Il posto in cui è nata la salsa di soia giapponese

È stata inventata più di 750 anni fa nella cittadina di Yuasa, dove ci sono ancora alcune delle aziende produttrici più antiche del Paese

(Wikimedia Commons)
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Si pensa che l’origine della salsa di soia usata comunemente nella cucina asiatica risalga a più di duemila anni fa, quando in Cina si cominciò a diffondere un composto liquido chiamato jiang e ricavato mettendo sotto sale varie verdure, cereali o altri alimenti per conservarli più a lungo. Si sa però dove e quando questo condimento, dal gusto salato e saporito, iniziò a essere prodotto in Giappone, diventando uno degli elementi più importanti della cultura gastronomica locale, usato per accompagnare il sushi, le zuppe e i piatti saltati in padella: nella seconda metà del Tredicesimo secolo a Yuasa, un villaggio sulla costa occidentale della penisola di Kishu, a sud di Osaka, nel sud del paese.

Nel 1254 il monaco buddista giapponese Shinchi Kakushin tornò da un viaggio di alcuni anni in Cina, diventando poi l’abate del tempio di Kokoku-ji, a pochi chilometri da Yuasa. Kakushin aveva portato con sé una ricetta utilizzata in Cina per produrre un particolare tipo di miso – un condimento derivato dalla soia – dalla consistenza morbida e granulare chiamato Kinzanji, che si otteneva facendo fermentare fagioli di soia interi, verdure e alcuni tipi di cereali, tra cui orzo e riso. Il monaco decise di avviare la produzione del miso Kinzanji a Yuasa per l’abbondanza di acqua fresca presente nella zona; presto però ci si accorse che anche il liquido che si otteneva pressando gli ingredienti fermentati era buono e saporito.

Gli abitanti di Yuasa chiamarono questo composto delizioso e saporito tamari, una parola che significa “accumulare” e che oggi indica anche un’altra salsa a base di soia molto usata, prodotta senza l’utilizzo del grano; così applicarono la procedura che si impiegava per ottenere il miso – con qualche differenza – per ricavare un prodotto più diluito, che diventò la base della salsa di soia giapponese tradizionale. Per farla servono sostanzialmente quattro ingredienti: fagioli di soia, grano, sale e acqua.

Fagioli di soia, grano e sale, che assieme all’acqua sono gli ingredienti usati per produrre la salsa di soia (EPA/ Everett Kennedy, via ANSA)

I fagioli di soia cotti al vapore vengono schiacciati insieme al grano tostato e poi mescolati al koji-kin (Aspergillus oryzae), un fungo che serve per avviare il processo di fermentazione. Il composto viene lasciato per tre o quattro giorni in una stanza sigillata con temperatura costante, dove i cereali germinano e viene favorita la fermentazione. A questo punto il composto viene versato in grossi barili di legno assieme ad acqua e sale dove, secondo il procedimento tradizionale, resta per un periodo che va da almeno diciotto mesi fino a tre anni e mezzo, acquisendo il suo caratteristico sapore.

In questo periodo il composto non resta completamente a riposo, ma dev’essere mescolato regolarmente con lunghi mestoli di legno; trascorso il tempo necessario, viene adagiato su teli di tessuto e pressato per estrarne il liquido. L’ultimo passaggio prevede di riscaldare lentamente la salsa in un calderone di metallo per circa mezza giornata per fermare la fermentazione; a quel punto la salsa è pronta per essere imbottigliata e venduta.

Nel momento di massimo splendore, tra l’inizio del Diciassettesimo secolo e la fine del Diciannovesimo, a Yuasa c’erano circa 90 aziende produttrici di salsa di soia, più o meno una ogni dieci abitanti di allora. Una di queste è la Kadocho, fondata nel 1841 e ancora attiva. Kadocho è tra le più antiche del Giappone, è a conduzione familiare ed è gestita da Tsunenori Kano, che in un’intervista data a BBC Travel ha raccontato che il procedimento per ottenere la sua salsa di soia è ancora in gran parte manuale e segue più o meno la ricetta che 750 anni fa fu diffusa nelle altre zone del Giappone lungo la via del pellegrinaggio Kumano Kodo, uno dei cammini spirituali più antichi e famosi del paese.

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Oggi solo l’1 per cento della soia prodotta nelle circa 1.200 aziende attive in Giappone viene prodotto in maniera tradizionale, ha detto sempre a BBC Keiko Kuroshima, che nel 2015 ha scritto un libro sull’argomento. Una delle differenze è la proporzione di fagioli di soia e grano tostato, che solitamente per la soia industriale è metà e metà mentre in quella di Kadocho prevede un maggiore impiego dei primi. I barili di legno, poi, sono essenziali per ottenere il sapore complesso della salsa artigianale, che viene conferito dalla presenza dei microrganismi che ci vivono; la salsa di soia commerciale viene invece prodotta in barili di acciaio inossidabile e spesso si ottiene con metodi artificiali che accelerano la fermentazione.

Il composto da cui si ricava la salsa di soia viene riscaldato nell’azienda di Kano (EPA/ Everett Kennedy via ANSA)

Nel 2017 Yuasa venne inclusa dall’agenzia per gli Affari culturali del Giappone Yuasa tra i siti considerati patrimonio culturale nazionale in quanto luogo di nascita della salsa di soia giapponese: sono tutelati più di 300 edifici tradizionali tra cui cinque aziende produttrici di salsa di soia e sei di miso Kinzanji, che sono ancora attive.

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