• Mondo
  • Martedì 1 marzo 2022

Che storia c’è dietro a questa mappa sulla NATO

È molto usata per mostrare l'espansione dell'alleanza verso est e sostenere le ragioni di Putin, ma bisogna interpretarla col contesto

Prima di avviare l’invasione militare dell’Ucraina, il presidente russo Vladimir Putin aveva sostenuto di voler impedire un allargamento verso est della NATO, l’alleanza militare occidentale, considerato una sorta di manovra di accerchiamento della Russia e una minaccia per il paese. Questa giustificazione all’operazione militare è stata ampiamente ripresa negli ultimi giorni dai sostenitori di Putin, esposta da alcuni analisti sui giornali e illustrata sui social network con una mappa che mostra l’espansione della NATO negli ultimi anni, senza però fornire alcune importanti informazioni di contesto.

“L’espansione a est della NATO” è ormai da anni usata come giustificazione delle violazioni del diritto internazionale compiute dalla Russia, e alimenta una narrazione vittimista in base alla quale se la Russia si comporta aggressivamente fino a invadere un paese sovrano è soltanto perché si sente minacciata a sua volta dall’aggressività occidentale. Questa è una versione piuttosto parziale di un processo complesso che ha avuto varie evoluzioni nel corso degli ultimi 70 anni, ed è un’interpretazione per molti versi influenzata dalla propaganda.

NATO e Patto di Varsavia
La NATO (Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord) esiste dal 1949 e fu fondata da Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito e Stati Uniti con l’obiettivo di controbilanciare il potere dell’Unione Sovietica con i suoi paesi satelliti. L’idea era di creare una sorta di deterrente alle eventuali velleità espansionistiche dell’URSS, che dopo la Seconda guerra mondiale ambiva a un nuovo ordine internazionale che la vedesse protagonista, perseguendo interessi diversi da quelli degli Stati Uniti.

Nel 1955, l’URSS e gli altri stati socialisti del cosiddetto “blocco orientale” sottoscrissero il Patto di Varsavia, un’alleanza militare che aveva a sua volta lo scopo di fare da deterrente, dopo l’ingresso della Germania Ovest nella NATO. Di questa alleanza faceva parte anche l’Ucraina, essendo una delle repubbliche dell’Unione Sovietica.

Le due organizzazioni militari non si scontrarono mai in Europa durante il periodo della Guerra fredda, ma furono coinvolte comunque in attività in altre aree del mondo dove Stati Uniti e Unione Sovietica cercavano di espandere le loro aree di influenza, dal Vietnam all’Afghanistan. Il Patto di Varsavia fu poi sciolto all’inizio del 1991, in seguito alla fine dell’Unione Sovietica.

Volontarietà
Formalmente, l’adesione di un paese alla NATO avviene in forma volontaria. Quando uno stato si propone, gli stati membri dell’alleanza valutano la proposta e richiedono vari standard da raggiungere, poi procedono con una risoluzione di adesione che deve essere votata all’unanimità. Ciò naturalmente non implica che la NATO nel corso del Novecento non abbia avuto propri obiettivi espansionistici, anche se l’opportunità di aprirsi verso i paesi dell’est è stata spesso messa in dubbio da alcuni suoi stati membri, da politici e da esperti di politica internazionale.

All’inizio degli anni Novanta, per esempio, tre stati che avevano fatto parte del Patto di Varsavia – Polonia, Ungheria e l’allora Cecoslovacchia – avviarono una collaborazione per chiedere il processo di integrazione nell’Unione Europea e nella NATO. Inizialmente vari membri dell’alleanza espressero la loro contrarietà, pensando che il loro ingresso potesse complicare ulteriormente la situazione europea dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Si decise infine per un processo di allargamento, che portò a comprendere i tre paesi nel 1999.

CSI
Nella fase di sfaldamento dell’ormai ex Unione Sovietica, la Russia provò con la Comunità degli stati indipendenti (CSI) a offrire un sistema di collaborazione e integrazione economica. Il progetto non ebbe un particolare successo, soprattutto con i paesi che avevano appunto riguadagnato la propria indipendenza e non volevano trovarsi nuovamente in un’organizzazione nella quale c’era una sola grande potenza, la Russia, che di fatto avrebbe potuto condizionare a proprio piacimento le decisioni della CSI.

Le preoccupazioni sul partner più invadente dell’organizzazione erano motivate da vari fattori, compresa la scelta della Russia di mantenere il diritto di intervenire negli stati della CSI, nel caso in cui non fossero tutelati i diritti delle popolazioni russe presenti nei loro territori (questa giustificazione sarebbe poi stata usata per invadere vari stati vicini, compresa l’Ucraina in questi giorni). Questa condizione divenne un ostacolo all’integrazione inizialmente auspicata con la nascita della Comunità degli stati indipendenti.

Nella seconda metà degli anni Novanta, alcuni paesi ex sovietici (Georgia, Ucraina, Uzbekistan, Azerbaigian e Moldavia) si unirono in un’organizzazione per tutelare i propri interessi: GUUAM. In quell’iniziativa vari analisti videro, e vedono ancora oggi, un chiaro tentativo di arginare le ingerenze da parte russa e un segno della ricerca di alternative, con una loro apertura verso occidente dove un interlocutore poteva essere la NATO. Benché esista ancora, GUUAM non ebbe grande fortuna, anche a causa del succedersi di governi ora più vicini ora meno alla Russia, che a sua volta ha lavorato per sostenere governi più inclini a subire la sua influenza.

