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  • Sabato 9 aprile 2022

Le elezioni presidenziali francesi, in breve

Si vota oggi: cosa dicono i sondaggi, chi sono i candidati e le candidate principali e che aria tira

Manifesti elettorali a Ciboure, 31 marzo 2022 (AP Photo/Bob Edme)
Manifesti elettorali a Ciboure, 31 marzo 2022 (AP Photo/Bob Edme)

Domenica 10 aprile si vota per il primo turno delle presidenziali francesi. Tra i dodici candidati, solamente tre superano nei sondaggi il 15 per cento delle intenzioni di voto e a poche ore dall’apertura dei seggi si preannuncia dunque una riedizione delle precedenti elezioni, quando al ballottaggio finirono l’attuale presidente Emmanuel Macron e la candidata dell’estrema destra Marine Le Pen. Nel 2017 Macron prese il doppio dei voti dell’avversaria, mentre oggi, stando ai sondaggi, lo scarto fra i due è decisamente più ridotto.

Tempi e numeri
Il primo turno delle presidenziali sarà il 10 aprile e se nessuno o nessuna raggiungerà la maggioranza assoluta dei voti, il prossimo 24 aprile si terrà il ballottaggio tra i due candidati più votati. In alcuni dipartimenti e comunità d’oltremare la votazione sarà invece anticipata di un giorno, dunque il 9 ed eventualmente il 23 aprile, per tener conto della differenza di fuso orario.

Un uomo con un manifesto elettorale di Emmanuel Macron, Sucé-sur-Erdre, nel dipartimento della Loira Atlantica, 22 marzo 2022 (AP Photo/Jeremias Gonzalez)

I risultati provvisori saranno comunicati in serata, a partire dalle 20 quando chiuderà l’ultimo seggio. L’insediamento del nuovo presidente dovrà poi avvenire entro e non oltre l’ultimo giorno del mandato del presidente uscente, ovvero il 13 maggio.

I candidati e le candidate
I candidati e le candidate alle presidenziali francesi sono dodici in totale. Quattro di loro sono di estrema sinistra (Jean-Luc Mélenchon, Nathalie Arthaud, Fabien Roussel e Philippe Poutou) e tre sono di estrema destra (Marine Le Pen, Éric Zemmour e Nicolas Dupont-Aignan).

La sinistra più tradizionale ha invece faticato molto ad arrivare alle elezioni: un decennio fa controllava la presidenza, entrambe le camere del parlamento e la maggior parte delle regioni e delle grandi città, ma oggi è in profonda crisi. Il Partito Socialista, uno dei principali partiti della tradizione politica francese, ha candidato Anne Hidalgo, attuale sindaca di Parigi molto rispettata a livello internazionale che è però bassissima nei sondaggi: al di sotto anche della soglia minima per ottenere il rimborso delle spese per la campagna elettorale da parte dello stato.

Valérie Pécresse è la candidata dell’altro partito che per lungo tempo è stato al centro della politica del paese, Les Républicains, di destra: dopo aver vinto le primarie interne contro Éric Ciotti, esponente dell’ala più vicina all’estrema destra, Pécresse si è buttata a sua volta sempre più a destra spiazzando così gran parte del suo elettorato.

– Leggi anche: La candidata dei Repubblicani alle presidenziali francesi è sempre più estrema

I Verdi, attraverso le primarie, hanno candidato Yannick Jadot. Jean Lassalle, dopo aver lasciato il movimento centrista MoDem, si presenterà con il suo nuovo partito, Résistons. Infine c’è il presidente uscente Emmanuel Macron de La République en Marche.

I candidati principali, cioè più alti nei sondaggi, sono comunque tre: Macron, Le Pen e Mélenchon.

Tre cose che dicono i sondaggi
Emmanuel Macron è al primo posto, ma il suo margine di vantaggio si è via via ridotto. È aumentato invece il consenso per la candidata di Rassemblement National, Marine Le Pen, che nelle ultime settimane ha raccolto il sostegno di elettori ed elettrici che prima avevano dichiarato di voler votare per Éric Zemmour.

Sondaggio dell’Istituto Ifop. Agli ultimi posti ci sono Nicolas Dupont-Aignan con il 2 per cento, Philippe Poutou con lo 0,5 per cento e Nathalie Arthaud sempre allo 0,5 per cento.

