La siccità ha spento molte centrali idroelettriche

La produzione di energia è compromessa dall'eccezionale carenza di pioggia e neve, e i gestori chiedono aiuto al governo

(Autorità Distrettuale del fiume Po)
(Autorità Distrettuale del fiume Po)

In un anno normale, all’inizio di marzo le neve accumulata sulle Alpi durante l’inverno inizierebbe a sciogliersi ingrossando i torrenti, i fiumi e i laghi, bacini di acqua essenziali per la produzione di energia nelle oltre quattromila centrali idroelettriche attive in Italia. Ma il 2022 finora non è stato un anno normale. In molte regioni, soprattutto al Nord, non piove da oltre tre mesi: le montagne sono spoglie, i torrenti ridotti a rigagnoli, il livello dei laghi talmente basso che le centrali idroelettriche non riescono a pescare una quantità di acqua sufficiente a far girare le turbine. Condizioni così anomale non si vedevano da decenni, dicono molti operatori che sperano in un aumento delle precipitazioni che consenta la ripresa della produzione a pieno regime.

Se nelle prossime settimane non arriveranno piogge abbondanti, sarà a rischio la produzione di una quota di energia fino al prossimo autunno, con conseguenze non trascurabili per il fabbisogno energetico del paese in un periodo in cui i problemi di approvvigionamento sono aggravati dalla guerra in Ucraina. «La siccità che stiamo affrontando è unica da quando esistono i sistemi di misurazione», spiega Paolo Taglioli, direttore generale di Assoidroelettrica, l’associazione di categoria che rappresenta 427 operatori, circa il 40 per cento delle società del settore per energia prodotta. «Possiamo inventarci qualsiasi cosa, ma se non piove o nevica siamo impotenti».

Secondo gli ultimi dati pubblicati da Terna, l’operatore che si occupa della gestione delle reti per la trasmissione dell’energia elettrica, in Italia ci sono 4.654 centrali idroelettriche per un potenza totale di 21,7 gigawatt, che corrispondono circa al 40 per cento della potenza di tutte le fonti rinnovabili in Italia.

Il principio di produzione dell’energia idroelettrica è stato sempre lo stesso dalla fine dell’Ottocento, quando furono costruiti i primi impianti in Lombardia: le Alpi e in parte gli Appennini garantiscono le pendenze necessarie per far funzionare gli impianti ad alta produttività che per questo si trovano prevalentemente nelle regioni del Nord. Fino agli Sessanta del Novecento ci fu una notevole crescita sia per numero di centrali costruite, sia per quantità di energia prodotta. Dopo il disastro del Vajont, gli aumenti di produzione furono modesti e negli ultimi anni, nonostante l’esigenza di trovare fonti di energia pulite e alternative ai combustibili fossili, non c’è stata una crescita rilevante.

In termini di energia prodotta, nel 2020 l’idroelettrico ha raggiunto i 49,4 terawattora, il 17,6 per cento del fabbisogno nazionale da 280,5 terawattora, in crescita del 2,8 per cento rispetto al 2019. Il resto della produzione nazionale è stato garantito al 57,6 per cento da centrali termoelettriche alimentate con fonti non rinnovabili e al 24,7 per cento da eolico, geotermico, fotovoltaico e biomasse. La percentuale relativa all’idroelettrico potrebbe scendere nel 2022, se continuerà questa straordinaria siccità.

Al di là di qualche leggera pioggia arrivata negli ultimi giorni nel Nord Ovest, soprattutto in Piemonte, dall’inizio dell’anno la situazione è rimasta per lo più la stessa: i flussi atlantici che solitamente portano perturbazioni verso il mar Mediterraneo sono stati bloccati da insistenti anomali anticicloni, aree di alta pressione, generalmente associata al bel tempo. Rispetto a febbraio, nelle ultime due settimane le temperature si sono abbassate in gran parte delle regioni italiane, ma non sono arrivate precipitazioni se non al Sud, anche se piuttosto limitate.

L’anomalia ha aggravato una situazione già piuttosto critica a causa dei mesi di ottobre e novembre, molto secchi rispetto al solito. «Viene giustamente chiesto se arriveranno, almeno nel medio periodo, piogge significative al nord. La risposta, purtroppo, è sempre la stessa: no», ha scritto Giulio Betti, meteorologo del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e dell’AMPRO, l’associazione dei meteorologi professionisti. «Come ipotizzato, marzo non ha dato e probabilmente non darà un contributo. La situazione è oggettivamente difficile».

