L’invasione dell’Ucraina nello Spazio

Le operazioni militari russe e le sanzioni stanno avendo ripercussioni sul luogo dove Occidente e Russia spesso collaborano di più, oltre l'atmosfera

di Emanuele Menietti

Giovedì l’Agenzia spaziale europea (ESA) ha sospeso ExoMars, la sua missione interplanetaria più importante e ambiziosa degli ultimi tempi che avrebbe dovuto eseguire in collaborazione con Roscosmos, l’agenzia spaziale russa. La sospensione è una conseguenza dell’invasione militare dell’Ucraina da parte della Russia ed è a oggi la dimostrazione più evidente di quanto ciò che accade sulla Terra possa influenzare piani e progetti in orbita e per l’esplorazione di mondi lontani.

Da ancora prima della fine della Guerra Fredda, la Russia collabora attivamente con i paesi occidentali nella gestione di varie attività nello Spazio, a cominciare dal mantenimento della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), il più grande laboratorio scientifico mai costruito in orbita. La Russia fornisce inoltre motori per alcuni razzi impiegati in Occidente e fino a pochi anni fa era l’unica nazione a rendere possibile il trasporto degli equipaggi verso la ISS.

Conflitti e problemi diplomatici in passato non avevano condizionato più di tanto le collaborazioni spaziali, ma diversi analisti nelle ultime settimane si sono chiesti se questa volta, davanti a una guerra in Europa e con le dure sanzioni occidentali, le cose possano andare diversamente.

ExoMars
Il lancio del robot automatico (rover) Rosalind Franklin, nell’ambito della missione ExoMars, era uno degli eventi più attesi di quest’anno e la prima grande opportunità per l’ESA di avere un proprio rover per esplorare il suolo marziano.

Compiere un atterraggio controllato su Marte non è semplice: fino a maggio dello scorso anno ci erano riusciti solamente gli Stati Uniti, che negli anni avevano inviato robot sempre più grandi e attrezzati come Perseverance, poi si era aggiunta la Cina con i successi della sua missione Tianwen-1.

Un modello del rover Rosalind Franklin (ESA)

Da parte europea c’era invece stato un tentativo dimostrativo non andato a buon fine con il lander (un robot che rimane fisso nella stessa posizione) Schiaparelli nel 2016, ma che era comunque servito per raccogliere dati e informazioni in vista dell’invio del rover Rosalind Franklin. Inizialmente l’ESA aveva cercato la collaborazione della NASA, che però aveva già altri piani per Marte legati soprattutto a Perseverance, e di conseguenza l’agenzia europea si era rivolta alla sua controparte russa, avviando una collaborazione.

Nei giorni subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina e l’avvio delle pesanti sanzioni economiche da parte dell’Occidente, con il relativo blocco di diverse attività industriali, l’ESA aveva definito «molto improbabile» il lancio della missione, previsto per il prossimo settembre dal cosmodromo di Baikonur in Kazakistan, su un razzo russo Proton gestito da Roscosmos.

Questa settimana il Consiglio ESA, che comprende i rappresentanti dei 22 stati membri, ha votato all’unanimità per sospendere la collaborazione con la Russia per ExoMars con un comunicato piuttosto duro sull’invasione militare dell’Ucraina. A causa del rinvio, il lancio non potrà essere svolto prima del 2024 (quando la distanza tra Terra e Marte sarà nuovamente favorevole), ma ci sono forti dubbi sulla possibilità di riorganizzarlo in tempi così brevi con partner diversi da Roscosmos.

I responsabili dell’ESA stanno valutando una collaborazione con la NASA per la missione, che ha mostrato nelle ultime settimane di essere disponibile a valutare nuovamente il piano. Il problema è che, oltre a occuparsi del lancio, Roscosmos avrebbe fornito anche il sistema per consentire al rover Rosalind Franklin di atterrare su Marte. Sviluppare in tempi rapidi una nuova piattaforma appare improbabile, e per questo la speranza di molti funzionari ESA è che la situazione possa sbloccarsi con la Russia nei prossimi mesi, anche se gli scenari geopolitici legati all’Ucraina sono al momento estremamente incerti.

David Parker, responsabile delle esplorazioni robotiche e con esseri umani dell’ESA, non è però sembrato molto ottimista: «Una riconfigurazione radicale [del progetto] ci porterebbe a un lancio nel 2026, quando ci sono due opportunità di lancio, oppure al 2028. Non penso riusciremo prima del 2026, e anche questa data è comunque sfidante».

Altre missioni
I problemi per l’ESA non si fermano solamente a ExoMars, considerato che tradizionalmente l’agenzia mantiene più collaborazioni con la Russia. Il 26 febbraio scorso Roscosmos ha deciso di sospendere tutte le proprie attività di lancio nella Guyana francese, mettendo in forse almeno cinque missioni europee comprese quelle per il lancio di due satelliti del sistema Galileo, alternativo al GPS statunitense.