Un altro dato che da giorni gli osservatori stanno commentando è quello dell’affluenza. Tradizionalmente, quella per le presidenziali francesi è piuttosto significativa: nel 2017, al primo turno, andò ad esempio a votare circa il 78 per cento degli elettori e delle elettrici. Il record di astensione al primo turno di un’elezione presidenziale fu nel 2002 quando andò a votare poco più del 71 per cento della popolazione che ne aveva diritto. Fu anche quando per la prima volta l’estrema destra – rappresentata al tempo dal padre di Marine Le Pen, Jean-Marie Le Pen – andò al ballottaggio (ma poi vinse Jacques Chirac).

Sebbene le ricerche più recenti dicano che l’interesse per la campagna elettorale in sé non sia inferiore rispetto al passato, quest’anno il record negativo di affluenza alle urne del 2002 potrebbe essere battuto.

Sondaggio Ifop

I sondaggi dicono infine che Macron vincerebbe al ballottaggio in qualsiasi caso. Il margine più basso ce l’avrebbe proprio con la candidata che ha più possibilità di passare al secondo turno, ossia Le Pen.

Tuttavia, in molti dicono che potrebbe essere prematuro dare per scontata la vittoria di Macron.

I sostenitori di Jean-Luc Mélenchon hanno dichiarato di essere molto incerti sul voto del secondo turno se, come sembra probabile, il loro candidato ne sarà escluso. E va tenuta presente la consolidata mobilitazione dei conservatori e dell’estrema destra, oltre che dell’alto tasso di astensione che potrebbero contribuire alla possibilità di un esito differente da quel che ci si aspetta.

Sondaggio EURACTIV France del 4 aprile 2022

“Né di destra né di sinistra”: funzionerà ancora?
Macron ha voluto fare della sua ricandidatura ufficiale alle presidenziali «un non-evento». L’ha annunciata con una lettera pubblicata sui giornali lo scorso 3 marzo in cui ha subito chiarito che non avrebbe potuto condurre la campagna elettorale come avrebbe voluto «a causa del contesto», a causa cioè dell’invasione russa dell’Ucraina.

Così è stato, tanto che i giornali francesi hanno parlato di una «campagna fantasma», nella quale Macron ha comunque occupato una posizione unica: è il principale candidato, è il favorito, è il presidente della Repubblica francese e la Francia è anche il paese che ha assunto la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea, cosa che attribuisce allo stesso Macron ulteriori responsabilità e possibilità di visibilità e azione.

Macron si è dunque inserito nella campagna per le presidenziali con un grande vantaggio: quello di non aver dovuto rendere centrale, nella discussione, il bilancio del suo precedente mandato e quello di aver potuto trasformare in un criterio fondamentale per la futura scelta di elettori ed elettrici la sua capacità e la sua possibilità in quanto presidente di affrontare la grave crisi in corso.

Se questa condizione in un primo momento l’ha avvantaggiato (aveva superato la soglia del 30 per cento nei sondaggi, con l’inizio della guerra in Ucraina), via via ha invece perso consensi.

Emmanuel Macron tra Boris Johnson e Joe Biden, Bruxelles, 24 marzo 2022 (Brendan SMIALOWSKI / POOL / AFP)

«C’è qualcosa che Macron non ha fatto abbastanza: una vera campagna elettorale», ha scritto ad esempio Politico. È stato anzi accusato di aver usato la guerra in Ucraina per evitare il confronto con gli altri candidati e candidate rifiutandosi per esempio di prendere parte ai tradizionali dibattiti televisivi, ha partecipato a un numero molto limitato di eventi pubblici, e del suo programma si è detto principalmente che è stato assemblato prendendo un po’ di proposte dai partiti di sinistra e parecchie altre da quelli di destra (Valérie Pécresse l’ha recentemente rimproverato di aver usato la «fotocopiatrice»).

