C’è una nuova sospettata per la strage al Pac di Milano del 1993

È stata perquisita la casa di una donna che si ipotizza possa aver portato in via Palestro la Fiat Uno carica di esplosivo

Il Pac dopo lo scoppio della bomba del 27 luglio 1993 (ANSA-ARCHIVIO/TO)
Il Pac dopo lo scoppio della bomba del 27 luglio 1993 (ANSA-ARCHIVIO/TO)

Dopo quasi 29 anni c’è una novità sugli attentati terroristici e mafiosi che interessarono diverse città italiane nel 1992 e nel 1993, emersa dalle nuove indagini a riguardo che sta facendo la procura di Firenze. Si sospetta di aver individuato la donna che la sera del 27 luglio 1993 parcheggiò la Fiat Uno grigia piena di esplosivo davanti al PAC, il Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano, in via Palestro, la cui detonazione uccise 5 persone e ne ferì altre 12. È ancora un’ipotesi, per cui si stanno cercando conferme e riscontri.

I carabinieri della sezione anticrimine del Ros di Firenze hanno eseguito un decreto di perquisizione, ispezione e sequestro in casa di una donna di 57 anni di Albano Sant’Alessandro, in provincia di Bergamo. La donna è sospettata, è scritto nel decreto, «di essere coinvolta nell’esecuzione materiale con funzioni d’autista» nell’attentato portato a termine davanti al PAC «quale alto e irripetibile simbolo del patrimonio nazionale». La donna, secondo i magistrati fiorentini Luca Turco e Luca Tescaroli, avrebbe agito «in concorso con appartenenti a Cosa Nostra già condannati con sentenza passata in giudicato».

Le stragi furono decise da Cosa Nostra con l’obiettivo di destabilizzare le istituzioni ed esercitare una forte pressione sullo Stato perché venissero attenuate le misure cautelari nei confronti dei mafiosi in carcere. La sera del 14 maggio 1993 un’autobomba esplose in via Fauro, a Roma, nel quartiere Parioli, al passaggio dell’auto di Maurizio Costanzo che però rimase illeso: Salvatore Benigno, mafioso del quartiere Brancaccio di Palermo, che secondo le ricostruzioni processuali azionò il dispositivo per l’esplosione, lo fece con qualche istante di ritardo perché aspettava di vedere comparire Costanzo su un’Alfa Romeo 164, mentre il conduttore passò su una Mercedes.

Il 27 maggio un furgone carico di esplosivo saltò in aria a Firenze sotto la Torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili. Morirono cinque persone, quarantotto furono ferite. La torre dei Pulci fu quasi completamente distrutta e la stessa Galleria degli Uffizi subì notevoli danni: sette opere d’arte non furono recuperabili e 173 dipinti furono danneggiati, insieme a 42 busti e 16 statue anch’essi rovinati.

Il 27 luglio a Milano la bomba (una miscela di tritolo, T4, pentrite e nitroglicerina) esplose alle 23:14. Morirono un agente della polizia locale, tre vigili del fuoco e un giovane uomo marocchino che dormiva su una panchina dei vicini giardini pubblici. Poco prima dell’esplosione, l’agente della polizia locale aveva notato il fumo biancastro uscire dall’abitacolo e aveva così chiesto l’intervento dei vigili del fuoco, i quali si accorsero dell’esplosivo ma non fecero in tempo ad allontanarsi.

Quasi in contemporanea, a Roma, esplose una bomba davanti alla basilica di San Giovanni in Laterano e alla chiesa di San Giorgio in Velabro. Qualche mese più tardi ci fu anche un attentato fallito: una Lancia Thema con 120 kg di tritolo sarebbe dovuta esplodere nel parcheggio dello stadio Olimpico di Roma il 23 gennaio 1994 mentre si stava giocando la partita Roma-Udinese.

