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  • Mercoledì 6 aprile 2022

C’è una nuova condanna all’ergastolo per la strage di Bologna

Paolo Bellini, già coinvolto nelle indagini dei primi anni Ottanta, è stato condannato in primo grado come quinto autore dell'attentato

L'identikit dell'uomo che si allontanò velocemente dal luogo della strage il 2 agosto 1980 e il fotogramma del video girato immediatamente dopo lo scoppio della bomba. L'uomo, secondo la sentenza di oggi, sarebbe Paolo Bellini. (Ansa)
L'identikit dell'uomo che si allontanò velocemente dal luogo della strage il 2 agosto 1980 e il fotogramma del video girato immediatamente dopo lo scoppio della bomba. L'uomo, secondo la sentenza di oggi, sarebbe Paolo Bellini. (Ansa)

Mercoledì Paolo Bellini, ex militante fascista esponente del gruppo Avanguardia Nazionale, è stato condannato in primo grado all’ergastolo con un anno di isolamento diurno per concorso nella strage alla stazione di Bologna, avvenuta il 2 agosto 1980. Bellini, 68 anni, è il quinto condannato come esecutore della strage. Prima di lui, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro erano stati condannati in via definitiva all’ergastolo mentre, in un altro processo, Luigi Ciavardini era stato condannato, sempre in via definitiva, a 30 anni. In un altro procedimento ancora, Gilberto Cavallini, anche lui ex terrorista fascista, è stato condannato in primo grado all’ergastolo. Cavallini deve già scontare otto ergastoli per omicidi commessi come militante dei Nar, Nuclei armati rivoluzionari, la formazione neofascista fondata negli anni Settanta da Valerio Fioravanti.

Il processo a Bellini era iniziato nell’aprile del 2021. È noto come “il processo ai mandanti” della strage del 2 agosto 1980, quando alle 10.25 nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna esplose una valigia con all’interno T4, tritolo e gelatinato (cioè nitroglicerina). Morirono 85 persone.

Secondo l’accusa Bellini avrebbe compiuto la strage in concorso con le altre persone già condannate e con Licio Gelli, fondatore e capo della loggia massonica segreta P2, Umberto Ortolani, faccendiere e braccio destro di Gelli, Federico Umberto D’Amato, direttore dell’Ufficio affari riservati del ministero dell’Interno, e Mario Tedeschi, politico eletto con l’allora Movimento Sociale Italiano (MSI) e storico direttore del giornale di destra Il Borghese. Gelli, Ortolani, Tedeschi e D’Amato sono morti. Nel processo conclusosi oggi sono state presentate carte sequestrate tra la villa di Gelli a Castiglion Fibocchi (Arezzo) e la Svizzera, dove Gelli scappò dopo che la loggia segreta P2 fu scoperta.

Nelle carte è annotato un versamento di 850mila «come anticipo» (non è chiaro se si trattasse dii dollari o altro), pagato alla vigilia della strage su conti esteri a una persona che secondo l’accusa sarebbe stato Federico Umberto D’Amato. Altre note testimonierebbero bonifici a vari esponenti della destra eversiva. Tra i documenti c’è anche un verbale riservato in cui gli avvocati di Gelli, in visita al ministero dell’Interno, intimavano nel 1987 di andarci piano con le indagini sulla strage della stazione, altrimenti «lui avrebbe tirato fuori gli artigli».

Con Bellini sono stati condannati anche l’ex carabiniere Piergiorgio Segatel, sei anni per depistaggio, e Domenico Catracchia, amministratore di condominio di immobili in via Gradoli a Roma, quattro anni per false informazioni al pubblico ministero al fine di sviare le indagini. Via Gradoli è tra l’altro famosa per essere il luogo dove si trovava uno dei covi delle Brigate Rosse durante il sequestro di Aldo Moro. Secondo quanto emerso durante i processi, gli appartamenti utilizzati come covi erano di società immobiliari che sarebbero in qualche modo riconducibili ai servizi segreti.

Il nome di Paolo Bellini era già comparso nelle indagini sulla strage all’inizio degli anni Ottanta. La polizia aveva infatti diffuso l’identikit di un uomo che era stato visto allontanarsi in tutta fretta dalla zona. Gli stessi investigatori avevano indicato la forte somiglianza dell’identikit con il «noto estremista di destra Paolo Bellini». Fu però l’allora moglie di Bellini, Maurizia Bonini, a scagionarlo: disse che suo marito non poteva essere a Bologna alle 10.25 del 2 agosto 1980 perché alle 9.30 era ancora a Rimini, in partenza per le vacanze con la famiglia.

