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  • Lunedì 4 aprile 2022

La fine di questi Los Angeles Lakers?

Sconfitte e infortuni hanno dimostrato come la squadra di LeBron James non funzioni più

LeBron James, Anthony Davis e Russell Westbrook dei Los Angeles Lakers (Kevork Djansezian/Getty Images)
LeBron James, Anthony Davis e Russell Westbrook dei Los Angeles Lakers (Kevork Djansezian/Getty Images)

A tre partite dal termine della stagione regolare e quindi dall’inizio dei playoff del campionato di basket NBA, i Los Angeles Lakers di LeBron James, campioni due anni fa, sono vicini all’eliminazione. Dopo la sconfitta subita domenica contro Denver — la sesta consecutiva – dovrebbero recuperare più di una vittoria ai San Antonio Spurs, attualmente decimi e quindi virtualmente qualificati ai play-in, gli spareggi in gara unica che garantiscono gli ultimi due posti ai playoff.

Nonostante abbiano ancora qualche minima speranza di farcela, lo scetticismo è evidente e dopo le ultime sconfitte si sta notando anche negli stessi giocatori. Anthony Davis, il centro che insieme a James è il giocatore più simbolico e importante della squadra, domenica è sembrato rassegnato: «Abbiamo messo assieme questa squadra che sulla carta sembrava forte, ma non abbiamo mai avuto la possibilità di raggiungere il nostro potenziale con tutti questi infortuni. La parte più frustrante di questa stagione è non aver mai conosciuto il nostro potenziale».

La situazione di Davis riassume un po’ quella di tutta la squadra. Insieme a James è la sua colonna portante, il simbolo delle ambizioni e della sua competitività. Più giovane di otto anni del quattro volte campione NBA, nei piani della dirigenza avrebbe dovuto essere il suo alter ego e successore, ma è da sempre piuttosto propenso agli infortuni e in questa stagione è stato il giocatore più assente dei Lakers. Il suo ingaggio nel 2019 fu decisivo nel titolo vinto nella “bolla” di Orlando, ma pesò molto sia economicamente (prenderà almeno 189 milioni di dollari in cinque anni) che sul futuro della squadra, che per lui rinunciò a due giocatori promettenti come Lonzo Ball e Brandon Ingram, oltre a tre prime scelte ai successivi draft.

Anthony Davis nella sconfitta contro i Denver Nuggets (Sean M. Haffey/Getty Images)

Dal titolo vinto nel 2020, i Lakers si sono rinnovati spesso ma non sono riusciti a prendere una vera e propria direzione. Tra le cose che la dirigenza ha provato a risolvere, la principale riguardava LeBron James, la cui sola presenza continua ancora ad alzare il livello. James però ha 37 anni compiuti e da tempo viene fermato da problemi fisici sempre più frequenti. Per mantenere la sua centralità nei momenti decisivi della stagione, la scorsa estate i Lakers avevano pensato di ingaggiare Russell Westbrook da Washington, un giocatore (nato e cresciuto a Los Angeles) in grado di contribuire su più fronti ad altissimi livelli, ma talvolta anche caotico, altalenante e non così efficace in alcune situazioni, su tutte quelle difensive.

Anche per questi motivi, Westbrook ai Lakers non sta funzionando come previsto e più che un aiuto a James spesso si è rivelato un ostacolo: alcune sue azioni personali concluse con errori sotto gli occhi di James, ignorato in altre zone del campo, sono diventate piuttosto emblematiche nel corso della stagione. Per averlo, inoltre, i Lakers avevano dato a Washington tre giocatori ampiamente utilizzati nelle ultime stagioni: Kyle Kuzma e Kentavious Caldwell-Pope, campioni nel 2020, e Montrezl Harrell.

In estate la squadra si era privata anche di altri due campioni del 2020, Markieff Morris e soprattutto Alex Caruso, un tuttofare non tra i più prestanti fisicamente, ma molto affidabile e dotato di una spiccata intelligenza tattica. Non a caso, Caruso è andato ai Chicago Bulls, che con una squadra rinnovata stanno disputando la loro miglior stagione da diversi anni a questa parte.

Al loro posto sono arrivati (o ritornati) tanti giocatori esperti e con una certa fama, come Carmelo Anthony, Dwight Howard, DeAndre Jordan e Trevor Ariza, che però hanno contribuito poco all’efficenza della squadra e alla sua coesione, la cui mancanza è stata spesso evidente in campo. Con gli altri già in gruppo, hanno inoltre reso i Lakers la squadra con l’età media più alta del campionato: 30 anni, contro i 26 di media di tutte le trenta squadre.

Se la squadra costruita in estate e poi aggiustata nel corso della stagione ha dimostrato più di un difetto nella sua composizione, l’età media avanzata ha contribuito ad abbassare le prestazioni nella fase cruciale della stagione regolare, con gli infortuni. James, attualmente infortunato, ha saltato 20 partite; Davis ne ha saltate 39 e sta giocando non ancora completamente guarito; Ariza (36 anni), ingaggiato per il suo contributo difensivo, non è servito a molto, dato che di fatto non si è visto per metà stagione. Come se non bastasse, gli infortuni hanno fermato anche i più giovani. Kendrick Nunn, per esempio, tra i migliori esordienti due stagioni fa, con i suoi 26 anni doveva ridare slancio al gruppo, ma a inizio anno si è infortunato e da allora non ha più giocato.

La seconda stagione negativa dei Lakers per ora dice 31 vittorie e 47 sconfitte in 78 partite. Se anche dovessero riuscire a strappare un posto ai play-in nelle prossime quattro partite contro Phoenix, Golden State, Oklahoma e Denver, è difficile pensare che possano poi proseguire nella fase finale del campionato. Nel frattempo i dubbi sul futuro del gruppo, tra età e infortuni, sono sempre più insistenti, così come quelli sulle posizioni dell’allenatore, Frank Vogel, che spesso si è attribuito la colpa di non aver saputo organizzare meglio la squadra, e del general manager Rob Pelinka, la figura principale dietro le strategie intraprese negli ultimi anni.

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