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  • Martedì 22 febbraio 2022

Cosa sappiamo della morte di Luca Attanasio, un anno dopo

Ci sono varie cose poco chiare sull'uccisione dell'ambasciatore italiano in Congo, e ancora non si sa quasi niente sugli autori dell'omicidio

(ANSA)
(ANSA)

Il 22 febbraio di un anno fa Luca Attanasio, ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, fu ucciso in un attacco armato nella provincia del Nord Kivu, nella parte orientale del paese. Assieme a lui furono uccisi anche il carabiniere Vittorio Iacovacci e Mustapha Milambo, autista del Programma alimentare mondiale (PAM, l’agenzia dell’ONU che si occupa di assistenza alimentare). Ancora oggi, a distanza di un anno, nonostante alcuni sviluppi ci sono vari punti oscuri nella dinamica dell’omicidio di Attanasio. La procura di Roma ha da poco concluso le sue indagini, accusando due funzionari del PAM di aver contribuito con la propria negligenza a quanto accaduto quel giorno, ma i loro racconti non chiariscono del tutto cosa sia successo.

Nel momento dell’attacco armato, Attanasio stava viaggiando su un convoglio dell’ONU lungo la strada che collega le città di Goma e Rutshuru, nella parte orientale del paese, un’ampia area in cui da molti decenni ci sono guerre, conflitti etnici e invasioni territoriali da parte degli stati confinanti. La strada su cui stava viaggiando il convoglio attraversa il parco nazionale di Virunga, una vasta riserva naturale che si trova a pochi chilometri da Uganda e Ruanda, dove sono attive diverse milizie che combattono per ottenere il controllo sulle terre e sulle risorse naturali del Congo orientale.

Fin da subito erano emersi diversi punti poco chiari nella morte di Attanasio, a cominciare dal fatto che la strada su cui viaggiavano era stata giudicata “sicura” benché nella zona operassero varie milizie.

Sull’uccisione di Attanasio, Iacovacci e Milambo aveva aperto un’inchiesta la procura di Roma che pochi giorni fa ha concluso le sue indagini. La procura ha accusato due funzionari del PAM di cooperazione in omicidio colposo, per aver commesso gravi negligenze e irregolarità che avrebbero contribuito a rendere insicura e poco protetta la spedizione in cui avvenne l’attacco armato.

I due dirigenti del PAM sono l’italiano Rocco Leone, vicedirettore dell’agenzia nella Repubblica Democratica del Congo, e il congolese Mansour Rwagaza. I due dirigenti, secondo la procura, avrebbero falsificato i documenti di viaggio necessari per organizzare la spedizione di Attanasio in quella zona, per ottenere dal Dipartimento di sicurezza dell’ONU l’autorizzazione alla missione, anche se non ne avrebbero avuto diritto.

Per organizzare una missione a cui partecipa una figura potenzialmente a rischio come un ambasciatore, i due avrebbero dovuto inoltrare all’ONU una richiesta 72 ore prima, e avvertire cinque giorni prima della partenza la missione militare ONU Monusco, che ha funzioni di peacekeeping nella regione, e che avrebbe valutato se inviare una scorta armata o mezzi blindati. I due però non avrebbero fatto nessuna di queste cose e anzi, per consentire alla missione di proseguire, avrebbero falsificato i documenti, indicando che nel convoglio viaggiavano due dipendenti del PAM, anziché un ambasciatore e il carabiniere che gli faceva da scorta.

Al momento non c’è certezza sul motivo dell’uccisione, ma secondo i racconti fatti dai due dirigenti del PAM alla procura di Roma sembra che gli assalitori avrebbero voluto inizialmente rapinare Attanasio, Iacovacci e Milambo, e dopo essersi accorti che non avevano soldi con loro rapirli per ottenere un riscatto. La situazione sarebbe però rapidamente degenerata quando l’esercito congolese stava per raggiungerli nella foresta, e così decisero di ucciderli e fuggire.

Negli atti delle indagini della procura pubblicati negli ultimi giorni da Repubblica e Corriere della Sera, si legge che il 22 febbraio del 2021 il PAM organizzò una spedizione ai confini con Ruanda e Burundi, per visitare i programmi dell’agenzia in Congo. Vennero inviate due auto: nella prima c’erano Mustapha Milambo, Mansour Rwagaza e Fidele Nzabandora, altro responsabile del PAM, e nella seconda Luca Attanasio, Vittorio Iacovacci e Rocco Leone.

