Quelli che vedono i film prima degli altri

I “test screening” servono a capire cosa piace e cosa no, eventualmente per cambiarlo, e riguardano la maggior parte delle cose che poi vediamo al cinema

(Sean Gallup/Getty Images)
(Sean Gallup/Getty Images)

Sebbene se ne parli e se ne sappia poco, nel cinema i test screening sono molto diffusi e spesso determinanti. In poche parole, sono le proiezioni preliminari per un campione di spettatori prima dell’uscita (in certi casi prima del completamento vero e proprio) di un film, per capire cosa piace e cosa no, a chi, e che reazioni genera, qualcosa di molto simile ai test che si fanno per capire se certi consumatori gradiscono nuovi prodotti commerciali. I test screenings cinematografici sono vecchi quasi quanto il cinema, e negli anni si sono sviluppati soprattutto nell’industria cinematografica hollywoodiana, caratterizzata da grandi attenzioni al marketing e alla profilazione degli spettatori, ma nel suo piccolo esiste anche in Italia.

«In un modo o nell’altro», ha scritto Nicholas Barber su BBC, «la maggior parte dei film mainstream ne è stata in qualche modo toccata». Così come molti altri nelle ultime settimane, Barber si è occupato di test screenings cinematografici in conseguenza della pubblicazione, a fine 2021, di Audience-ology, il libro-resoconto di Kevin Goetz, fondatore e amministratore di Screen Engine/ASI, una importante società statunitense di analisi cinematografica.

Nel libro, Goetz sostiene che il primo a pensare di mostrare film a pubblici di prova fu Harold Lloyd, attore, regista e produttore molto attivo soprattutto nel periodo del cinema muto. Goetz racconta come già nei primi anni Venti del Novecento Lloyd iniziò a testare certe scene per capire che reazione generavano, cosa che ben prestò iniziò a fare anche Buster Keaton, e poi molti altri ancora.

Di molti film si è persa traccia o memoria di cosa e perché fu tolto o aggiunto in seguito a qualche test screening, ma per altri ci sono invece resoconti o aneddoti su modifiche piuttosto influenti. Barber cita la prima scena di La La Land (quella con la gente che balla e canta nel traffico), l’ultima del Matrimonio del mio migliore amico (quella con il ballo di Julia Roberts e Rupert Everett), l’ultima di Attrazione fatale (quella del colpo di pistola) e questa scena dello Squalo.

«Sono tutte parti amatissime di amatissimi film, e hanno in comune il fatto di esserci finite grazie a voi, o quantomeno a qualcuno come voi. Nei loro montaggi iniziali, i registi non ce le avevano messe: furono girate, o recuperate da quelle tagliate, dopo che gli spettatori dei test screenings avevano detto la loro».

Nel caso di La La Land, la scena era stata girata e poi tagliata, ma fu ripristinata perché grazie alle proiezioni preliminari si capì che serviva palesare, tanto e subito, che il film era un musical, di quelli in cui di punto in bianco la gente si mette a cantare e ballare. Nel caso dello Squalo invece, fu il regista Steven Spielberg a capire che una scena come quella (girata in una piscina dopo una proiezione preliminare) poteva, a fronte di un modesto investimento di tempo e soldi (che mise di tasca sua), offrire un bello spavento in più.

Altri esempi riguardano Blade Runner, 007 – Vendetta privata, Titanic, Le ali della libertà, Quei bravi ragazzi, Viale del tramonto e Pretty Woman, Io sono leggenda e Rambo, il cui finale inizialmente mostrato nei test screenings avrebbe semplicemente precluso, per la morte del protagonista, ogni suo seguito. Di fatto, per ogni film di cui sono stati girati due o più finali, o di cui sono state tolte o aggiunte scene rilevanti, ci sono buone possibilità che a contribuire alla selezione finale siano stati gli spettatori dei test screenings esprimendo opinioni poi prese in considerazione da registi, produttori ed esperti di distribuzione cinematografica.

Ora, quasi un secolo dopo le prime proiezioni di prova organizzate da Lloyd, le cose continuano a funzionare a grandi linee allo stesso modo. Spettatori che si pensa siano rappresentativi anche di altri sono invitati in certe sale senza sapere che film si troveranno sullo schermo, e a proiezione finita sono invitati a offrire voti e opinioni e rispondere ad alcune domande sul film. Barber ha scritto che le domande determinanti in genere sono le prime due, entrambe con cinque possibili risposte. La prima è: «qual è stata la tua reazione generale al film?»; la seconda è: «lo consiglieresti ai tuoi amici?». Nel primo caso la scala delle risposte va da “eccellente” a “scarsa”, nel secondo da “assolutamente sì” ad “assolutamente no”.