Nel 2011, quando era un giovane dirigente della Rothschild & Cie Banque, una banca d’affari del gruppo Rothschild, Emmanuel Macron pubblicò un lungo testo dedicato a ciò che ci si poteva e doveva aspettare dalle presidenziali dell’anno successivo. Parlò della necessità di «restituire all’ideologia» un posto nel dibattito pubblico, disse che «il discorso della politica» non poteva «essere solo un discorso tecnico», ma «una visione della società e della sua trasformazione» e che la sua finalità era «proporre un altro mondo»: «Ci aspettiamo che i politici raccontino grandi storie», concludeva.

Dieci anni dopo, ha scritto Le Monde, l’attuale presidente della Repubblica francese ha faticato a imporre questa “grande storia”. «Dal 2017 ha attivato una strategia della neutralizzazione», ha commentato Raphaël Llorca della Fondazione Jean Jaurès, un centro studi francese associato al Partito Socialista, e autore di un libro su Macron. A quella precisa strategia corrispondevano, allora, una riflessione politica ben precisa e la critica di quelli che lui stesso aveva definito «i blocchi»: i due grandi partiti della tradizione politica della Francia che a suo dire paralizzavano il paese.

Macron si era dunque presentato da indipendente, aveva evitato qualsiasi definizione, diceva di non essere «né di destra né di sinistra», aveva mescolato apprezzamenti alle riforme di mercato con appelli all’unità sociale. «Voleva farci credere che tutti avessimo gli stessi valori, spoliticizzando il dibattito», ha detto la politologa Chloé Morin, contribuendo così ad apparire adattabile a diverse aree politiche.

Ma oggi quella stessa strategia «sa solo di tattica», commenta Le Monde, perché è piuttosto evidente come il posizionamento del presidente uscente si sia decisamente spostato a destra.

Il rifiuto verso Macron è la vera forza di Marine Le Pen?
Chi è invece stata più abile di Macron nell’allargare il proprio consenso è Marine Le Pen. Poco meno di un anno fa, in uno studio molto citato in questi giorni, la Fondazione Jean-Jaurès aveva parlato della «possibilità significativa» che la candidata di estrema destra potesse diventare presidente se almeno una delle tre seguenti condizioni fosse stata soddisfatta: se la sua figura si fosse normalizzata nella percezione dell’opinione pubblica, se si fosse manifestata una maggiore porosità tra elettori di estrema destra e elettori di destra, dunque di Les Républicains, e se il rifiuto nei confronti di Emmanuel Macron avesse raggiunto gli stessi livelli di quello di Le Pen. «A tre giorni dal primo turno, ci siamo quasi», commenta Libération.

Marine Le Pen a Reims, 5 febbraio 2022 (AP Photo/Michel Euler)

Le Pen ha lavorato molto sulla sua “de-diavolizzazione” per dare a sé stessa e al suo partito un’immagine più moderata e rassicurante, tanto da poter dichiarare dalla prima pagina de Le Figaro: «Sono pronta a governare». In una lunga intervista particolarmente benevola nei suoi confronti, appare sorridente, in una posa quasi ufficiale che ricorda la foto di Macron appesa negli uffici dei sindaci. Facilitata dagli estremismi di Zemmour, Le Pen ha di fatto guadagnato, a dispetto del suo programma che resta di estrema destra, una posizione più centrale nello spettro politico. Contemporaneamente il partito della destra moderata francese, Les Républicains, e il partito di Macron sono diventati sempre più di destra, nei toni e nei contenuti.

Il che porta direttamente alla seconda condizione segnalata dai ricercatori della Fondazione Jean-Jaurès: alla “porosità” tra destra ed estrema destra, cioè al fatto che sempre più elettori che un tempo potevano essere considerati moderati ora sembrano pronti a votare per candidati con posizioni più radicali.

– Leggi anche: Marine Le Pen potrebbe vincere?

Il terzo punto che potrebbe favorire Le Pen è la possibile rottura del fronte contro l’estrema destra che potrebbe verificarsi al ballottaggio. Nel 2017, secondo Ipsos, più della metà degli elettori di Mélenchon aveva votato Macron per fermare Le Pen. È credibile pensare, si chiede Libération, che una volta che il pericolo si ripresenterà, molti di quegli elettori accetteranno di nuovo questo compromesso? O il rifiuto suscitato da Macron sarà troppo grande per far accettare agli elettori di votarlo solo per fermare Marine Le Pen? Macron è particolarmente odiato e il suo mandato è stato segnato da grandi manifestazioni e proteste sociali: questo, secondo molto osservatori, renderà più difficile per parte della sinistra votare il presidente uscente al secondo turno.

