per trattare i loro pazienti soprattutto se ricoverati in terapia intensiva per complicazioni polmonari. I farmaci specifici finora disponibili, come il Paxlovid di Pfizer, hanno dimostrato di avere una buona efficacia nel trattare le forme iniziali e più lievi di COVID-19, mentre non esistono medicinali per i pazienti che si ammalano gravemente.

La sabizabulina interviene sui meccanismi di trasporto di alcune sostanze tra le cellule (e al loro interno), attraverso i tubuli del citoscheletro, l’impalcatura filamentosa che aiuta la cellula a mantenere la propria forma e assolve a diverse altre funzioni. Il farmaco riduce le funzionalità dei tubuli, che vengono sfruttati dal coronavirus per muoversi tra le cellule e portare avanti l’infezione nell’organismo. La ridotta mobilità rallenta la replicazione del virus, che avviene sfruttando proprio le cellule, lasciando in questo modo all’organismo più tempo per organizzare una risposta immunitaria adeguata e non sovradimensionata, che a sua volta può portare a ulteriori complicazioni per il paziente.

L’impiego del farmaco di Veru è per ora previsto per le sole persone ricoverate, circostanza che dovrebbe rendere più semplice la sua distribuzione e soprattutto la sorveglianza da parte dei medici. Prima di essere disponibile, la sabizabulina dovrà comunque ricevere un’autorizzazione di emergenza da parte della Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia federale statunitense che si occupa dei farmaci.

Nel corso dei test clinici, Veru ha impiegato la sabizabulina su circa 150 volontari divisi in due gruppi: uno ha ricevuto il farmaco e l’altro una sostanza che non faceva nulla (placebo). Nel gruppo del placebo, circa la metà dei 52 partecipanti è morta entro 60 giorni dai primi sintomi di COVID-19, nonostante l’assistenza da parte dei medici in ospedale con i protocolli elaborati finora. Nel gruppo della sabizabulina, il tasso di mortalità è stato invece del 20 per cento tra i 98 volontari, che avevano forme altrettanto gravi di COVID-19 rispetto al gruppo di controllo con placebo.

Visti i risultati molto positivi, il comitato di controllo indipendente che ha seguito la sperimentazione ha deciso di interrompere i test per sveltire i processi di autorizzazione di emergenza.

Nei test clinici il farmaco era stato somministrato una volta al giorno per un massimo di 21 giorni. Durante la sperimentazione non erano emersi particolari effetti indesiderati, secondo le informazioni fornite finora da Veru. La società non ha però ancora fornito altri dati importanti per farsi un’idea più completa sulla sperimentazione. Devono essere fornite informazioni più dettagliate sulle condizioni dei pazienti, sul numero di giorni trascorsi in terapia intensiva, sulla durata in generale del ricovero e sugli interventi svolti dai medici, per esempio per intubare o meno i casi più gravi.

Il trattamento consiste nell’assunzione giornaliera di una capsula da 9 milligrammi. Il farmaco può essere conservato a temperatura ambiente e non richiede cautele per il trasporto e la conservazione diverse da quelle solitamente impiegate per i medicinali.

Oltre agli Stati Uniti, i test sono stati svolti su volontari in Bulgaria, Colombia, Messico, Argentina e Brasile. I partecipanti avevano forme gravi di COVID-19 causate sia dalla variante delta sia dalla ormai più diffusa variante omicron. Secondo Veru, il trattamento mantiene la medesima efficacia a prescindere dalle varianti.

Veru ha confermato che entro fine mese incontrerà i responsabili della FDA che si stanno occupando dei farmaci contro il coronavirus, in modo da avviare le pratiche per ottenere un’autorizzazione di emergenza del farmaco. Al momento non è possibile fare previsioni accurate su quando il trattamento sarà disponibile per l’impiego negli ospedali.

Nonostante omicron comporti sintomi meno gravi rispetto ad altre varianti, specialmente tra le persone vaccinate, solo in Italia continuano a esserci oltre diecimila malati di COVID-19 ricoverati in ospedale, con alcune centinaia di loro che necessitano di assistenza nei reparti di terapia intensiva. Nell’ultima settimana sono morte quasi mille persone a causa delle complicazioni dovute alla malattia nelle sue forme più gravi.