La sera del 27 luglio due testimoni erano presenti nel momento in cui la Fiat Uno venne parcheggiata davanti al PAC. Descrissero una donna di 30 anni circa, bionda, slanciata e vestita in maniera appariscente, con tacchi alti e una cintura vistosa. Con lei c’era, dissero i testimoni, anche un uomo che però si era attardato in auto e quindi non poterono descrivere.

Non è chiarissimo come i pubblici ministeri fiorentini siano arrivati a decidere la perquisizione a casa della donna di Albano sant’Alessandro. Al centro della svolta nelle indagini però c’è il confronto tra l’identikit che venne fatto grazie alle testimonianze di via Palestro, e una fotografia particolare, e il risultato ottenuto da un software in grado di fare ricerche nei database delle foto segnaletiche e delle persone scomparse.

La fotografia alla quale è stato comparato l’identikit fu trovata il 29 settembre 1993 quando, grazie alle informazioni fornite da un infiltrato, la polizia perquisì un villino ad Alcamo, in provincia di Trapani, dove venne trovata una ingente quantità di armi. Il villino era di due carabinieri che secondo i giornali dell’epoca erano in qualche modo legati al servizio segreto militare. La procura di Trapani ipotizzò che quell’arsenale potesse appartenere alla struttura trapanese di Gladio, l’organizzazione paramilitare che faceva parte della più vasta rete internazionale Stay Behind, creata dalla Cia americana perché si attivasse in caso di invasione dell’Europa da parte dell’Unione Sovietica.

Durante la perquisizione nel villino di Alcamo, tra le pagine di un’enciclopedia l’agente di polizia Antonio Federico trovò la fotografia di una donna bionda. Anni dopo lo stesso agente fece avere la fotografia ai procuratori che indagavano sulle stragi, e risultò  compatibile con l’identikit.

Quella foto è saltata fuori nuovamente adesso, nell’ambito della nuova indagine della procura di Firenze. Non è  davvero chiaro come e perché. Si sa però che da quella foto, usando il software C Robot, la procura di Firenze è risalita alla foto segnaletica della donna presso la cui casa è stata effettuata la perquisizione. Pregiudicata per reati legati al traffico di stupefacenti, la donna è legata da tempo a un pluripregiudicato campano membro del clan di camorra La Torre di Mondragone. La donna era in carcere nel 1993 ma uscì qualche mese prima dell’attentato. La stessa procura comunque scrive che il software C Robot ha fornito un risultato affidabile al 67%.

I vari processi hanno ricostruito il percorso che fece l’esplosivo dalla Sicilia ad Arluno, in provincia di Milano, e anche gli spostamenti della Fiat Uno grigia, rubata a Milano qualche giorno prima. Resta ancora però da ricostruire la fase operativa della strage. Le varie procure che hanno indagato sono state sempre convinte che gli uomini di Cosa Nostra abbiano avuto un forte appoggio operativo a Milano. I fratelli Graviano, Giuseppe e Filippo, incaricati dalla mafia della preparazione delle stragi, furono arrestati a Milano il 27 gennaio 1994 in un ristorante di via Procaccini, Gigi il Cacciatore. Intercettato in carcere, Giuseppe Graviano disse a un suo compagno nell’ora d’aria: «A Milano facevo una vita normale, non mi aspettavo l’arresto, ero circondato da una copertura favolosa. Com’ero combinato io… solo il Signore… lo bacio. Mi sono spiegato?»

L’ipotesi del coinvolgimento della donna, che sarà interrogata nei prossimi giorni, è completamente da verificare. I pm fiorentini pensano comunque che la stessa autista di via Palestro a Milano abbia avuto un ruolo anche nell’attentato dei Georgofili a Firenze. L’ipotesi è quindi che all’attentato abbiano partecipato anche elementi estranei ai gruppi mafiosi.

La donna raggiunta dal provvedimento di perquisizione non ha risposto alle domande dei giornalisti. Il suo avvocato Emilio Tanfulla ha detto che la sua assistita «è completamente estranea ai fatti».