Articolo 5
La progressiva espansione verso est della NATO è stata in buona parte una conseguenza della fine della Guerra fredda e della ricerca da parte di alcuni stati per lungo tempo sotto l’influenza russa di avere maggiori garanzie, soprattutto per quanto riguarda il mantenimento della loro integrità territoriale. I casi di invasione da parte prima dell’Unione Sovietica e poi della Russia non erano del resto mancati in passato, cosa che lasciava poco tranquilli i governi dei paesi che avevano infine ottenuto l’indipendenza.

“L’espansione della NATO a est”, insomma, è stato il risultato di una concomitante ambizione dell’Occidente di allargare la propria sfera di influenza includendo anche paesi storicamente legati al blocco sovietico e della volontà di molti di quei paesi di allontanarsi e proteggersi dalla presenza e dalla potenziale aggressività della Russia.

Uno dei fattori che secondo esperti e analisti hanno influito di più su questo processo di avvicinamento, o di espansione a seconda dei punti di vista, è stata la presenza dell’Articolo 5 della NATO, di cui si è parlato molto anche negli ultimi giorni. Sancisce che ogni attacco a uno stato membro debba essere considerato un attacco all’intera alleanza, e di conseguenza che ogni membro debba dare il proprio contributo nella difesa dall’attaccante.

Durante la Guerra fredda l’Articolo 5 ebbe un ruolo importante nel fare da deterrente, perché un attacco da parte sovietica anche solo a uno degli stati membri più piccoli e deboli avrebbe comportato una risposta da parte degli Stati Uniti. L’efficacia del deterrente fu tale che la NATO non invocò mai l’Articolo 5 fino al 2001, anno in cui fu decisa una risposta militare per gli attacchi terroristici dell’11 settembre contro gli Stati Uniti.

Ucraina
Tra gli stati che ambiscono a far parte della NATO ci sono la Bosnia ed Erzegovina, la Georgia e l’Ucraina. Quest’ultima ha presentato domanda per aderire nel 2008 e da allora ha lavorato, a fasi molto alterne, al raggiungimento dei prerequisiti in termini di capacità militari e politiche di difesa richiesti. Nel 2010 i piani furono per esempio messi da parte dopo la vittoria alle presidenziali del candidato filorusso Viktor Yanukovich e poi ripresi dopo il 2014, anche in seguito alle attività militari della Russia in Crimea.

Durante un vertice NATO organizzato la scorsa estate, i leader degli stati membri avevano confermato la volontà di comprendere l’Ucraina, ma è noto che questa posizione sia più che altro formale: nessun paese NATO ha davvero intenzione di includere l’Ucraina nell’alleanza in tempi brevi.

Stati Uniti e NATO
Il progressivo allargamento della NATO verso est è avvenuto in seguito alla politica delle “porte aperte”, che di fatto implica che qualsiasi paese possa aderire a patto che aderisca agli standard e agli impegni richiesti. L’idea è che ogni stato democratico abbia il diritto di decidere la propria politica estera e in un certo senso il proprio futuro, senza che ingerenze di altre potenze ne condizionino le scelte.

L’espansione della NATO è stata quindi facilitata da una parte dalla promessa di sicurezza e dalle potenzialità economiche derivante da un’alleanza con l’Occidente, oltre che dalle possibilità di sviluppo democratico. Ma com’è ovvio, questo approccio di apertura ha anche consentito alla NATO, e in particolare agli Stati Uniti, di tutelare piuttosto efficacemente i propri interessi, e secondo molti la politica delle “porte aperte” è stata funzionale alla politica estera americana ed è stata vissuta – come avevano previsto diversi analisti – come una provocazione dalla Russia, compromettendo la stabilità dell’Est Europa.

Dopo la fine dell’Unione Sovietica, e con una Russia in profonda difficoltà economica, in molti (anche all’interno della NATO) iniziarono a chiedersi se avesse ancora senso mantenere un’alleanza fondata proprio per contrastare un potenziale nemico che non esisteva più, o che per lo meno si era trasformato in qualcosa di diverso. Si aprì un ampio confronto sul futuro della NATO, con vari analisti che ritenevano costosa e rischiosa una sua eventuale espansione verso est. Farlo avrebbe inoltre favorito i movimenti e i partiti nazionalisti e critici dell’Occidente, offrendo nuovo terreno fertile per la propaganda da parte della Russia.

Nel confronto finì anche la nascente Unione Europea, vista come una buona soluzione di compromesso: la sua formazione, sulle fondamenta della Comunità europea e delle altre iniziative di collaborazione nel continente, derivava per lo più da necessità economiche, senza implicazioni dal punto di vista militare. Sarebbe potuta diventare da subito un valido interlocutore per gli Stati Uniti, ma alla fine la scelta ricadde su un mantenimento e se possibile un potenziamento della NATO, nonostante i costi e i rischi.

Su queste basi Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia riuscirono a ottenere l’adesione all’alleanza nel 1999, così come poté avvenire il processo che nei cinque anni successivi portò Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia nell’organizzazione. L’allargamento del 2004 fu il più grande mai avvenuto per la NATO, in una fase in cui gli Stati Uniti avevano visto nelle nuove adesioni non solo la possibilità di una nuova emancipazione di numerosi paesi appartenenti all’ex blocco sovietico, ma anche un’opportunità per estendere la propria area di influenza.