L’ESA sta lavorando alla riorganizzazione dei lanci per quest’anno e sta valutando la possibilità di impiegare diversamente Ariane 6, il nuovo razzo europeo che dovrebbe compiere il proprio lancio inaugurale nella seconda metà di quest’anno.

Il lanciatore Ariane 6 in un’elaborazione grafica (ESA)

NASA e Russia
Nella prima era spaziale – grossomodo tra la fine degli anni Cinquanta e i primi Settanta – gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica trovarono nello Spazio una nuova area di scontro in cui mostrare ognuno la propria superiorità tecnologica ed espandere la propria influenza. Dopo l’allunaggio statunitense nel 1969, la concorrenza divenne via via meno serrata trasformandosi nella possibilità di nuove e insolite collaborazioni, sempre più frequenti dopo la fine della Guerra Fredda e del regime sovietico, al punto che oggi il principale partner degli Stati Uniti nello Spazio è proprio la Russia.

Ancora prima della collaborazione per gestire la ISS, i due paesi avevano lavorato a varie iniziative congiunte, orientate soprattutto a esplorare la possibilità di mantenere una stazione orbitale intorno alla Terra. I cosmonauti russi avevano fatto parte di alcuni equipaggi sugli Space Shuttle statunitensi e gli astronauti della NASA avevano fatto da passeggeri sulle Soyuz, i sistemi di trasporto per equipaggi della Russia.

Stazione Spaziale Internazionale (ISS)
Tra i due paesi e le due agenzie spaziali c’è quindi una consolidata storia di collaborazione, che ha trovato il proprio massimo nel mantenimento della ISS e nella gestione dei voli per raggiungerla.

Nel 2011 la NASA aveva infatti mandato in pensione gli Space Shuttle, gli unici che consentivano agli astronauti di viaggiare verso la ISS direttamente dal territorio statunitense. In attesa di avere un nuovo sistema di lancio, la NASA – come altre agenzie spaziali compresa l’ESA – si era affidata a Roscosmos, pagando ogni posto per i propri astronauti sulle Soyuz con svariati milioni di dollari. Solo un paio di anni fa, con l’avvio dei viaggi gestiti da SpaceX, gli Stati Uniti sono infine tornati a lanciare astronauti direttamente dal suolo statunitense, riducendo la propria dipendenza.

Un razzo Soyuz poco prima di partire dal cosmodromo di Baikonur in Kazakistan, il 20 luglio 2019 (AP Photo/Dmitri Lovetsky)

Per quasi dieci anni, l’Occidente è stato quindi strettamente dipendente dalla Russia per portare in orbita i propri astronauti. Ciò significa che nel 2014, quando la Russia aveva invaso la Crimea creando una grande crisi nei rapporti diplomatici, la NASA non aveva alternative per mantenere una presenza sulla ISS. All’epoca la collaborazione con Roscosmos proseguì sostanzialmente indisturbata, anche perché la portata delle sanzioni economiche nei confronti della Russia da parte dell’Occidente non era comparabile a quella attuale.

Le due agenzie avevano continuato a comunicare, a occuparsi della ISS e a condividere i piani per la sostituzione degli equipaggi, in una sorta di realtà parallela in cui i rapporti erano aperti e collaborativi come sempre, mentre i canali diplomatici erano sostanzialmente interrotti. Entrambe le parti avevano grandi interessi, economici e di prestigio, nelle attività spaziali e per questo si erano mostrate molto attente a non turbare gli equilibri almeno oltre l’atmosfera terrestre.

Minacce
In occasione dell’invasione russa dell’Ucraina e delle sanzioni occidentali le dichiarazioni sono state molto meno accomodanti, soprattutto da parte di Dmitry Rogozin, ex vice primo ministro della Russia e dal 2018 capo di Roscosmos. Oltre ad avere annunciato il ritiro di Roscosmos dalla Guyana francese non appena erano state attivate le prime sanzioni, Rogozin ha pubblicato numerosi tweet fortemente critici nei confronti dell’Occidente e insolitamente minacciosi sui temi della collaborazione internazionale nello Spazio.

Rogozin ha per esempio citato il razzo statunitense Atlas V, scelto per il lancio della nuova capsula Starliner di Boeing per il trasporto di astronauti, il cui primo stadio utilizza motori RD-180 progettati e costruiti in Russia. Annunciando che i tecnici russi non avrebbero offerto la loro collaborazione per il lancio ha commentato con un: «Preghiamo per i nostri amici americani!». Rogozin ha poi pubblicato numerosi contenuti a favore dell’invasione dell’Ucraina, compreso un video modificato di “Tom & Jerry” perché: «I nostri colleghi occidentali non conoscono né capiscono nulla di più serio dei cartoni».