Secondo il racconto dei due funzionari, lungo la strada il convoglio sarebbe stato bloccato da sei persone armate di kalashnikov e machete, che avrebbero sparato in aria per fermare le auto. A quel punto gli assalitori avrebbero detto loro di consegnare 50mila dollari, altrimenti li avrebbero portati nella foresta e poi avrebbero chiesto un riscatto. Leone ha raccontato di aver dato tutto quello che aveva in quel momento, e che lo stesso fece Attanasio: «Ho dato tutto quello che avevo, 300-400 dollari e il mio telefonino. Anche l’ambasciatore ha cominciato a togliersi le cose che aveva indosso, sicuramente il portafogli e forse l’orologio». Milambo sarebbe stato ucciso quando si trovava ancora sull’auto, mentre gli altri sarebbero stati spinti verso la foresta.

A questo punto i racconti di Leone e Rwagaza divergono, e non c’è chiarezza su come siano andate realmente le cose. Leone ha detto che era l’ultimo della fila e che dopo essere inciampato era stato lasciato stare dagli assalitori, che invece avevano proseguito il cammino nella foresta con gli altri. Leone sarebbe anche tornato indietro e avrebbe visto un uomo in tenuta militare, presumibilmente un membro dell’esercito, e gli avrebbe chiesto di chiamare aiuto. Secondo Leone, quest’ultimo però non l’avrebbe fatto «perché non aveva credito sul telefonino».

Rwagaza ha invece raccontato che lui e gli altri sarebbero stati condotti nella foresta per circa 2 chilometri e che Attanasio e Iacovacci sarebbero stati uccisi dagli assalitori dopo l’inizio di un conflitto a fuoco con le forze locali. «Il conflitto a fuoco è durato almeno cinque minuti, poi c’è stato un minuto di silenzio e lì è successo il peggio. Il carabiniere si è alzato e ha provato a sollevare l’ambasciatore dalla cintura, a quel punto è stato colpito a un braccio e al fianco sinistro… Ho visto chiaramente che gli assalitori sparavano contro la guardia del corpo e l’ambasciatore, hanno tirato quattro colpi contro di loro… Ho sentito una forte espirazione, credo si trattasse delle esalazioni del carabiniere… Sentivo invece l’ambasciatore che mi diceva di essere ferito, mi diceva che non sentiva più i piedi… Mi ha chiesto di avvicinarmi, diceva che stava soffocando», ha raccontato Rwagaza.

Dopo quella sparatoria gli assalitori sarebbero fuggiti, e Rwagaza, Attanasio e Iacovacci sarebbero stati raggiunti da un gruppo di militari. Leone ha raccontato di aver visto Rwagaza su una camionetta militare mentre teneva Attanasio in braccio. La camionetta sarebbe quindi andata a una base dell’ONU, dove c’è un piccolo ospedale, e Attanasio sarebbe stato portato in sala operatoria: «Abbiamo atteso dieci minuti o un quarto d’ora, finché il medico responsabile ci ha detto che non c’era speranza per l’ambasciatore», ha detto Leone.

Ora che si sono concluse le indagini, la procura di Roma dovrebbe chiedere il rinvio a giudizio per Leone e Rwagaza. Se sarà accolta, i due dovrebbero andare a processo, anche se potrebbero esserci ostacoli burocratici: i funzionari del PAM, sulla base di un accordo con il governo italiano, godono di un’immunità simile a quella dei diplomatici, e bisognerà capire se sarà valida anche in questo caso.

Nel frattempo ci sono altre due indagini sulla morte di Attanasio, Iacovacci e Milambo, quella del PAM e quella congolese. A gennaio il governo congolese aveva annunciato di aver arrestato alcuni componenti dei gruppi armati che avrebbero attaccato il convoglio di Attanasio, anche se non la persona che ha materialmente ucciso l’ambasciatore, che farebbero parte del gruppo ribelle locale Balume Bakulu. L’annuncio è stato comunque accolto con un certo scetticismo a livello internazionale.