Il nome di Bellini saltò nuovamente fuori durante il processo a Gilberto Cavallini, tre anni fa. Gli avvocati dell’Associazione familiari vittime della strage portarono in aula un video che mostrava gli effetti devastanti della bomba, con i morti, i feriti, le macerie. Di questo video la polizia aveva repertato 25 fotogrammi, ne mancavano però stranamente sette. Cercando tra i faldoni dell’inchiesta i sette fotogrammi mancanti saltarono fuori. Dietro una colonna, poco dopo lo scoppio della bomba, si vedeva un uomo con i baffi. Ancora una volta la somiglianza con Bellini era evidente.

Una fotografia scattata poco dopo l’esplosione alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980 (Ansa)

Venne riconvocata in Procura l’ex moglie di Bellini che ammise di aver mentito. Disse: «Pensavo volessero incastrare mio marito, solo dopo ho scoperto che aveva una vita parallela da criminale. La verità è che Paolo la mattina del 2 agosto arrivò a Rimini molto tardi. L’uomo nel video è lui, sicuramente. Lo riconosco dalla fossetta sulla guancia».

La moglie non ne conosceva la doppia vita eppure già negli anni Settanta nella sua città, Reggio Emilia, Paolo Bellini, figlio di un noto fascista, era parecchio conosciuto sia come esponente di estrema destra sia come ladro di opere d’arte. Nel 1976 fuggì dall’Italia dopo aver tentato di uccidere l’ex fidanzato della sorella. Tornò in Italia nel 1978 con un’identità falsa fornitagli da Avanguardia Nazionale: quella del brasiliano Roberto Da Silva.

Ecco cosa aveva raccontato al Post Giovanni Vignali, giornalista, autore del libro L’uomo nero e le stragi, proprio su Bellini:

«Bellini andò a vivere a Foligno dove ottenne il porto d’armi e brevetto di volo, cosa piuttosto strana per un ragazzo che arrivava dal Brasile e che non aveva nessun motivo per dovere o potere girare armato. In aereo, preso il brevetto, volava con un amico di suo padre, Ugo Sisti, procuratore di Bologna. Il procuratore di Bologna si accompagnava a un latitante. E accadde anche che dopo la strage di Bologna il Procuratore Sisti invece di restare a Bologna decise di andare a rilassarsi in montagna. E andò nell’albergo La Mucciatella, di proprietà della famiglia Bellini, sopra Reggio Emilia. Lì lo trovarono i poliziotti che erano arrivati per una perquisizione».

Bellini entrò di nuovo in carcere nel 1981 quando venne arrestato perché trovato alla guida di un camion carico di mobili rubati. In carcere entrò in contatto con ambienti mafiosi, e fu accusato di essere uno degli ispiratori degli attentati mafiosi al patrimonio artistico del 1993, che colpirono Firenze, Roma e Milano. Finita di scontare la pena per il furto dei mobili, di Bellini non si sentì più parlare fino al 1999 quando venne di nuovo arrestato come sicario, in Emilia-Romagna, per conto di Nicola Vasapollo, ‘ndranghetista del clan dei Dragone-Grande Aracri, uno scissionista in guerra con il suo vecchio clan.

Bellini si pentì e disse di voler collaborare con i magistrati. Ammise 13 omicidi, non tutti di matrice mafiosa. Confessò di aver assassinato il militante di Lotta Continua Alceste Campanile, ucciso a Reggio Emilia il 12 giugno 1975.

Riguardo alla strage di Bologna, Paolo Bellini si è sempre dichiarato innocente. Ha detto: «Sono un assassino, un ladro, ma con la strage non c’entro nulla». Dopo la lettura della sentenza, il sindaco di Bologna Matteo Lepore ha detto:

«Quello che queste condanne sanciscono rappresenta un baratro dell’umanità, che ha toccato la storia politica e istituzionale del nostro Paese. Questa condanna dimostra un filo nero che collega una strategia eversiva che ha tenuto in scacco il nostro Paese per molti anni e gli ha rubato la libertà, inquinando la vita stessa dei cittadini italiani. Questa condanna dice che il 2 agosto non è soltanto una questione di Bologna, ma dell’intero nostro Paese. Credo che le coscienze politiche e istituzionali debbano seriamente riflettere su questo risultato».