In un’altra serie di tweet molto ripresa dai media, Rogozin aveva indirizzato alcuni messaggi al presidente statunitense Joe Biden, sostenendo che per mantenere la ISS nella corretta orbita servono le manovre di correzione realizzate dalle capsule russe di trasporto attraccate alla Stazione. In loro assenza, aveva spiegato, la ISS sarebbe potuta precipitare sulla Terra proprio sugli Stati Uniti o in altri continenti (Rogozin non aveva comunque esplicitamente minacciato di far cadere la ISS, come avevano titolato diversi giornali), anche se in realtà esistono alternative per regolare l’orbita della Stazione senza i sistemi russi.

A inizio marzo era stato molto ripreso dai media un video nel quale si vedevano alcuni cosmonauti che abbandonavano la ISS, lasciando a bordo un astronauta statunitense. Un’animazione mostrava inoltre il segmento russo della Stazione che si staccava e proseguiva da solo in orbita. Era chiaramente un video umoristico e lo stesso Rogozin lo aveva condiviso nel proprio canale Telegram definendolo tale, ma vista la delicatezza del tema e le altre reazioni della Russia sulle sanzioni era stato preso seriamente da molti.

Da allora e in varie circostanze Roscosmos ha assicurato che manterrà gli impegni assunti per il trasporto degli astronauti. Questo significa che il prossimo 30 marzo l’astronauta statunitense Mark Vande Hei, ormai in orbita da quasi un anno, potrà rientrare sulla Terra a bordo di una Soyuz russa senza problemi. Non è invece chiaro se verso fine anno due cosmonauti russi raggiungeranno la ISS a bordo di una capsula di SpaceX, nell’ambito di un lancio per la NASA.

Rogozin ha comunque dato seguito ad alcune minacce formulate finora nei confronti dei partner occidentali. Oltre al ritiro del proprio personale dalla Guyana francese, Roscosmos non ha gestito il lancio in orbita di alcuni satelliti per conto dell’azienda britannica OneWeb.

Prima del lancio, Rogozin aveva dato due giorni di tempo a OneWeb per promettere che i satelliti non sarebbero stati impiegati per scopi militari, chiedendo inoltre al governo del Regno Unito di rinunciare ai propri investimenti nell’azienda. Sembra uno dei tanti tweet bellicosi degli ultimi giorni, ma in seguito alla mancata risposta da parte di OneWeb, Roscosmos ha ritirato il proprio lanciatore Soyuz dalla rampa di lancio, annullando l’invio in orbita dei satelliti.

Motori
Con le sanzioni economiche occidentali, l’industria dello Spazio russa potrebbe subire non pochi danni, non potendo acquistare dall’estero componenti importanti per lo sviluppo delle proprie tecnologie. Anche per questo motivo, in segno di ritorsione, Roscosmos ha annunciato di non voler più vendere i motori per i razzi agli Stati Uniti, una pratica che seppure ridimensionata è attiva da metà anni Novanta.

Secondo Rogozin, in mancanza dei motori gli Stati Uniti potrebbero avere seri problemi con alcuni lanci, e per questo ha commentato la scelta con tono piuttosto sarcastico: «Lasciateli volare con qualcos’altro, con dei manici di scopa, non so». In realtà, la decisione non dovrebbe avere ripercussioni significative.

United Launch Alliance, la società che gestisce diversi lanci per conto della NASA, ha dichiarato di avere motori russi a sufficienza per gestire i prossimi lanci, in attesa di terminare lo sviluppo di un nuovo sistema che impiega motori costruiti negli Stati Uniti. Northrop Grumman, che lancia capsule per il trasporto di rifornimenti verso la ISS, potrebbe avere qualche problema in più e sta valutando le alternative. I rifornimenti interessano comunque sia gli equipaggi occidentali sia quelli russi, quindi non ci dovrebbero essere difficoltà per le missioni sulla Stazione.

La capsula da trasporto Crew Dragon di SpaceX in avvicinamento alla Stazione Spaziale Internazionale (NASA)

Tempo
L’imprevedibilità della situazione sulla Terra, con l’invasione dell’Ucraina, rende anche imprevedibile che cosa potrà accadere nei prossimi mesi nello Spazio. Le autorità russe sostengono che Roscosmos possa facilmente raggiungere una propria autonomia e fare affari con altre agenzie spaziali, ma non è chiaro quanta propaganda ci sia in dichiarazioni di questo tipo.

Il rinvio se non l’annullamento di alcune missioni congiunte con ESA, NASA e altre agenzie spaziali occidentali potrebbe comunque avere un impatto nella ricerca spaziale, che si aggiungerà a quello già registrato dopo due anni di pandemia. I tempi per un ritorno alla normalità potrebbero essere inoltre lunghi, in mancanza di un accordo diplomatico che metta fine all’invasione russa dell’Ucraina. Anche in presenza di un accordo, gli strascichi potrebbero essere comunque lunghi e strettamente legati alle sanzioni che continueranno a essere in vigore.