Nell’ultima riunione dell’osservatorio permanente sulle crisi idriche organizzata la scorsa settimana dall’autorità distrettuale del fiume Po sono stati diffusi alcuni dati inequivocabili: le registrazioni idrometriche, cioè le misurazioni del livello dell’acqua del grande fiume che attraversa le regioni del Nord, hanno raggiunto le quote più basse degli ultimi trent’anni. La situazione peggiore è stata segnalata a Piacenza, dove gli indicatori si sono fermati a quota -0,49 metri per 293 metri cubi al secondo, mentre a Pontelagoscuro, in provincia di Ferrara, l’acqua ha raggiunto quota -5,88 metri con 639 metri cubi al secondo. Minimi storici sono stati registrati anche a Boretto, in provincia di Reggio Emilia, e Borgoforte, in provincia di Mantova.

Secondo Arpa Lombardia, l’agenzia regionale di protezione ambientale di una delle regioni con più centrali idroelettriche, alla fine di febbraio le riserve idriche della regione, costituite dall’acqua contenuta nei grandi laghi e negli invasi artificiali, era il 53,5 per cento in meno rispetto alla media del periodo tra il 2006 e il 2020.

Nelle regioni del Nord, uno dei luoghi in cui la siccità si è manifestata in modo più evidente è il lago di Ceresole Reale, in alta valle Orco, in provincia di Torino. Il Centro Meteo Piemonte ha pubblicato su Facebook un confronto tra marzo 2021 e 2022: nella prima foto satellitare si nota la macchia azzurra del lago, nella seconda l’acqua ha lasciato spazio a una distesa di sabbia. Soltanto negli ultimi giorni, con l’arrivo della prima neve, il bacino è diventato bianco. Per riempirlo, però, serviranno altre precipitazioni consistenti.

La mancanza di acqua influisce direttamente sulla produzione di energia nelle centrali. Alcune sono ferme, altre hanno limitato la produzione al 10 per cento rispetto alla potenza totale. Molti altri operatori che sono riusciti a mantenere almeno in parte la produzione temono che gli effetti della siccità saranno ancora più evidenti nei mesi estivi. Taglioli spiega che con il livello dei fiumi così basso si andrà incontro a una stagione complicata: «I nevai sono scarni e non possiamo arrivare all’autunno in queste condizioni. L’unico luogo in Italia dove c’è una discreta scorta di acqua è l’Appennino tra l’Abruzzo e le Marche. Non ci resta altro che sperare nella pioggia e chiedere aiuto al governo».

Assoidroelettrica scriverà al presidente del Consiglio Mario Draghi e al capo del dipartimento della Protezione civile Fabrizio Curcio per chiedere il riconoscimento dello stato di calamità naturale, indispensabile per ottenere un sostegno economico e soprattutto per consentire ai gestori di sospendere le rate di mutui e leasing, il pagamento del canone idrico di concessione e dei sovracanoni, di due tipi nel caso delle centrali idroelettriche: il sovracanone per gli enti rivieraschi e quello dei i bacini imbriferi montani, consorzi di comuni più conosciuti con l’acronimo BIM.

L’associazione dei gestori ha chiesto al governo anche di rivedere il prelievo sugli extra profitti annunciato dal governo a fine gennaio per ridurre il costo delle bollette per le famiglie, inserito in un emendamento al decreto Sostegni ter, poi modificato e compreso nel decreto Antifrodi. Le nuove regole prevedono un meccanismo di doppia compensazione sul prezzo dell’energia elettrica per gli impianti di potenza superiore ai 20 kilowatt che non accedono agli incentivi e che sono stati aperti prima del 2010.

La centrale idroelettrica a Pizzighettone, in provincia di Cremona (ANSA/RAFFAELE RASTELLI)

In sostanza, il decreto prevede che chi gestisce impianti idroelettrici, e in generale impianti che sfruttano energia rinnovabile, non potrà guadagnare dalla variazione del prezzo del mercato. La doppia compensazione sarà amministrata dal GSE, il gestore dei servizi elettrici che avrà il compito di calcolare la differenza tra i prezzi di mercato attuali e il prezzo medio di vendita di ogni gestore dall’avvio degli impianti fino alla fine del 2021. Se i prezzi risultano inferiori alla media storica, il GSE verserà la differenza ai gestori. Se i prezzi saranno superiori, invece, i gestori dovranno versare la differenza al GSE.

Il problema, spiegano gli operatori, è che il prezzo dell’elettricità è cresciuto dalla fine dello scorso anno, e quindi quasi tutte le aziende dovranno pagare: secondo le stime della Ragioneria generale dello Stato, il meccanismo di compensazione potrebbe far incassare allo Stato 1,5 miliardi di extra profitti. Assoidroelettrica ha stimato una riduzione del 70 per cento dei ricavi. «Ho scritto a Draghi per spiegare la nostra situazione: con il prezzo dell’energia in crescita, chi produce energia rinnovabile dovrebbe essere sostenuto, non penalizzato», dice Taglioli. «Le aziende energivore sono in grado di trovare altri modi per compensare le perdite, noi anche volendo non possiamo».