Le modalità con cui vengono scelti gli spettatori per queste proiezioni possono variare molto. Su internet si trovano alcuni siti statunitensi a cui è possibile registrarsi per essere eventualmente scelti e, su Reddit, un paio di resoconti in prima persona. Qualche anno fa un utente scrisse che a Los Angeles poteva capitare di essere avvicinati in un centro commerciale e di sentirsi chiedere se si era interessati a vedere un film gratuitamente, e nel caso invitati a una proiezione. Aggiunse: «una volta mi è capitato di partecipare a una proiezione al termine della quale il regista chiese, con risposta per alzata di mano, cosa pensavamo di certe cose. Poi vidi il film dopo l’uscita e in effetti integrò alcune delle opinioni, cosa che lo rese migliore».

Intervistato da BBC a proposito del suo libro, Goetz ha detto che i registi che si rifiutano di fare le proiezioni di prova sono pochissimi, «una rarità», e che secondo le informazioni a sua disposizione nel 2021 il 90 per cento dei grandi film distribuiti in tutti gli Stati Uniti è passato da uno o più test screenings. «In media ce ne sono tre, ma a volte si arriva anche a dieci o quindici».

Goetz ha scritto che nella sua vita professionale ha avuto a che fare con diverse migliaia di proiezioni di prova e che col tempo è cresciuta molto l’attenzione nella scelta di spettatori appartenenti a determinati gruppi demografici. Le domande poi si sono fatte più lunghe e complicate, le eventuali discussioni successive alle proiezioni includono sempre maggiori dettagli e capita anche che vengano organizzate proiezioni diverse nel tentativo di trovare risposta a domande diverse. «Non si può risolvere tutto in una volta sola», ha detto a BBC: «la prima proiezione può servire a capire cosa togliere, la seconda permette di capire come aggiustare un finale insoddisfacente o personaggi che non funzionano bene». Secondo Goetz, la cosa per cui le proiezioni di prova servono maggiormente è però capire se e quanto qualcosa faccia ridere.

Di lui, Sacha Baron Cohen ha detto: «le analisi [della società] di Kevin hanno avuto per me un valore incalcolabile». Ben Stiller ha detto che «assistere al focus group di un tuo film è come stare nascosto nel bagno, alle superiori, e sentire cosa gli altri dicono di te».

In Italia, tra chi testa i film prima della loro uscita c’è la società milanese Ergo Research, attraverso il Movie Clinic, il nome con cui fa riferimento alle attività di misurazione e profilazione del potenziale di film ma anche di serie e programmi televisivi di ogni tipo. Un paio di anni fa Michele Casula, uno dei soci di Ergo Research, aveva parlato intervistato da Rolling Stone di un caso pratico con cui aveva avuto a che fare, relativo a Veloce come il vento, film del 2016 con Stefano Accorsi:

Inizialmente il film era stato proposto con il titolo Italian Race, nella convinzione che la parte corse potesse essere l’elemento chiave per il suo posizionamento, con tutto quello che poteva conseguirne in termini di confezionamento del materiale, cioè la ricerca di un mood Fast & Furious. In fase di test il film ha mostrato di avere un potenziale molto alto anche su un target che non ci si aspettava, ovvero un pubblico femminile under 24. A quel punto aveva più senso vestire il film in modo che quell’elemento identitario passasse. E la locandina con cui uscì il film risponde a questa consapevolezza.

Sempre a BBC, Goetz ha detto che succede spesso che film con molti effetti speciali siano sottoposti a test prima ancora che molte scene siano ultimate e che quindi gli è successo di «testare L’uomo invisibile quando ancora non c’era l’uomo invisibile, Il pianeta delle scimmie quando la scimmia era ancora Andy Serkis e La bella e la bestia, che andò bene come pochi altri film, quando ancora era animato solo al cinque per cento, e il resto erano schizzi in bianco e nero». C’erano però già musiche e storia. A volte i test servono solo per cambiare titolo, altre succede invece che si fermi un film prima della fine così da chiedere agli spettatori come vorrebbero finisse.

Ovviamente, non è dato sapere quanti, tra i registi i cui film sono testati, siano davvero convinti dell’utilità dei test e quanti invece la tollerino malvolentieri interpretandola come qualcosa che rovina i film piegandoli anticipatamente ai gusti del pubblico.

In Audience-ology è citato il regista Ang Lee, che disse: «Picasso non ha mai fatto testare dal pubblico i suoi quadri». Goetz, invece, pensa che «se qualcuno suona il clacson e ce l’ha con te, magari è solo uno stronzo; ma se suonano in tre o quattro, lo stronzo sei tu. È lo stesso nei film: se 30 o 40 persone ti dicono che qualcosa non va, devi ascoltarle e pensare che magari non sta comunicando come vorresti. Mi piace dire che i test screenings non rovinano la visione del regista, bensì la concretizzano».

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