A tutto questo va aggiunto che mentre Macron era impegnato a parlare con il presidente russo Vladimir Putin e a incontrare i leader mondiali, Le Pen ha portato avanti un’efficace campagna elettorale continuando a insistere sui problemi della vita quotidiana dei francesi, come il prezzo del carburante e il potere d’acquisto delle persone. «Le Pen ha fatto una campagna di prossimità, visitando molte piccole città e villaggi. I suoi viaggi non sono stati molto seguiti dalla stampa nazionale, ma hanno avuto una grande eco sui media locali», ha spiegato Mathieu Gallard, di Ipsos. «Ha dato un’impressione di vicinanza, che è molto importante per gli elettori francesi».

Allo stesso tempo, e a differenza del suo rivale di estrema destra Éric Zemmour, Le Pen è riuscita a non restare bloccata nel dibattito sulla guerra in Ucraina, facendo passare in secondo piano i suoi legami di lunga data con Putin e mettendo al centro del dibattito il suo programma economico.

Nel 2017 Macron vinse al secondo turno con circa il 66 per cento dei voti, quasi il doppio del sostegno raccolto da Le Pen. Come scrive Politico, sebbene questa volta non ci sia un singolo sondaggio che dia Le Pen come vincitrice, avere la candidata di estrema destra al secondo posto con un margine così ristretto costituirebbe comunque un importante cambiamento nel panorama politico francese.

Jean-Luc Mélenchon 2.0
Nei mesi scorsi ci sono state moltissime candidature nell’area politica della sinistra e dell’estrema sinistra, ma la più popolare (anche a dispetto di una partecipata “primaria” organizzata dal basso) è risultata quella di Jean-Luc Mélenchon. Ha 70 anni, è il candidato de La France Insoumise e nei sondaggi del primo turno è dato in terza posizione.

La sua campagna elettorale è andata bene e se ne è parlato molto soprattutto per l’uso di ologrammi che gli hanno permesso di tenere comizi in contemporanea in diverse città del paese.

La campagna per le elezioni presidenziali di Mélenchon è stata definita “rassicurante”. Quando, ancora oggi, i suoi avversari lo rimproverano per il furore che lo ha contraddistinto negli anni passati, in cui le sue posizioni erano molto più radicali, lui rimane sorpreso. «Non riesco a trovarlo», ha risposto mercoledì 30 marzo su France Inter, quando Anne Hidalgo lo accusava di voler creare del «caos» nel paese. Di mese in mese, Mélenchon ha fatto di tutto per allontanare quell’immagine dal suo presente, dando di sé, stavolta, un’immagine molto tranquillizzante.

Questa scelta di immagine non è andata di pari passo con l’elettorato che lo sostiene e che secondo gli analisti si è leggermente modificato. Se nel 2017 Jean-Luc Mélenchon aveva ottenuto un sostegno praticamente simile all’interno delle cosiddette professioni intermedie, tra gli operai e gli impiegati, oggi le intenzioni di voto di operai e impiegati sono inferiori a quelle delle professioni intermedie. Risultato: il voto di Mélenchon non è né di classe né popolare. Dal punto di vista delle fasce di età, risulta poi essere molto popolare tra i giovani.

Durante la campagna elettorale Mélenchon si è rivolto a diverse tipologie di elettori: ai delusi di Macron, agli ambientalisti di Yannick Jadot e agli arrabbiati «ma non ai fascisti» che vogliono votare Le Pen. Ha insistito soprattutto sulle questioni sociali, ha parlato di scuola e di “rivoluzione femminista” («Troveremo un miliardo per porre fine alla violenza di genere, alla violenza sessuale e ai femminicidi. E se dovremo trovarne due, di miliardi, li troveremo»).

Ciò che secondo gli analisti ha invece penalizzato Jean-Luc Mélenchon è la sua posizione sulla guerra in Ucraina che i suoi detrattori gli rinfacciano quotidianamente, ricordandogli la vicinanza dimostrata in passato nei confronti di Vladimir Putin.