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  • Venerdì 11 marzo 2022

La vicenda di Riccardo Moraschini, positivo all’antidoping per contaminazione indiretta

Il giocatore di basket dell’Olimpia Milano ha ricevuto una squalifica di un anno, e si è rassegnato a non poterci fare nulla

Riccardo Moraschini con l'Olimpia Milano (Claudio Grassi/LaPresse)
Riccardo Moraschini con l'Olimpia Milano (Claudio Grassi/LaPresse)

Lo scorso ottobre Riccardo Moraschini, giocatore dell’Olimpia Milano e della Nazionale italiana di basket, era risultato positivo a un controllo antidoping dopo un allenamento al Forum di Assago. Le analisi effettuate quel mese avevano trovato tracce di clostebol, uno steroide anabolizzante usato anche per favorire la cicatrizzazione delle ferite. Moraschini era stato di conseguenza sospeso come da prassi, e successivamente aveva denunciato un caso di contaminazione indiretta, essendo stato assiduamente a contatto con una persona che utilizzava uno spray cicatrizzante contenente la sostanza vietata.

Anche in base alle prove fornite da Moraschini, a novembre la Procura federale antidoping aveva proposto il patteggiamento a un anno di squalifica, giudicato però eccessivo dal giocatore — che puntava a una squalifica minima — che l’aveva quindi rifiutato, così come in precedenza aveva rifiutato le controanalisi per non allungare i tempi. A dicembre il Tribunale nazionale antidoping aveva infine accolto la richiesta della Procura federale a un anno di squalifica, entrata in vigore da allora, pur riconoscendo che la positività fosse dovuta a una contaminazione indiretta. Anche in questi casi, però, solitamente le sanzioni non vengono annullate (succede soltanto quando le tracce di sostanze proibite sono «trascurabili»), ma ridotte.

Moraschini ha 31 anni, gioca come guardia e prima di arrivare a Milano aveva disputato un’ottima stagione col Brindisi, al termine della quale aveva vinto il premio come miglior italiano del campionato. All’Olimpia non era un titolare, ma era tra i giocatori più importanti per le rotazioni della squadra, da anni ai vertici del basket italiano. Moraschini era stato anche tra i convocati dell’Italia alle Olimpiadi di Tokyo, in cui aveva giocato una decina di minuti a partita segnando otto punti contro la Germania.

A gennaio aveva parlato della sua vicenda al Resto del Carlino, a cui aveva detto: «È stato accertato senza ombra di dubbio che si sia trattato di una contaminazione, ma questo non è bastato a dimostrare la mia innocenza. Sono sempre stata una persona corretta e devo cancellare questa macchia che non mi appartiene e che non merito».

L’esito del ricorso presentato a gennaio contro la squalifica è arrivato il 10 marzo, e ha complicato ulteriormente il caso. Moraschini ha fatto sapere che nell’udienza dello scorso 18 febbraio non si è parlato del merito del ricorso, ma delle sue modalità: la Procura federale avrebbe fatto notare un vizio di forma nel procedimento, dato che da giocatore internazionale non avrebbe dovuto rivolgersi alla Corte d’appello nazionale, ma al Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna (TAS), l’organo che si occupa appunto di ricorsi in casi ritenuti di carattere internazionale.

Il ricorso è stato quindi giudicato inammissibile e la squalifica a un anno è rimasta in vigore. La stagione di Moraschini con l’Olimpia Milano può dirsi quindi conclusa, dato che un ricorso al TAS di Losanna impiegherebbe dai quattro ai sei mesi per essere esaminato, quindi ben oltre la conclusione della stagione in corso. Moraschini ha accettato l’esito del ricorso ma in un video pubblicato sui social network ha chiesto una riflessione sui tempi e le modalità del sistema antidoping per casi come il suo.